Testo di Juan dal carcere di Terni

riceviamo e diffondiamo:

Questo scritto è finalmente arrivato. Juan ce ne aveva parlato in alcune lettere. Immaginavamo che fosse stato censurato. Infatti si è avuta conferma che, il 4 ottobre 2019, il GIP l’ha sequestrato considerandolo una “istigazione a delinquere” o comunque un incitamento all’”attività anarchica” e l’ha sequestrato per tutelare la sicurezza delle forze dell’ordine.

Condividiamo la volontà di Juan di farlo circolare e vi chiediamo di pubblicarlo.

“Come fare perché una goccia di acqua non si prosciughi? Lasciarla andare nel mare”

In questo testo racconto come è andato il mio arresto del 22 maggio 2019. Lo racconto come un dato di fatto e non per denunciare l’illegalità dei metodi della polizia o come racconto vittimistico.

Principalmente non mi va giù che come si è svolto il mio arresto e quanto accaduto durante il trasferimento alla questura di Brescia sia un segreto mio e di quegli agenti della Digos che mi hanno arrestato. Sinceramente non ho voglia che ci sia qualcosa in condivisione con loro. Non voglio condividere niente con loro, men che meno le mie angosce e men che meno “quello che non si può dire” per paura di un tabù, come un patto non scritto fra “cavalieri macho” che possa intaccare la mia virilità (?!).

E infine le parole in questura di un digossino vestito da motociclista rockettaro (probabilmente della questura di Trento, vista la sua conoscenza su di me…) che mi consiglia “amichevolmente”, come un fratello o come un padre di scrivere solo lettere personali agli amici e non comunicati da far circolare pubblicamente. Questo mi ha fatto pensare che condividere ciò che è accaduto sia una buona soluzione.

Un attimo prima del mio arresto stavo camminando in montagna e sono passato per un sentiero dove ho incontrato un cane grande che mi ha fatto brutto. Era lo stesso sentiero che avrei dovuto fare al ritorno. Ho molto rispetto dei cani e se posso evitarli lo faccio, così per il ritorno ho deciso di prendere la strada principale che va verso Tavernola.

Lì ho incontrato dei ciclisti sospetti: uno aveva la faccia da ubriacone e non proprio da sportivo… più di uno che sta in una bettola a fumare e bere 24 ore al giorno… con tutto il rispetto per gli ubriaconi!

Mi hanno chiesto informazioni. Io gentilmente gliele ho date. Ho avuto dei sospetti, ma ero troppo sicuro di me e del territorio, troppo!

Così ho messo da parte sospetti e paranoia ed ho continuato ad andare avanti.

Alla terza curva ho visto due macchine. Mi sono fermato un attimo. Non mi piacevano, ma ho continuato ad andare avanti.

Non ero sicuro che fossero sbirri, continuavo a pensare che fossero paranoie anche se mi sentivo in allarme al massimo. Avvicinandomi ho visto due persone, ognuna da sola alla guida della sua auto. Avevano vestiti da “montanari”.

Ciò che mi è apparso molto strano (e lì ho avuto la certezza che fossero poliziotti… lo sentivo, ma ormai ero vicinissimo alla prima auto) era che stavano all’interno delle auto, una dietro all’altra, senza parlarsi, impalati.

Non potevo tornare indietro e invece di passare dalla parte del passeggero dove non c’era nessuno, ho preferito passargli davanti così da poter controllare le loro mosse ed evitare che uscendo entrambi mi rinchiudessero. Oltrepassata la prima auto con la coda dell’occhio vedo scendere il primo “montanaro” con un bastone di legno.

Ho pensato: «ci siamo!»

Io ero davanti alla portiera dell’auto del secondo montanaro.

Ho pensato che volessero seguirmi per vedere un po’ dove andavo.

Quando il secondo montanaro è uscito io ero a 50 m di distanza da loro.

Intorno a me, da destra a sinistra avevo solo montagne.

Ho pensato che era il momento!

Allora ho fatto uno scatto e via a correre come un matto! In un attimo li ho lasciati ad una cinquantina di metri. Correvo come un disperato. Loro urlavano e continuavano ad inseguirmi.

Ho continuato per un po’ lasciandoli indietro un centinaio di metri, o magari di più. Ma avevo paura che arrivasse un’altra auto della polizia dalla direzione verso cui correvo, cosa che poi penso sia successa.

Loro mi urlavano qualcosa, ma non so cosa. Sinceramente non sentivo niente, non avevo paura ma una quantità di adrenalina in corpo da non capire niente. Il mio cervello era a mille…troppo! Ero fuori controllo, veramente come un animale imbizzarrito. Non potevo continuare ad andare avanti così sia perché loro avevano le auto sia per il ritmo della mia corsa.

Avevo due strade da scegliere per continuare a scappare imboscandomi, ma ho scelto quella sbagliata. Sinceramente avevo perso il controllo. Se fossi riuscito ad essere razionale avrei preso esempio dall’istinto dei cinghiali che in situazioni di emergenza corrono sempre in giù dalla montagna, perché corri più veloce ed è più facile scappare, invece di andare su come ho fatto io…

Alla mia sinistra c’era un salto in giù di 3 o 4 metri, a destra verso l’alto 4 o 5 metri di dirupo.

Non ero lucido ed ho fatto un salto a destra riuscendo a raggiungere la metà del dirupo. Scivolavo, ma sono riuscito a salire quasi fino in cima. Sotto di me erano arrivati 3 o 4 sbirri.

Ero ormai allo stremo delle forze. Ero in cima, avrei potuto andare verso il bosco, ma non vedevo niente per l’agitazione.

Era una strana sensazione: mi sono arreso per mancanza di forze ma nel momento in cui mi sono arreso ho proprio sentito che andare avanti verso il bosco era un pericolo, non tanto per quello che avevo davanti e neanche per le minacce, che neanche sentivo. Era più un istinto di conservazione animale. Mi sono arreso e quando mi sono girato avevo la pistola dello sbirro puntata. Non penso che volesse sparare, ma…?!

Allora sono tornato indietro e mi sono lasciato trascinare giù dal dirupo. Lì mi hanno afferrato e mi hanno buttato a terra. Erano molto molto agitati e incazzati (si sa che si incazzano quando li fai correre!). Una volta a terra mi hanno messo a faccia in giù, forse con calci, non ricordo bene, ero ancora a mille. Una volta immobilizzato è arrivata una macchina. Non mi hanno messo le manette, solo immobilizzato con le mani indietro e caricato sul sedile posteriore, sdraiato a faccia in giù, con un poliziotto sopra di me che mi teneva le mani. Il guidatore e il passeggero dal davanti hanno cominciato a perquisirmi se così si può dire: mi hanno letteralmente strappato i vestiti. Avevo con me uno zaino piccolo da 22 litri che mi hanno strappato con tutte le tasche. Ad un certo punto la macchina si è fermata dopo circa 100 m, la portiera vicino alla mia testa si è aperta e qualcuno da fuori ha cominciato a darmi una serie di pugni in testa, sull’osso temporale e sulla tempia. Sinceramente non ho sentito niente. Poi mi hanno messo le fascette di plastica ai polsi, le hanno strette tanto forte da bloccare la circolazione del sangue nelle mani. A questo punto mi hanno posizionato (una posizione studiata, penso) : le gambe in direzione del guidatore dove mettono i piedi i passeggeri del sedile posteriore; il fondo schiena nel mezzo del sedile posteriore; la testa fra i due sedili anteriori.

Il mio corpo formava una “U”. Il poliziotto al lato passeggero mi teneva la faccia in una morsa (se provate vedrete che è una buona morsa), con l’alluce conficcato fra il collo e la mandibola e le altre 4 dita su tutta la faccia che mi schiacciava sul fianco del suo sedile. Non vedevo quasi niente: un occhio era tappato dalle dita dello sbirro, l’altro era schiacciato col resto della faccia sul sedile.

Sul sedile posteriore, nel mezzo c’erano il mio culo e la mia schiena e uno sbirro a destra e uno a sinistra.

Siamo partiti. Lo sbirro davanti ha cominciato a domandarmi : “dove dormi?”. Non ho risposto. Non parlavo. Allora quello accanto a me dal lato del guidatore, col gomito, ha cominciato a schiacciarmi un rene fino a che mi sono scappate delle urla e continuavano a chiedere “dove dormi?”

ZITTO.

Mi ha schiacciato un’altra volta il rene. Io provavo a non urlare e a non parlare ma era uno strano e fastidiosissimo dolore. Mi scappava un gemito. Poi ha schiacciato ancora e io gli ho detto che dormivo in montagna. Dentro di me c’era il pandemonio e avevo paura che se avessi cominciato a dare risposte sarebbero aumentati gli “schiacciamenti” del rene e le domande, alle quali non ero obbligato a rispondere in teoria. Non volevo farlo. Avevo paura ma non solo. Nel frattempo qualcuno mi diceva: “ti piace mettere le bombe?!” “E se ammazzavi un padre di famiglia?” “Ti piace fare il partigiano, eh?” “Adesso ti facciamo vedere!” “Puzzi come un pecoraio!”.

Già, puzzavo di stambecco e fumo del fuoco… strana la mente: ho pensato “che colpa hanno i pecorai?!” (sigh!). Mi sembrava strano fare queste riflessioni così “leggere” mentre me la stavo vedendo davvero brutta! Nei momenti in cui lo sbirro continuava a schiacciarmi il rene il cervello andava a mille in un misto di improvvisi cambiamenti fra paura, eccitazione, coraggio, scoraggiamento. Tutto in un decimo di secondo. Continui cambiamenti in un vortice di pensieri ad una velocità impressionante. Poi ho pensato allo zen. Non sto scherzando. Ho respirato un po’ e poi ho pensato: “così non va!”. Non devo lottare con il mio dolore e la mia angoscia, piuttosto lasciarmi andare a loro. Accettare! Lo so è molto fricchettone ma è così!

Dovevo lasciarmi andare e non essere rigido come stavo facendo, tanto ero più debole e legato. Così ho intuito una cosa: ogni volta che mi schiacciava, se mi lasciavo andare alle urla o se urlavo prima che mi facesse male, lui mollava prima. Ripeto: è un dolore molto strano e fastidioso quando ti schiacciano il rene. Allora se facevo la scenata lui mollava. In più appena domandava, se aspettavo il momento giusto fra la mia risposta e l’inizio dello “schiacciamento del rene”, potevo urlare e quindi non rispondere. E prolungavo le mie urla così da non dover proprio rispondere alle domande. Lo so, non è molto dignitoso, ma chi se ne fotte! Era efficace come tattica.

Ad un certo punto del viaggio (da Marmentino a Brescia ci saranno una quarantina di minuti), dopo circa 10-15 minuti, penso a causa delle fascette, non sentivo più le mani, neanche il formicolio. E ogni tanto il tizio che schiacciava il rene chiedeva all’altro sbirro se avevo le mani blu. Si rispondevano a gesti e io non potevo capire cosa si dicevano…non so, forse per mettermi paura. Fatto sta che io non sentivo più le mani e la posizione era infernale: il mio corpo a “U”; le gambe formicolavano e appena mi muovevo un po’, quello schiacciava il rene.

Di domande non ne hanno fatte più di tante, solo “dove dormivo?”. Ma dopo i primi 10-15 minuti non ne hanno fatte più. Hanno continuato “solo” a schiacciare il rene quando mi muovevo. Ma in qualche modo era un sollievo non ricevere più domande. Non vedevo l’ora di arrivare, almeno se mi avessero menato non sarebbe stato in quella posizione!

Dopo mezz’ora o 40 minuti siamo arrivati alla questura di Brescia, dove c’è la sede della Digos. Gli ultimi 10 minuti, gli sbirri erano più calmi e se mie mani senza circolazione e la posizione erano ancora fastidiosissimi, almeno avevano smesso di schiacciarmi il rene!

Una volta arrivati alla questura di Brescia mi hanno scaricato a terra come un pacco e quelli che erano lì in attesa hanno cominciato a prendermi a calci. Qualcuno gli ha detto di stare calmi. Erano agitatissimi. Io un po’ di meno, visto che ora la mia posizione era sdraiata e mi avevano tolto le fascette…che sollievo!

Mi hanno tolto le scarpe per vedere se c’era dentro qualcosa. Dal mio arrivo all’interno della questura la situazione è mutata completamente e non mi hanno più toccato! Anzi…mi hanno trattato molto correttamente, tanto da sembrarmi sospetto. Ogni volta che volevo andare in bagno mi portavano, mi hanno dato acqua e anche cioccolatini (come una scimmietta! Eh! Eh!). Sono rimasto ammanettato dalle 11 alle 22 con le mani dietro la schiena seduto su una sedia in ufficio con una scorta di 2 o 3 Digos con il passamontagna. Ce n’erano un bel po’ in tutta la questura. Di questi alcuni mi “conoscevano” molto bene: quello rockettaro che mi ha consigliato di non scrivere comunicati; il dirigente della Digos di Brescia, un uomo; e una donna, non so se magistrato o dirigente Digos di Venezia. Il dirigente mi ha chiesto di collaborare e raccontare delle chiavi che avevo dicendomi che comunque avrebbero scoperto dove stavo. Ho risposto che non sapevo niente di cosa mi stesse parlando. Non ha insistito molto…due o tre volte e diceva di sapere, riferendosi alle accuse per l’azione di Treviso, che ero io il colpevole…alla faccia della presunta innocenza! Io le ho detto che non era suo compito giudicare. Poi alle 10 di sera mi hanno portato al carcere di Brescia.

Scrivo questo per spiegare come me la sono vissuta. Ora io ero molto agitato e magari l’ordine delle cose era diverso, ma queste erano le mie sensazioni senza ingrandirle o diminuirle ma con mille sentimenti contrastanti. So che non mi hanno trattato con i guanti bianchi, ma non mi lamento. Sinceramente non mi sento né penso di essere stato torturato e neanche pestato pesantemente. Ma che non lo abbiano fatto con me non toglie che non l’abbiano fatto con altri! Uccisioni come il caso Cucchi, il caso Frapporti a Rovereto, il caso Uva, l’uccisione di Carlo Giuliani, dell’anarchico Pinelli ucciso nella questura di Milano dal commissario Calabresi, le torture a Genova nella questura di Bolzaneto, nella scuola Diaz etc,etc. Queste pratiche accadono, e sono STRUTTURALI a qualsiasi Stato capitalista e non, come solitamente ci vuole far credere la legge, l’eccezione, un errore, o le solite mele marce da espellere, no! Ripeto ciò dipende da come è strutturato lo Stato e questa società.

Dal nemico ci si aspetta qualsiasi cosa in ogni momento e bisogna essere consapevoli di ciò e ricordarlo, non solo a noi stessi: lo Stato e le sue forze di repressione, in generale non hanno mai rispettato e mai rispetteranno i loro santi diritti e leggi, per quanto affermino di farlo: loro non lasciano passare neanche una piccola infrazione, facendola pagare anche con mesi di carcere. Ma solo ai poveracci! Non ai privilegiati, politici, potenti delle multinazionali e delle banche o sbirri vari, sono assolti regolarmente. Due pesi, due misure! E ciò lo vediamo ogni giorno in Parlamento, nelle sedi giudiziarie, nelle strade e nelle carceri. Tutto ciò senza ritegno né vergogna!

A me non interessa uno Stato più giusto e perfetto o dei diritti costituzionali. Questi sempre saranno strumenti di sottomissione e sfruttamento in mano allo Stato autoritario.

“Legale” e “illegale” appartengono all’autorità, per il tornaconto di pochi così come per la loro ipocrisia.

A noi bisogna…

“Bisogna lottare e lottare perché la sproporzione sia stroncata”

E qualsiasi via stiamo percorrendo sempre col cuore! Per l’Anarchia!

Juan Sorroche – Carcere di Terni AS2

09/2019

Fonte: RoundRobin