Tu per chi voti?

In questo periodo di pagliacciate elettorali, a pochi giorni dal voto in Germania e da quelli in Italia, pubblichiamo un primo testo apparso sull’edizione speciale del giornale “Kanaille” per le votazioni 2021. A breve seguirà il secondo.

Tu per chi voti?

Manifesti con facce – anche se per lo più diverse – sono di nuovo appesi nelle strade, ma sempre con gli stessi slogan a effetto. Volantini di diversi partiti vengono ancora una volta infilati nelle vostre mani o nella vostra cassetta delle lettere. Ancora una volta, vengono mendicati “voti”. È tempo di elezioni… E i partiti e i politici sperano di poter convincere la gente e che la gente “metta la croce” su di loro. E quelli che vanno alle urne sperano di migliorare la loro situazione con il “loro voto”. Ma ciò che tutta la carta politica e il cartone nelle strade segnalano è soprattutto che i cittadini devono votare, o in altre parole: la partecipazione degli elettori è necessaria per la legittimità dello Stato!

La politica è inseparabilmente legata allo Stato. E viceversa, ogni Stato ha bisogno di una struttura che aiuti ad amministrare il popolo. La misura in cui poi uno Stato obbliga tutti o solo alcuni a “partecipare” alla politica dipende da vari fattori, ma sono sempre determinati dallo Stato che agisce come autorità centrale e raccoglie il potere. Ciò significa che in questo quadro, i problemi sociali possono essere risolti solo attraverso e con lo Stato. Dal punto di vista delle autorità, l’insoddisfazione per, ad esempio, la situazione abitativa o le condizioni di lavoro non devono quindi essere affrontate dalle stesse persone (colpite) – e se così fosse, al limite solo in una certa misura. Gli insoddisfatti invece devono rivolgersi al governo con petizioni o votazioni. La “conquista politica” – la democrazia, in nome della quale ci si dovrebbe sentire obbligati a “dare il proprio voto” – non permette di più. Si dà quindi il proprio voto a un partito e a un politico che, anche se agisse per convinzione, è sempre all’interno del quadro politico-parlamentare, dove il denaro e il proprio potere politico hanno maggiore importanza.

L’essenza della scelta politica (così come della politica stessa) è sempre prima di tutto il dominio, il potenziamento dello Stato. Risolvere i problemi sociali (attraverso la politica), è sempre secondario, prima viene la legittimazione dello Stato. Si tratta quindi di più poteri, divieti, regolamenti, ecc., poiché questo rende necessario e rafforza uno Stato, un governo e un’autorità. Ma come si può cambiare radicalmente la situazione degli alloggi se non si scuotono le relazioni di proprietà che sono indispensabili per lo Stato? Come si può combattere la precarietà e la povertà se si continua a rimanere nel quadro capitalista? Se si considerano solo le soluzioni offerte dall’economia sociale di mercato (sussidi di disoccupazione, salario minimo, ecc., gestendo così solo la povertà)? In sostanza, le “elezioni”, la politica, non risolvono i problemi, né tanto meno cambiano le condizioni sociali. I conflitti vengono semplicemente pacificati, amministrati e deviati. Se si condivide l’analisi che lo Stato e il capitale creano i problemi sociali fondamentali, allora è una farsa credere che la propria “crocetta” cambierà o migliorerà qualcosa, o addirittura altererà significativamente le condizioni. Non devono quindi sorprendere i socialdemocratici della SPD che parlano di “autodeterminazione” e poi elaborano misure repressive decisive contro i poveri, che il partito di sinistra Die Linke in Turingia sia coinvolto nelle deportazioni e così via…

Le elezioni politiche sono importanti solo per coloro che hanno già fatto i conti con il ruolo limitato del cittadino – e quindi anche con lo Stato come autorità assoluta; in altre parole, che hanno fatto i conti con il fatto che i problemi sociali devono essere risolti al tavolo politico. Perché decidendo di andare alle urne politiche, si decide che i conflitti sociali – la questione di “come vivere insieme?” – vengano sottratti alla “strada” (luogo dove tutti potrebbero partecipare attivamente) per venire discussi indirettamente al tavolo politico dai rappresentanti; nel posto riservato solo ai politici o a quelli che lo diventano. La convinzione che le questioni sociali, una volta monopolizzate dalla politica (o dallo Stato), potranno di nuovo tornare ad essere discusse sulla “strada” è assolutamente ingenua. E qui non sto nemmeno parlando di come i conflitti sociali vengono pacificati dalla politica in modo che non pongano più problemi radicali o costituiscano una minaccia alle condizioni esistenti.

Per quanto riguarda la questione sollevata nel titolo: per cosa votate (cosa scegliete)? Io scelgo lo scontro diretto sui problemi sociali, senza rappresentanza e senza scheda elettorale. Quindi non voto (nemmeno nei referendum), non tanto perché non mi interessa il teatro elettorale, ma perché sto deliberatamente lontano da qualsiasi elezione politica. Non solo è più incisivo quello che si fa lontano dalle urne. L’elezione politica ostacola una vita autodeterminata. Le elezioni contribuiscono a rafforzare l’idea di rappresentanza e di alienazione, che tu puoi dire qual è il problema, ma altri decidono qual è la soluzione migliore per te. Le elezioni rafforzano lo Stato e il capitale, che sono le cause alla base dei problemi sociali. Attraverso le elezioni, l’oppressione e lo sfruttamento (soprattutto di se stessi) continuano e vengono legittimati, indipendentemente dal partito che si vota.

Ciò che è in gioco, quindi, è una critica radicale delle elezioni, che rappresentano la metodologia piú importante per lo Stato per legittimarsi e rafforzarsi. Le elezioni rimangono sempre all’interno della statalità, pertanto non potrebbero mai affrontarne le cause (al massimo possono solo rendere i sintomi più “sopportabili”). Se si ha un interesse in un cambiamento reale e profondo, allora bisogna cercare dei percorsi lontani dalle elezioni, dalle votazioni e dalla rappresentanza e opporsi consapevolmente a questo teatrino elettorale.

Fonte: malacoda.noblogs.org