Teatro e CARCERE… Un abbraccio

Riceviamo e pubblichiamo:

La merda ama stare vicino alla merda — è un dato di fatto. Che sia perché uscita dal medesimo buco di culo o perché galleggiante nella medesima fogna, così è. Ma certa merda ama stare anche accanto alla cioccolata, o per lo meno vorrebbe dare ad intenderlo. Vantarsi di essere nutriente non le basta, non è sufficiente.

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Il teatro è vita, ma la vita non è teatro. L’8 marzo 2020 9 detenuti del carcere di Modena hanno perso la vita in seguito alla repressione violenta di una rivolta interna. Da più di un anno, molti stanno cercando di fare luce sulla vicenda i cui contorni risultano ancora nebulosi, complice il tentativo delle istituzioni di depistare ed archiviare le indagini, mettere a tacere le voci di dissenso e le testimonianze dall’interno. In questo panorama umanamente agghiacciante, il Teatro dei Venti porta a conclusione un progetto teatrale all’interno di questo carcere, dimostrandosi indifferente riguardo ai fatti accaduti e senza la minima empatia verso le persone che lì hanno perso la vita. Infatti, l’unico cinico commento pubblico sulla faccenda è stata la constatazione di aver perso un attore (perché deceduto) e di aver dovuto sostituire il 90% degli altri attori/detenuti (presumibilmente perché trasferiti dopo la rivolta o perché si sono rifiutati o gli è stato vietato di proseguire con il progetto). E’ inaccettabile che individui che si dicono sensibili alla vita all’interno del carcere, nel momento in cui ne sfruttano le risorse umane ed economiche, non siano capaci di prendere posizione sugli episodi avvenuti ed anzi si dimostrino totalmente indifferenti ai fatti. Non solo, si sono spinti addirittura ad elogiare l’operato di guardie ed amministrazione penitenziaria, la cui condotta non è affatto trasparente, trattandosi di un’istituzione totale. E’ risaputo che le istituzioni totali costituiscono mondi paralleli che seguono leggi proprie, in cui la dignità della persona viene ripetutamente calpestata; a ciò contribuisce il completo isolamento dell’istituzione totale dalla società civile ed il mancato controllo, da parte di quest’ultima, del rispetto dei diritti delle persone recluse. Dietro l’apparenza scritta della riabilitazione,con cui le amministrazioni penitenziarie imbellettano quelle scatole di tortura, sta la realtà punitiva e di difesa della società dagli individui pericolosi che lì dentro malauguratamente finiscono. Portare il teatro in certi luoghi di detenzione è, a detta di chi lo fa, principalmente un modo per dare al teatro i brividi della sofferenza vera, addolcendo il tutto con la scusa di fare comunque del bene a chi sta dentro. Questa giustificazione risulta, non solo ipocrita, ma opportunista. Pensiamo che in tutta questa faccenda questi teatranti abbiano più responsabilità di quello che credono, perché facendo vivere la poesia del teatro, hanno forse acceso lumi di bellezza, libertà e giustizia che nella realtà si sono scontrati con la repressione dell’istituzione. A questo punto, però, i teatranti se ne sono lavati le mani, pensando inopportuno scontrarsi con chi in questa storia detiene il potere ed anzi mettendosi al fianco degli aguzzini per continuare le loro attività ed aggiungendo altri piedi a calpestare le vite di esseri umani che dentro quel carcere, in cui loro giocano a fare teatro, hanno trovato invece la morte.