Torino – Intelligenza, cuore e caparbietà. Sulla sorveglianza speciale e ciò che le ruota attorno

Se da qualche parte bisogna pur partire per raccontare questa storia, allora cominciamo da una squadra di solerti carabinieri siti in Mirafiori che, colti dall’affanno di continue incursioni sotto le mura del CIE di rumorosi e scoppiettanti solidali con i reclusi, si impegnano a scrivere annotazioni e rovistano tra siepi e zolle di terra sospette.

Era il lontano 2015 e nel Centro di detenzione per senza documenti, uno dei pochi rimasti in Italia dopo che l’ondata di fuoco e rivolte del 2011 aveva travolto queste infami strutture, i reclusi mettevano in atto resistenze individuali o collettive, scioperi della fame e fughe mentre fuori gruppi di solidali tentavano di rallentare la ristrutturazione delle aree, anch’esse danneggiate dal fuoco delle rivolte.

I carabinieri del nostro racconto, non soddisfatti di quello che (non) stavano trovando, decidono di attendere tempi migliori e nel frattempo affastellano episodi e imbrattano fogli riportando vita, morte e miracoli di un compagno e delle lotte che porta avanti insieme ad altri in città. Tre anni dopo, quando i tempi sembrano maturi, consegnano le carte della lunga indagine nelle mani di un appassionato pm torinese che, con il materiale fornitogli, traccia il profilo del papabile Sorvegliato Speciale, personaggio che per la sua intransigenza all’autorità e le tante azioni di insubordinazione all’ordine costituito, dovrebbe destare allarme sociale e mettere in pericolo la pubblica tranquillità. Il medesimo profilo era stato appiccicato addosso, alcuni anni prima, ad altri quattro compagni torinesi che hanno poi dovuto scontare più di un anno di Sorveglianza.

La storia si ripete ora: le parole scritte in lingua di legno uscite dal Tribunale torinese hanno decretato due anni di Sorveglianza Speciale, applicata dall’agosto appena passato, ad Antonio.

Negli ultimi anni sono stati diversi i tentativi portati avanti da Questure e Procure di disinnescare compagne e compagni in tutta Italia attraverso lo strumento repressivo e preventivo della Sorveglianza Speciale anche se il gioco gli è riuscito male visto che poche son state quelle poi effettivamente applicate. La Sorveglianza Speciale non è utilizzata solamente per tentare di far rigare dritto qualche amante irriducibile della libertà, propria ed altrui, ma è da sempre un’utile arnese per tenere sotto controllo quella parte di popolazione, seppur piccola e marginalizzata, che non sembra avere i requisiti per “vivere onestamente” in società.

In questi tempi bui, in cui le crisi cicliche del capitalismo e la ristrutturazione produttiva creano le basi per un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione che ha meno, la Politica sa bene che parlare di ordine e sicurezza, assumere nuovo organico di polizia e rodare l’armamentario repressivo in suo possesso, sono le armi migliori per gestire, dividere e meglio controllare. Tale ordine di problemi ispirava il decreto Minniti a integrazione del quale giunge l’ultimo pacchetto sicurezza di Salvini. Convogliare il malessere generale verso determinate categorie di soggetti è la cifra della direzione di una guerra sociale e istituzionale nei confronti del più povero e dell’ultimo arrivato. Accanto a esso, il nemico dichiarato è chi da tempo ha preso atto delle proprie condizioni materiali, immigrato o italiano, e ha occupato una casa, protestato nei luoghi di lavoro o in strada bloccando il traffico.

La storia di Antonio non è ancora finita. Nei mesi autunnali ci sarà un’udienza in cui si potrà, per l’ultima volta, mettere in discussione la misura. Noi la vediamo come un’occasione da cui partire per parlare della sua Sorveglianza e di tutte le Sorveglianze che potrebbero riguardare noi come altri, ma anche per provare ad allargare lo sguardo per trovare nuovi punti di attacco per agire contro l’arroganza dei proclami legalitari e la loro violenta messa in pratica.

C’è poco da urlare allo scandalo per l’imbarazzante l’esiguità dei reati per cui un Tribunale può costringere per anni a una vita sorvegliata.
C’è poco da urlare allo scandalo se lo Stato non ammette che si diffondano, in un’epoca fragile, degli esempi negativi che minino la sua reggenza.
C’è poco da urlare allo scandalo se dunque riconosce in noi i suoi nemici così come noi riconosciamo in tutti i suoi burocrati e scagnozzi la nostra oppressione.
Ci sarà da incazzarsi invece se non riusciremo a fare niente affinché la sua morsa non diventi sempre più pressante su di noi e sul mondo che ci circonda.

Questo è un appello per Antonio, per noi e per chi subisce le peggiori vessazioni nella propria vita, perché forse, prima o poi, se avremo intelligenza, cuore e caparbietà, riusciremo a trovare una giusta e collettiva vendetta.

Fonte: roundrobin