Testi e materiali distribuiti durante l’iniziativa del 26/11/21 al Bencivenga + Contributi di Alfredo e Juan

Riceviamo e pubblichiamo una serie di testi e materiali distribuiti durante l’iniziativa in solidarietà ax prigionierx cilenx, svoltasi al Bencivenga Occupato il 26 Novembre 2021. Due opuscoli: uno sullo sciopero della fame condotto dax prigionierx in Cile, l’altro è una raccolta di testi, molti tradotti dalla rivista Kalinov Most, che avevano lo scopo di focalizzare meglio gli argomenti del dibattito: la specifica realtà delle carceri cilene, solidarietà, lotta al carcere. Ci sono anche due contributi di Juan e Alfredo per l’iniziativa, che hanno chiesto fossero diffusi.

FINO ALLA DISTRUZIONE DELLA SOCIETÀ-PRIGIONE

(volantino di introduzione al dibattito distribuito durante l’iniziativa)

Questa iniziativa nasce con la necessità di mandare, nel nostro piccolo, un gesto di solidarietà ax compagnx prigionierx in Cile che nei primi mesi di quest’anno hanno intrapreso due duri scioperi della fame. Vogliamo sostenerlx, anche tramite le traduzioni contenute negli opuscoli preparati per questo incontro, diffondendo la determinazione con cui hanno portano avanti la lotta dentro il carcere, con l’obiettivo di sentirla più vicina a noi che siamo fuori da quelle mura e lontani da quei territori. Nonostante al termine della loromobilitazione i/le prigionierxnon abbiano ottenuto tutto ciò che esigevano, essa ha comunque permesso loro dicostruiree stringere legamidi complicità, sia all’interno del carcere sia al difuori di esso. Legamiche hanno fatto in modo chequesta lottatravalicassebarriere econfini e che, dal momento in cui essasi posizionachiaramentecontro ogni forma di coercizione e di dominio, l’hanno resa riconoscibile e rivendicabile dax refrattarx di tutto il mondo.

Ma non è per semplice voyeurismo verso ribellioni lontane che siamo qui oggi. Con quest’iniziativa intendiamo anche rimarcare la nostra complicità con x nostrx compagnx che oggi sono prigionerx dello Stato, affinché sappiano che non sono solx. Anche da questa parte del mondo abbiamo infatti dex prigionierx anarchicx che hanno condotto di recente diverse lotte all’interno del carcere. Lotte condotte singolarmente o in maniera collettiva, scioperi e rivolte di massa come quelle di Marzo 2020 contro la gestione pandemica all’interno delle carceri. Lotte la cui qualità, per riprendere un concetto espresso con enfasi nel contributo che Juan, prigioniero nel carcere di Terni, ha scritto per quest’iniziativa, è strettamente connessa ai rapporti che intercorrono tra dentro e fuori il carcere. Questi rapporti sono gli stessi su cui hanno insistito ripetutamente x prigionierx e x compagnx cilenx affermando che “la prigione è parte delle opzioni della lotta, è parte di essa e pertanto, invece di essere una parentesi o una pausa, si configura come uno scenario in più dove portare avanti lo scontro” e che è necessario intendere “il/la prigionierx come unx compagnx attivx, in lotta, che si trova in questa condizione particolare conseguentemente ad un cammino scelto che non finisce tra [quelle] quattro mura”. Rapporti sui quali è necessario investire se intendiamo riconoscere x prigionierx come nostrx compagnx, come complicx nella lotta contro ogni potere, soprattutto in questo momento in cui questi rapporti sono sotto attacco. Le ultime operazioni repressive in Italia hanno infatti, tra gli altri, lo scopo di colpire la comunicazione tra il mondo fuori e quello all’interno del carcere, mettendo sotto pressione la comunicazione epistolare attraverso la quale x prigionierx continuano ad essere parte del dibattito anarchico e della lotta, fornendo riflessioni, contributi, proposte d’intervento e stimoli all’azione. Ora più che mai è dunque il momento di incrementare gli sforzi nella direzione di una sempre maggiore comunicazione e complicità con i/le prigionierx, avendo come obiettivo non il semplice sostegno in chiave assistenziale, ma piuttosto il rafforzamento della nostra capacità offensiva contro questo sistema di dominio e di sfruttamento.

In questa ottica ci sembra importante affermare con forza la convinzione secondo la quale i nostri rapporti di complicità e di solidarietà sono la nostra più grande forza, e sono questi che dobbiamo rafforzare e curare, tanto localmente quanto internazionalmente. Nel comunicato pubblico di inizio di questo sciopero della fame x compagnx hanno lanciato infattiuna chiamata aperta a “tuttx i /lx solidalx e a tuttx coloro che si posizionano contro il carcere e l’oppressione a farsi parte attiva in questa lotta”. Vogliamo rispondere a questo invito interrogandoci durante questa iniziativa su come coltivare qualitativamente questi rapporti: come intesserli, e soprattutto, come preservarli e rafforzarli durante i “momenti caldi” della lotta?

Sentiamo inoltre la necessità di interrogarci sul concetto della solidarietà, nello specifico della solidarietà con x prigionierx e con le lotte che intraprendono, sul senso che le diamo partendo anche dai limiti e dai successi che hanno avuto le mobilitazioni in Italia negli ultimi tempi, per cercare di andare oltre il semplice sostegno ax prigionierx nella prospettiva di una convergenza tra dentro e fuori il carcere nella comune lotta contro quest’istituzione e contro la società che lo necessita. Cosa intendiamo quindi per solidarietà con x compagnx anarchicx prigionierx? Attraverso quali forme crediamo sia necessario che si esprima?

Contributo di Alfredo Cospito per l’iniziativa in solidarietà con x prigionierx cilenx tenutasi al Bencivenga Occupato il 26 Nov 2021

Quando i compagni e le compagne mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sulla solidarietà rivoluzionaria e sul Cile, e su quello che i generosi prigionieri e prigioniere cileni/e stanno facendo, pur con le mie limitate informazioni mi sono mobilitato pieno di entusiasmo. Non mi capita tutti i giorni di poter dare da qui dentro il mio contributo ad un dibattito. Ero avanti con la scrittura quando una perquisizione dovuta ad un altro mandato di arresto per apologia di terrorismo ma ha privato di tutto quello che avevo scritto. Io non mollo e con ritardo ci riprovo nella speranza che queste mie parole riescano a bucare la censura e ad arrivare in tempo per l’iniziativa, altrimenti troveranno un altro spazio, prima o poi riusciranno comunque a vedere il sole. Nel mio vecchio scritto le mie riflessioni rispetto alla situazione cilena e alla pratica anarchica nel mondo ruotavano intorno a pochi pensieri, che qui cercherò di riassumere, per poi dargli un senso compiuto, più concreto ed inerente il nostro discorso: “per rendere nitidi i contorni delle cose, bisogna lavorare per sottrazione, non per addizione, per capirci la semplificazione non ha solo una valenza reazionari.

Togliendo il superfluo si arriva alla sostanza, alla lotta armata contro gli stati. Per me la base di questa lotta non può che esserci guerra di classe e lotta antitecnologica. Partendo dal “piccolo” (azioni sul territorio) si arriva al “grande” (collasso del sistema). Per quanto semplicistica sia questa visione è l’unica per me possibile in questo momento. A volte fuorvianti e prive di concretezza mi paiono certe accoppiate di parole: anarchismo nichilista, anarco-sindacalismo, individualismo anarchico, insurrezionalismo anarchico, comunismo anarchico… può esistere un anarchismo che non sia individuale? Dove se non nell’esistenza del singolo individuo può sorgere una volontà di insubordinazione? E se l’anarchismo non è in qualche modo offensivo che tipo di anarchismo è?

L’anarchismo è o non è. Se non medita di attaccare lo stato cessa di essere se stesso. L’anarchismo per essere, deve produrre qualcosa, un fatto, una parvenza di azione distruttiva, un progetto. Sono sempre più convinto che in quest’epoca non bisogna costruire e che la “salvezza” risieda nella pura e semplice distruzione, nel togliere non nell’aggiungere. E quando parlo di ”salvezza” parlo della sopravvivenza della nostra specie e della vita stessa sul pianeta.”

Questi miei strani pensieri sono il frutto cervellotico della vostra richiesta di dire la mia sul contributo che i compagni e le compagne cilene hanno dato da dentro le carceri. Ma sono anche il prodotto di una mia riflessione sullo scoramento che ho recepito in alcune lettere di generosissimi compagni e compagne pieni e piene di pessimismo e senso di sconfitta. Alcuni si sono lamentati che tutti gli sforzi indirizzati alla solidarietà nei confronti dei ribelli insorti nelle galere italiane siano stati poi recuperati dai referenti para-istituzionali. Che nello specifico i parenti dei detenuti hanno preferito rivolgersi al “partito radicale” piuttosto che partecipare a presidi di compagni e compagne. Questo loro “scoramento” ci deve fare riflettere. È qui mi ricollego al discorso appena fatto, sulla “semplificazione”, sul fatto che per rendere nitidi i contorni delle cose, bisogna lavorare per sottrazione non per addizione.

Ma cosa abbiamo noi anarchici e anarchiche da “offrire” agli sfruttati? In mancanza di un cambiamento reale, di una “rivoluzione”, una cosa sola; violenza contro i padroni e vendetta contro gli aguzzini. È più che normale che in mancanza di violenza e vendetta i parenti dei detenuti per ottenere almeno qualche ”beneficio” o “miglioramento” per i loro cari si rivolgano a chi avrebbe (almeno in potenza) il “potere” di esaudire le loro richieste, associazioni umanitarie, preti e partiti. È chiaramente la mancanza di violenza rivoluzionaria e vendetta che rende sterili e senza prospettiva i nostri sforzi. Sono convinto che in periodo come questo di ribellioni incoerenti e a volte confuse, bisognerebbe essere chiari e decisi. Non limitarsi al livello generale di conflittualità, che è molto basso, ma passare all’attacco. Abbiamo come anarchiche e anarchici un notevole bagaglio di esperienza accumulato in anni e anni di azioni. Colpire e colpire e sempre colpire in piccoli gruppi, individualmente, solo così potremo ottenere risultati e sperare di indebolire il “nemico”. Si! Credo sia arrivato il momento di tornare (per quanto possa apparire ridondante e stucchevole) ad un linguaggio di guerra, perché comprensibile a tutti, perché segna comunque un’attitudine chiara all’attacco. E qui mi ricollego al discorso che stiamo affrontando, la solidarietà rivoluzionaria e la situazione in Cile. Una caratteristica non trascurabile di quel paese è che l’ondata di azioni che hanno caratterizzato la cosiddetta “Internazionale Nera” non si è mai fermata. Fermento e azioni che in Cile hanno influenzato anche le lotte sociali. La stessa cosa, mi sembra, si stia verificando in Grecia, dove le azioni stanno riprendendo in maniera sempre più chiara e netta. I compagni e le compagne prigioniere di questi due paesi sono riusciti attraverso la loro coerenza a rapportarsi fuori con un movimento combattivo. E lo hanno fatto in maniera lucida, respingendo fanatismi e rigidità ideologiche. Cosa che il sottoscritto non è sicuramente riuscito a fare. Un esempio tra i tanti di questa salutare abitudine la bellissima risposta di Francisco e Monica alle rigidità semi-demenziali che arrivano dall’esterno. Mi riferisco alla schematica ed insulsa distinzione tra prigionieri “puri”, “nichilisti” degni di solidarietà e gli altri provenienti da altre esperienze rivoluzionarie da ignorare bellamente. Per mia disgrazia tra i “puri” sono stato infilato anche io cosa che mi ha provocato una certa sgradevolezza. Per quel che vale la mia opinione sull’argomento sono completamente in sintonia con i due compagni, non avrebbero potuto esprimere meglio quello che anche io penso. I compagni e le compagne cileni sono riusciti in una cosa che noi sparuti anarchici e anarchiche prigioniere dello stato italiano non siamo riusciti a fare. Stimolare la lotta fuori e coordinarla con altri detenuti attraverso parole di fuoco e soprattutto fatti. In questi ultimi dieci anni di prigionia io ed i miei compagni e compagne più vicini con tutti i nostri limiti e contraddizioni abbiamo “agito”, scioperi della fame anche molto duri, vari danneggiamenti in solidarietà con prigionieri e prigioniere di altri paesi. Abbiamo scritto, fatto libri, contribuito a giornali. Per non parlare poi delle dichiarazioni e rivendicazione di azioni in tribunale, dichiarazioni più o meno riuscite e coerenti ma tutte con la volontà di comunicare forza e coerenza fuori. Quello che voglio dire con questa mia filippica è che forse la “crisi” che il movimento qui da noi sta attraversando è dovuta alla mancata intensità e diffusione delle azioni. Una visione “semplicistica” la mia, magari le cose fuori vanno benissimo ed il mio sguardo sul mondo è distorto dalla realtà che mi tocca vivere, ma i sintomi di una sorta di crisi, di stallo, ci sono tutti. Compagni e compagne in gamba che si scontrano su questioni di lana caprina, un’aria generale plumbea di rassegnazione e confusione, un’esasperata e “sofisticata” teoria che si arrotola su se stessa, diventando sempre più incomprensibile e cervellotica. Tristissimi “processi pubblici” contro la mancata “coerenza” di alcuni compagni seguiti da ancora più tristi mea-culpa. E poi il nulla o quasi, ma non bisogna disperare perché in quel “quasi” c’è la speranza, c’è la felicità e la gioia di lottare.

Nulla è finito, tutto continua, sono convinto che assisteremo a grandi sommovimenti e sarebbe un peccato rimanere indietro. Fare come in Cile e in Grecia, continuare sulla strada dell’Internazionale Nera della solidarietà rivoluzionaria che scavalca confini e crea mondi. Con tutti i imiti della nostra storia certe prospettive hanno fatto parte della nostra vita, e sono figlie di esperienze ancor più lontane. I compagni e compagne cileni sono riusciti a rapportarsi con il movimento senza essere saccenti e dogmatici e senza mai cedere in conflittualità e coerenza. Riuscendo anche ad essere aperti e propositivi con i movimenti fuori e con le varie assemblee di solidarietà. Indubbiamente il mio percorso è stato meno propositivo e costellato di “sparate” saccenti. Basti pensare alle mie forti critiche contro i presidi e la mia (ne sono cosciente) spiazzante esaltazione della pratica del “terrorismo”. Ho sempre detto la mia cercando di “spingere” ma in questa mia “ossessione” di rilanciare di continuo risiede la forza di andare avanti, di continuare a lottare. Mi sento sempre insoddisfatto, mi sembra sempre di non aver fatto a sufficienza, e più volte mi sono chiesto in questi 11 anni che ruolo posso avere nella lotta io prigioniero anarchico di “lunga durata”? Solo resistere? Fuori le cose cambiano, i miei stessi compagni cambiano ed io continuo a trovarmi nel ventre del leviatano in una sorta di limbo. La prudenza non è mai stata il mio forte. Ed ogni mio scritto, per scalcagnato che sia, porta di fatto il rischio di peggioramento della mia situazione penale (diciamo così). Non è certo a cuor leggero che ogni volta mi appresto a scrivere, è più che altro una necessità vitale per me comunicare all’esterno, il non farlo equivarrebbe a spegnermi in attesa di una liberazione che potrebbe anche mai avvenire. Fuori di dubbio che 11 anni fuori dai “giochi” rendono problematica la mia visione della realtà. Pochi giorni fa la censura mi ha fatto arrivare una lettera in cui due compagni (in risposta ad una mia critica, indubbiamente “forte” sul recupero della “nuova anarchia” da parte del “vecchio” insurrezionalismo anarchico) mi facevano notare (tra le altre cose) il mio parlare di cose che non conosco, perché a me ormai lontane. Avrò modo di rispondere anche in maniera “dura” a questi compagni su questa mia “pretesa”. Ma voglio approfittare dell’occasione che mi hanno dato per dire che il problema che questi compagni hanno sollevato è più che mai legittimo ed ha una certa concretezza.

Tutti e tutte i compagni e le compagne dentro per molti anni prima o poi se lo pongono. Noi anarchici e anarchiche inevitabilmente ci poniamo in maniera individuale nei rapporti col mondo, nel mio caso non ho un’organizzazione a cui delegare e affidare il proseguio della mia lotta fuori. Né tanto meno una chiave di lettura univoca ed inossidabile della realtà fuori di qui. Detto questo è indubbio che il mio è un andare avanti a tentoni e che l’unica mia bussola è un certo intuito dettato dall’esperienza. Ciò naturalmente non mi evita errori anche se cerco sempre di pesare le parole che uso, che alle volte (ne sono cosciente) possono risultare sgradevoli. Ma in fin dei conti nessuno ha la verità in tasca, o sbaglio?

Per concludere credo che l’insegnamento dei compagni e delle compagne prigionieri cileni risiede tutto in questa frase di Monica: “la prigione è solo un altro modo di intendere la lotta, il conflitto antiautoritario non è finito per me, ha solo cambiato forma”.

Sempre per l’anarchia

Alfredo Cospito
prigioniero anarchico
dello stato italiano

Contributo di Juan Sorroche per l’iniziativa in solidarietà con x prigionierx cilenx tenutasi al Bencivenga Occupato il 26 Nov 2021

Hola compagnx,

come contributo alla discussione di questa iniziativa vorrei fare alcune riflessioni. Sono riflessioni che nascono dal rapporto con pratiche condivise, non solo a parole, e che credo che sia vantaggioso criticare costruttivamente. Sono convinto che senza queste intenzioni costruttive io tendo ad affondare nei miei errori e nella frustrazione. Dunque credo che queste intenzioni fondamentali siano fondamentali per lo sviluppo, l’evoluzione, sia di me stesso che di coloro con i quali mi organizzo per la lotta. Questo è un valido approccio per il benessere di se stessi e del gruppo, per i rapporti, per la qualità del fare, per un’altra natura e sostanza qualitativa. Un’altra visione. Approccio che non è sinonimo di annacquamenti delle teorie-pratiche o del confronto franco e anche animato. Questo approccio vuole tendere allo sviluppo di relazioni concrete nella lotta. Relazioni, come scrivono Francisco e Monica, come prassi di lotta anarchica basata sullo scontro con l’autorità in un conflitto permanente che ha come fondamento la libertà individuale. L’approccio di confermarsi e affermarsi positivamente è un modo di crescere e sviluppare, in un modo meno amaro-pessimista, la ribellione e la lotta contro tutto il mio intorno (quello nocivo, dannoso, nemico), la città, la società capitalista-statale: “IL NEGATIVO”. In quanto anarchico ribelle cerco il benessere, la liberazione, a livello politico, economico, sociale, psicologico-introspettivo-spirituale, il che non può prescindere dal liberarsi da questa negatività auto-distruttrice che sono le relazioni capitaliste-statali e agendo consapevolmente si prova a liberarsi da questo pessimismo sfavorevole in tutti i contesti delle nostre vite-lotte inculcato dalla società capitalista-statale-colonialista.

Faccio questo discorso perché credo, sono convinto, che sia fondamentale oggi, qui e ora, una trasformazione paradigmatica nell’affrontare le relazioni, gli approcci fra compagnx e non solo, con tuttx e tutto. Non posso affermare di solidarizzare con la galassia anarchica in Italia se non la rispetto, non posso chiamare all’unità di intenti internazionalmente se poi nella vita e relazioni non provo a praticarla. Certo questo non è semplice o facile, anzi, ma credo che dovrebbe essere messo in pratica ogni giorno, altrimenti che senso ha.

Parlo della negatività di questa società, della quale siamo parte, del fatto che ci trattiamo e ci relazioniamo come nullità, cose, oggetti, prodotti, averi, arnesi (di lotta, etc), tutto questo è la base fondamentale che regge la società, il sistema del capitalismo-statale-colonialista. La negatività, la nullità, l’essere oggetti, il trattare le nostre interazioni e x altrx come oggetti sono dinamiche dinamiche che abbiamo inculcate fin da piccolx, ecco perché devo partire da uno sguardo verso di me, sul mio essere razzista, machista, autoritario, come anche sul nuovo problema delle relazioni tecnologiche, assumendolo.

Questi problemi assumono molte forme e molte ramificazioni (secondo me tutte collegate), problemi complicati da risolvere che richiederebbero analisi approfondite e molta, molta, lotta. Subito. Non credo che la questione si possa risolvere o nemmeno liquidare con superficialità dicendo: “lo faremo dopo, quando avverrà la rivoluzione”. Oppure che tendere verso questi aspetti della lotta non è parte della lotta di classe. Credo che dire questo sia frutto di una visione ristretta della lotta di classe. Però non possiamo neanche SOLO  rinchiuderci nelle “nostre comunità”, o solo fare analisi, auto-analisi e affrontare l’essere oggetti, razzisti, omofobi, ecc ecc non andando all’offensiva della radice generale della lotta: il capitalismo-statal-colonialista. É necessaria l’inclusione di tutti i livelli della lotta-vita.

E io credo, sono convinto, che tutto ciò è in interazione. Per questo centra con la solidarietà attiva che è quello di cui volevo parlare all’inizio del testo. Però ho divagato un po’. La crescita dei rapporti e lo sviluppo della solidarietà attiva non dovrebbero prescindere da queste analisi e da queste riflessioni. Come non si può prescindere dall’azione concreta, multiforme che nell’unione di intenti provi a trasformasi in pratiche dalla A alla Z. La multiformità è molto qualitativa se è praticata dalla A alla Z, altrimenti diventa spuntata. In questo lo sciopero della fame che hanno proposto x compagnx cilenx è stato molto qualitativo sia nella multiformità delle pratiche che nello spirito di coesione e di complicità nella prassi antiautoritaria, dentro come fuori, e questa è qualità aldilà del risultato. È questo che bisognerebbe migliorare e sviluppare. Perché so che quella lotta non era il fine, ma l’inizio di rapporti di solidarietà fraterna. Sono orgoglioso di aver partecipato alla lotta. Assieme. Approfitto di questa occasione per mandare un saluto con rispetto e affetto a tutti i gesti solidali e alle individualità che li hanno messi in pratica, qui in Italia, nella “vostra” città, come negli altri posti del mondo. Bisogna continuare a CREARE rapporti con lo scopo dello sviluppo della lotta e della galassia anarchica sia in Italia, e lo so che ci sono difficoltà enormi, come a livello generale, internazionalmente. La solidarietà è una visione che necessita di un equilibrio che messo in pratica alchemicamente unisca l’universale con lo specifico e viceversa. I rapporti di Fratellanza/Sorellanza che si creano nel concreto della prassi, con rispetto, con le diversità, l’affetto che nasce verso x compagnx lottando assieme nella mutua solidarietà è qualità e non retorica. Non è un’opinione: è un fatto nato dalla prassi.

Però credo che per avere unità di intenti, sia a livello specifico che generale, prima di tutto bisogna avere forza di per sé stessx. Io credo nell’unità di intenti (e non mi stancherò mai di discutere con x compagnx per questo), ma deve avvenire quando si è forti e preparatx, non impreparatx e fragilx cercando l’unità a tutti i costi. Per la lotta e per liberarsi bisogna avere sia modi, metodi e mezzi, sia la volontà, il coraggio, una grande sensibilità, fede nella lotta anarchica, passione e credere in quello che sei e fai, con chi lo fai. Bisognerebbe avere una strategia globale che venga dall’analisi della storia e delle condizioni attuali, abbiamo visto nella pratica che solo la volontà, il coraggio e la fede nella lotta non sono abbastanza. Per non essere impreparati c’è bisogno di organizzarsi.

Per adesso vi saluto tuttx, mando un saluto solidale a Francisco che ho saputo ha un problema di salute, a Boris in Francia anche: forza! A Pablo Bahamondes condannato a 15 anni, coraggio! A Monica, Marcelo e x compagnx cilenx, a Gabriel Pompo da Silva e a tuttx x compagnx prigionierx nel mondo! E a quellx che fuori continuano a lottare!

SALUD Y ANARQUIA

Juan Sorroche
carcere di Terni, sez. AS2
8/11/2021

Opuscolo Sciopero Della Fame PDF

Raccolta Testi (non impaginato) PDF

Contributo di Alfredo Cospito PDF

Contributo di Juan Sorroche PDF