Strasburgo, Francia – Storia d’amore infinita tra sicurezza e repressione

Martedì sera, 11 dicembre, poco prima delle 20 nel centro città di Strasburgo un ragazzo di 29 anni spara diversi colpi di pistola uccidendo 4 persone e ferendone 12. Subito dopo fugge prendendo un taxi e dirigendosi nel quartiere poco lontano di Neudorf. Polizia, forze speciali e gendarmerie riescono a individuarlo e inizia una sparatoria, tutti credono che la corsa sarebbe finita da li a poco ma incredibilmente riesce a sfuggire (oltretutto ferito) e a far perdere le sue tracce. Le ricerche proseguono per tutta la notte ma del killer nessuna traccia. Le ore passano e le notizie iniziano a trapelare, insieme agli automatici sospetti a cui in seguito daranno conferma: si tratta di terrorismo di matrice islamica. Il ragazzo di nome Cherif Chekatt, con 27 condanne, sembra si sia radicalizzato in prigione durante il periodo di detenzione nel 2016. La città viene blindata dalle forze dell’ordine e la priorità assoluta è quella di trovare il mostro che ormai ha terrorizzato la città. Il ministro degli interni Christophe Castaner si precipità a Strasburgo per tenere una conferenza stampa: “Le scuole domani rimarrano aperte, non dimostreremo di avere paura. I mercatini di natale invece rimarrano chiusi almeno domani per facilitare le operazioni di polizia”.

Nella notte del 11 dicembre, Strasburgo diventa tutto ad un tratto una città insonne e spaventata, finché, dopo 50 ore di ricerche, le forze dell’ordine intervengono nuovamente nel quartiere Neudorf e dopo averlo intercettato, questa volta lo uccidono a colpi d’arma da fuoco. Gli abitanti del quartiere, anche se da lontano, assistono all’operazione e pian piano la notizia dell’uccisione del mostro si diffonde. Si tira un sospiro di sollievo, la folla applaude entusiasta, osanna le forze dell’ordine al grido di “eroi”. Le foto del killer con una pallottola in testa iniziano a girare nei social e gli eventi organizzati per festeggiare il ritorno del natale iniziano a fioccare. I mercatini di natale dunque sono salvi!

Come si dice:”tolto il dente, tolto il dolore”,”tutto è bene quel che finisce bene”.

Sarebbe superficiale per non dire inutile fermarsi qui e non andare ad analizzare le mille sfaccettature che questa vicenda offre.

Per comprendere meglio la faccenda e capire a quante altre strade ci porta, bisogna inevitabilmente cominciare dai primi attentati avvenuti a Parigi all’inizio del 2015. Non ci interesseremo tanto dei fatti in se ma altresì delle conseguenze che hanno portato sull’intera società. Nel 2015 e nel 2017 infatti ci furono gli attacchi terroristici più importanti che la Francia ricorda negli ultimi tempi. Nello stesso 2015 il consiglio dei ministri dichiara il famigerato “etat d’ugence”(stato d’emergenza)… che il gioco abbia inizio! Questa misura, che doveva servire ad individuare più facilmente i terroristi si rivela molto infretta uno scaltro pretesto per attuare una repressione che non ha precedenti nella storia. Intensifica massicciamente la presenza delle forze dell’ordine in qualsiasi angolo della città, consente di perquisire e mettere in stato di fermo senza dover passare per un giudice e per un periodo interdice completamente le manifestazioni. Si iniziano a verificare degli strani episodi in tutta Francia, come è capitato ad esempio a due agricoltori che, una mattina si ritrovarono dei poliziotti in casa, prelevandoli dalla loro abitazione per aver partecipato ad una manifestazione 3 anni prima alla ZAD di Notre Dame des Landes. Lo stato d’emergenza è stata una misura ostile e a dir poco ingombrante ma la maggior parte, ingenuamente, confidava nel fatto che sarebbe stata una condizione temporanea e che tutto sarebbe tornato “normale” (come se abitualmente non fossimo già repressi abbastanza). Contrariamente a quanto si sperava lo stato d’emergenza si prolungò ufficialmente fino alla fine del 2017. Dopo le elezioni presidenziali, il neopresidente Macron interrompe il periodo d’urgenza ma subdolamente lo sostituisce con una legge fatta a doc per “rinforzare la sicurezza interna e la lotta contro il terrorismo”. Stessa solfa insomma.

Il peso dell’état d’ugence si sente molto a Strasburgo e il motivo è abbastanza evidente, data la numerosa presenza di importanti strutture istituzionali europee. I licei e le università vengono controllate da un’imbarazzante squadra privata di vigilanti con casacche blu, il cui compito dovrebbe essere limitato alla sorveglianza , ma ben presto il mansionario cambia. Cominciano a mettersi davanti alle porte d’ingresso delle facoltà chiedendo la tessera dello studente per poter accedere all’interno e facendo così nascere una sorta di élite degli studenti, che si sentono in diritto di escludere chiunque non sia iscritto o voglia semplicemente accedere ad una biblioteca scolastica. Impediscono i tentativi di occupazione, partecipano alle assemblee studentesche per riferire tutto ciò che sentono alle forze dell’ordine, fermano con la forza i vari tentativi di bloccaggio e chiudono le porte d’ingresso con una chiave elettronica a seconda della loro percezione di pericolo. Le manifestazioni sono assediate da gerndarmerie con una sproporzione di forze impressionante (la mattina dello stesso giorno dell’attentato un centinaio di liceali fanno un corteo selvaggio spontaneo; arrivano immediatamente 12 camionette dei CRS arrestando dai tre ai cinque ragazzi e ferendone due). Per i mercatini di Natale la situazione peggiora, il centro città viene completamente blindato con barriere filtranti sui ponti e perquisizioni, di modo che turisti e abitanti abbiano la sensazione di essere al sicuro. Ma è tutto una farsa. I controlli si superano facilmente in quanto le perquisizioni sono superficiali e le barriere filtranti ,in almeno 2 punti, si oltrepassano semplicemente prendendo il tram che arriva in centro. E’ fintroppo chiaro che, oltre il fatto che la sicurezza non si misura in rapporto a quante forze di polizia si mette in campo, lo stato d’emergenza sia stata una becera misura adoperata allo scopo di reprimere ferocemente le persone, dandogli al tempo stesso la parvenza di essere al sicuro. E l’attentato di mertedì sera ne è la prova schiacciante; un ragazzo di 29 anni entra liberamente in un mercato super presidiato da forze dell’ordine con una pistola in mano sparando all’impazzata. Ma ecco che lo stato d’emergenza riaffiora magicamente sulle labbra del “Monsieur le Président, Macron”. Sembra un loop infinito.

Un’ultima cosa bisogna dirla per scongiurare varie voci: l’attacco terrorista non è stato un complotto, ma verrà sicuramente utilizzato dallo Stato francese come contromisura per reprimere il movimento spontaneo dei Gilets Jaunes. Infatti, nei giorni successivi all’attentato, i media francesi diffondono tutti lo stesso messaggio :”il movimento dei gilets jaunes si deve fermare”. Non solo i media ma anche le figure istituzionali come il porta parola del governatore, il ministro della giustizia e varie cariche politiche invitano alla calma per la giornata di sabato 15. Alcuni media addirittura colpevolizzano i liceali che la stessa mattina avevano manifestato per strada, accusandoli di aver fatto impegnare un grosso numero di forze dell’ordine in punti della città non necessari. Tutto ciò risulta ovviamente falso ( in quanto l’attentato è avvenuto alla sera e le manifestazioni si erano interrotte nel primo pomeriggio) e a dir poco surreale.

Le istituzioni contrappongono (come è nella loro natura) violenza e repressione per dare la percezione di combattere questo modello di “nuovo” terrorismo. Il risultato però è di cercare di fermare il sangue di una ferita aperta con le mani. Non è nel loro interesse eliminare per esempio, le disuguaglianze conomiche e sociali fra centro città e banlieu per evitare il sorgere di questi episodi. Più facile invece affermare che siano dei pazzi semplicemente indottrinati che da un giorno all’altro si alzano e uccidono le persone.

Questo attentato, ha confermato ulterioremente che la società che conosciamo fa acqua da tutte le parti e che la sicurezza in stile repressione è fuorviante e infame.

Fonte: roundrobin