“Sto uscendo” – Un’analisi critica della rivolta del 2020 contro la dittatura in Bielorussia (Prima parte)

Prefazione per la traduzione francese

Nell’agosto 2021, il sito Pramen.io ha organizzato una videoconferenza sulla rivolta bielorussa del 2020, e sulla repressione passata e attuale. Anche se questa conferenza si è basata principalmente sugli elementi presentati nel testo che state per leggere, ecco un rapido riassunto, completato da vari elementi racimolati qua e là, tra l’altro durante i due tour informativi della Croce Nera Anarchica (ABC) Bielorussa, che hanno avuto luogo in Europa occidentale nel 2011 e nel 2014.

Il movimento anarchico bielorusso, come lo conosciamo oggi, è emerso negli anni 2000. Intorno al 2010, le forze repressive dello stato bielorusso hanno cominciato a prestare molta attenzione a questo movimento emergente. La polizia è stata addestrata a “conoscere” gli anarchici, che da allora hanno affrontato una costante repressione.

Il movimento anarchico non ha avuto altra scelta che adottare un approccio operativo quasi clandestino. La costante sorveglianza della polizia politica rendeva molto complicata l’organizzazione anche della più piccola riunione. Qualsiasi azione pubblica avrebbe potuto portare ad arresti e pene detentive. Ma per tutta risposta, gli anarchici bielorussi sono stati in grado di creare forti strutture di solidarietà, come l’ABC Belarus.

La rivolta esplosa il 9 agosto 2020 in Bielorussia ha avuto luogo in un contesto molto particolare. Nella primavera del 2020, l’epidemia di COVID-19, e soprattutto la sua gestione disastrosa da parte del regime dittatoriale, avevano spinto la popolazione ad organizzarsi quotidianamente. I fallimenti del regime in questo senso hanno portato ad un forte sentimento di rabbia nei confronti di Lukashenko, il dittatore dal 1994. A maggio, l’atmosfera si stava già surriscaldando.

Tuttavia Lukashenko, non ha annullato la campagna elettorale, e ha tentato un approccio più “morbido” rispetto alle elezioni precedenti: ad esempio agli oppositori è stato permesso di fare campagna pubbliche e ad alcuni è stato persino concesso qualche minuto in televisione. Ma la crescente popolarità di alcuni oppositori, come Sergei Tikhanovsky e Viktor Babariko, ha indotto Lukashenko a tornare ai “vecchi” metodi, e a mettere in prigione la maggior parte dei candidati.

Il 9 agosto, la sera delle elezioni, Lukashenko è stato annunciato vincitore con l’80% dei voti. La rivolta è esplosa, non solo nelle strade di Minsk, la capitale, ma in tutto il paese, cogliendo di sorpresa il regime.

La mattina del 12 agosto, il bilancio della repressione era di 6.000 arresti (cifre ufficiali, la realtà è certamente più alta), più di 150 ricoveri, e almeno cinque persone uccise dalla polizia.

Dopo questa esplosione di violenza repressiva, una parte dell’opposizione ha chiesto la calma. Dall’altra parte, il regime, intuendo che la situazione stava sfuggendo di mano, ha allentato la pressione. Una de-escalation ha quindi avuto luogo “su entrambi i lati della barricata”. Da parte dei manifestanti, c’è stata una caccia ai “provocatori” che chiamavano ad azioni radicali, e l’inizio di un ciclo di manifestazioni pacifiche. Queste manifestazioni sono state così massicce, raccogliendo il 10-20% della popolazione del paese, che una parte dell’opposizione, soprattutto la frangia liberale, ha dato per scontata la caduta del regime.

La maggioranza degli anarchici non credeva che Lukashenko se ne sarebbe andato da solo, ma la loro analisi, che alla fine era corretta, non è riuscita a influenzare il corso della protesta.

Da parte sua, lo stato ha attuato una strategia repressiva molto efficace, e ha ripreso il controllo delle campagne e delle piccole città, dove il movimento aveva poca copertura mediatica. Nel momento in cui lo stato ha ridisposto le sue forze nella capitale, il movimento si è reso conto dell’impasse pacifista in cui era precipitato, ma era troppo tardi per recuperare la portata dei primi giorni della rivolta, e Il movimento ha iniziato a spengersi gradualmente sotto i colpi di una repressione metodica.

All’interno del movimento Agosto 2020, tra coloro che favorivano l’azione diretta e frontale contro il regime, gli anarchici erano un modello, a volte un po’ troppo idealizzato, secondo il relatore della conferenza. Organizzati in piccoli gruppi di affinità, erano pronti all’azione, a differenza della maggior parte delle altre componenti del movimento.

Gli anarchici parteciparono a questo movimento con la consapevolezza che le loro richieste erano in estrema minoranza al suo interno. Tuttavia, le loro idee riuscirono a permeare il movimento, in particolare la loro opposizione al centralismo statale.

Attualmente, sedici anarchici e otto antifascisti sono imprigionati in Bielorussia. Quattro di loro sono detenuti in regime di antiterrorismo e stanno affrontando pene molto lunghe. Questi sono quattro compagni anarchici che hanno imbracciato le armi e si sono dati alla clandestinità prima di venire arrestati. Otto sono accusati di “partecipazione a un’organizzazione criminale internazionale”, un’accusa creata dal regime bielorusso, che gli permette di usare l’attivismo politico passato, e i legami con alcuni movimenti rivoluzionari stranieri, come prova contro di loro.

Per sostenere il movimento anarchico bielorusso, è importante continuare a diffondere le informazioni a nostra disposizione e organizzare azioni di solidarietà. Per esempio, alla fine di agosto 2021 c’è stato un appello per una settimana di solidarietà con la rivolta bielorussa. È anche possibile inviare denaro, per esempio a ABC Belarus o al gruppo Pramen. E infine, dimostriamo la nostra solidarietà ribellandoci contro le nostre condizioni di vita, ovunque ci troviamo.

Il seguente articolo è tradotto dalla versione inglese, a sua volta tradotta dalla versione originale russa. Speriamo che le traduzioni successive non si discostino dal significato originale.

Link al sito web di Pramen: https://pramen.io/en/

Prefazione di Crimethinc per la traduzione americana

Nell’agosto 2020, una rivolta in Bielorussia ha quasi rovesciato Alexander Lukashenko, dittatore del paese dal 1994. Nella seguente analisi, gli anarchici che hanno partecipato alla rivolta discutono il suo successo, e come il regime e l’opposizione liberale hanno minato il movimento prima che potesse rovesciare la dittatura. Questo documento è inestimabile per coloro che vogliono capire i meccanismi di una rivoluzione, il suo recupero e la repressione, e la politica specifica di questo scenario post-sovietico.

Le loro conclusioni saranno familiari a coloro che hanno partecipato alle rivolte in altre parti del mondo negli ultimi anni. Per avere successo, un movimento rivoluzionario deve fin dall’inizio cercare di raggiungere i suoi obiettivi attraverso azioni concrete, piuttosto che attraverso gesti simbolici o appelli all’autorità. I miti della rivolta “pacifica”, della rispettabilità e della legittimità servono a rendere innocui i movimenti, a svuotarli del loro potenziale. Le persone che vogliono un profondo cambiamento sociale dovrebbero sviluppare reti decentralizzate basate su forti relazioni interpersonali, fissando obiettivi a lungo termine che rispondano ai bisogni di coloro che soffrono dell’ordine stabilito. Queste sono lezioni imparate nel modo più duro, nel corso di una lotta aperta contro una brutale dittatura. Poiché i governi di tutto il mondo diventano sempre più autoritari, l’esperienza dei rivoluzionari bielorussi diventerà probabilmente sempre più rilevante in altri contesti nazionali.

“Sto uscendo”[1]

È passato un anno dall’inizio della campagna per le elezioni presidenziali del 2020, il punto di partenza della rivolta del popolo bielorusso contro la dittatura. Per molti mesi abbiamo combattuto contro il regime nelle strade, nei nostri quartieri e nei luoghi di lavoro, usando forme creative di disobbedienza, in una lotta senza quartiere. In alcuni casi ne siamo usciti vittoriosi, ma in altri il regime ha saputo rispondere in tempo alle forme spontanee di organizzazione che lo hanno affrontato.

Dall’inizio del nuovo anno, non ci sono più state grandi manifestazioni, solo piccole azioni “sotterranee” che hanno continuato a scuotere la capitale. Dalla certezza di una vittoria inesorabile, siamo passati all’attuale sentimento di depressione, e disillusione su una possibile primavera del popolo bielorusso. Per trarre le conclusioni necessarie su come andare avanti, dobbiamo analizzare costantemente la situazione, imparare dai nostri errori per non ripeterli. Con questo testo, tentiamo una analisi critica in questo senso. Non lo scriviamo per convincere altri ad unirsi a noi, né per tirarci su il morale, lo facciamo soprattutto per capire cosa sta succedendo nelle nostre strade qui e ora, e per sapere dove andare.

Ogni critica è la benvenuta!

Il decentramento come forza principale della rivolta bielorussa

La mobilitazione del 2020, contro la dittatura, si stava estendendo in tutto il paese. Le iniziative unitarie che hanno avuto luogo attorno alla campagna elettorale di Svetlana Tikhanovskaya, la candidata dell’opposizione, hanno incoraggiato molto la popolazione a farsi coinvolgere. La maggior parte dei bielorussi non si è fatta illusioni sull’esito del voto, ma l’agitazione politica si è basata principalmente sulla richiesta di un processo democratico e sulla volontà dei partecipanti di difendere il proprio voto. Gli anarchici avevano poche aspettative al riguardo, e infatti la maggior parte dei collettivi anarchici ha chiesto il boicottaggio delle elezioni e una manifestazione il 9 agosto.

La certezza dell’inesorabile rielezione del dittatore [2] portò alla formazione di gruppi locali di resistenza, che si stavano preparando per le manifestazioni previste dopo il conteggio dei voti, già prima di agosto. Il lavoro dei gruppi liberali, che lavoravano nelle città bielorusse con uno status semi-legale, contribuì ad aumentare significativamente il potenziale di questa mobilitazione.

È difficile sapere se la Tikhanovskaya e la sua squadra erano consapevoli della portata della tempesta che si stava preparando anche prima delle elezioni presidenziali. La disapprovazione della gestione di Lukashenko del COVID-19 aveva già mobilitato una parte significativa della popolazione. Gruppi di sostegno auto-organizzati erano già attivi in diverse regioni.

Proprio come il coronavirus, la campagna politica della Tikhanoskaya, si diffuse in tutte le regioni del paese. Il giorno delle elezioni, l’idea era di non fare una gigantesca manifestazione nella capitale Minsk, ma di partecipare a raduni locali in tutto il paese. Il regime di Lukashenko non si aspettava una mobilitazione così alta in molte regioni.

Di conseguenza, alla vigilia del 9 agosto, molti gruppi, compresi gli anarchici, si prepararono non solo a Minsk, ma anche in altre città, grandi e piccole. Nonostante il tentativo delle autorità di reprimere la protesta imprigionando diversi noti attivisti e politici, il giorno delle elezioni decine di migliaia di persone scesero nelle strade di tutto il paese, chiedendo la caduta del regime.

Le forze repressive riunite a Minsk, quella sera, riuscirono alla fine a spezzare la manifestazione. Ma nelle città più piccole, i manifestanti costrinsero la polizia a fare marcia indietro. La reputazione dei presunti “punitori” indistruttibili [3] subì così un duro colpo. La fuga della polizia antisommossa diede alla società bielorussa una spinta che durò per tutti i mesi successivi. I social network giocarono un ruolo enorme contro il regime, nei primi giorni del movimento: nonostante i tentativi del governo di chiudere internet, era facile trovare video, foto e testimonianze nelle quali i manifestanti uscivano vittoriosi dagli scontri contro le forze del regime. In diverse piccole città, la gente addirittura celebrò la sua vittoria contro la dittatura, dopo aver cacciato la polizia locale.

A quel tempo, la decentralizzazione del movimento gli permise di deflagrare e di sconfiggere temporaneamente lo stato centralizzato. È stato questo decentramento che permise al movimento di continuare fino a novembre.

Ma fu anche durante quei giorni che il primo dei problemi, all’interno del movimento, divenne chiaro: la mancanza di obiettivi concreti durante le manifestazioni. Quasi nessuno aveva alcuna conoscenza dei processi che avrebbero potuto portare alla caduta di un regime autoritario. C’era la speranza, alimentata dalla mitologia liberale, che se un numero sufficiente di persone pacifiche fosse sceso in piazza, il regime avrebbe avuto paura e sarebbe crollato. Ma la realtà era molto meno romantica.

Dopo una notte di combattimenti contro la polizia antisommossa e l'”esercito interno”[4], mentre i manifestanti tornavano a riposare, gli strateghi del regime erano sul piede di guerra per pianificare la risposta. Le vittorie simboliche a Pinsk e Brest non durarono a lungo: i parchi e gli edifici non furono né occupati né distrutti. E anche se diverse decine di poliziotti rimasero feriti durante i combattimenti, nessun danno significativo fu inflitto alla dittatura. Potremmo discutere a lungo sul significato che avrebbe avuto il sequestro degli edifici amministrativi o dell’ufficio postale centrale, ma non successe nulla di tutto ciò.

La vittoria simbolica dei primi giorni fu un duro colpo al morale delle autorità. Fino ad allora, potevano contare su una totale impunità, e la maggior parte di loro non aveva mai affrontato la rabbia popolare. Dopo quel giorno, ci fu un esodo all’interno del Ministero dell’Interno e del KGB (il servizio segreto bielorusso porta ancora questo nome). Alcuni ufficiali del KGB cercarono di unirsi alla protesta. Alcuni tennero un profilo basso, aspettandosi che il dittatore fuggisse. E’ bene ribadire che questi ufficiali non fuggirono a causa di un’improvviso sussulto della loro morale, ma piuttosto per la paura di essere massacrati.

A Minsk, il movimento decentralizzato diede vita a iniziative di quartiere. In alcuni luoghi, le comunità locali organizzarono feste per bambini ed adulti. Altrove, i gruppi si politicizzarono molto più rapidamente. Per esempio, a Uručča (Minsk), le iniziative locali si unirono e adottarono un’agenda politica comune. Gruppi e posizioni politiche simili emersero altrove nella capitale. Anche se queste iniziative di quartiere erano più orientate culturalmente o subbotniks[5], era la prima volta, in questa regione, che un movimento veniva organizzato politicamente dal basso.

L’assenza di partiti politici e di leader mediatici diede filo da torcere alla repressione. Per un tempo significativo, l’apparato statale non seppe come rispondere alla decentralizzazione delle azioni di Minsk. Molti discorsi politici, raduni e discussioni ebbero luogo senza il rischio di venire repressi. Questo livello di libertà politica era semplicemente sconosciuto alla maggioranza dei bielorussi.

Purtroppo, il movimento delle assemblee di quartiere si sviluppò solo nella capitale. A Brest, Grodno e in altre città che insorsero, ci furono tentativi di creare gruppi locali, ma l’ondata di attivismo raggiunse queste regioni solo quando il regime aveva finalmente imparato a rispondere efficacemente a queste iniziative locali. A questo punto, il numero dei manifestanti stava diminuendo. Dopo settimane di intense proteste e azioni locali, il regime si era ormai adattato e iniziò a sgomberare i quartieri uno ad uno.

Anche se esistono ancora molti gruppi su Telegram, la maggior parte delle iniziative locali sopravvive a malapena e non riesce più a dare vita a nessuna azione. Questo calo significativo rese più facile al regime il controllo dei quartieri e la gestione dei pochi piccoli eventi e manifestazioni.

Anche la costituzione del movimento in assemblee di quartiere andò incontro a diversi problemi. In molti gruppi, alcuni individui assunsero il ruolo di leader. Queste persone lavoravano per portare avanti specifiche agende politiche all’interno della loro rete. In pratica, questo significò che in alcune discussioni online, i messaggi che chiedevano un’azione diretta, furono immediatamente cancellati, mentre in altre la censura fu applicata ai tentativi di organizzare manifestazioni pacifiche. Questo tipo di separazione attraversò tutto il movimento democratico, ma la presenza di moderatori, che erano diventati de facto leader delle loro rispettive zone, non fece altro che ripetere, spesso in miniatura, le dinamiche della dittatura. Così, molti finirono col combattere non solo contro Lukashenko, ma anche contro gli attivisti locali, che attraverso le loro conoscenze tecniche erano in grado di concentrare molto potere nelle iniziative di quartiere.

Questo atteggiamento è tipico della società bielorussa in quanto tale, dato che, per un certo numero di generazioni, è rimasta sotto il dominio di una dittatura o di un’altra. Le dinamiche autoritarie dello stato si manifestano attraverso la società in molti modi, sia nell’educazione che nel posto di lavoro. E’ logico che questo tipo di problema si sia manifestato anche sotto forma di leader locali. I dibattiti sulla decentralizzazione e le assemblee di quartiere hanno permesso alle idee che enfatizzano queste modalità di organizzazione di acquisire una notevole influenza, dal modello federale liberale svizzero all’anarchismo. Queste idee, riprese da coloro che partecipavano al movimento, assunsero nuovi significati. Venne il momento in cui la richiesta di decentralizzazione divenne così importante che anche i partiti e i gruppi liberali cominciarono a promuoverla in un modo o nell’altro, dall’uso delle istituzioni spurie di pseudo-organizzazioni già create dalla dittatura [6], alle lezioni sui cantoni svizzeri e sui mezzi di controllo civile dell’apparato statale.

Nell’attuale contesto di repressione e necessità di sopravvivenza politica, le discussioni sui diversi formati di organizzazione decentralizzata sono passate in secondo piano, ma speriamo che questo tema politico ritorni nei prossimi tentativi di rovesciare Lukashenko. Dopo tutto, la società bielorussa ha in mente l’esempio russo, che dopo aver cercato di liberarsi del capitalismo di stato sovietico negli anni ’90, si è trovata sotto la dittatura di Putin. Gli ucraini sono stati spinti alla rivolta nel 2014 dopo il movimento pacifico di Maidan nel 2004, rilanciando un nuovo ciclo di lotta contro l’autoritarismo nella regione. Crediamo che questi semi di decentralizzazione sopravviveranno a questa ondata di repressione, e anche al regime stesso.

Repressione indiscriminata e totale

La prima vittoria contro i poliziotti fu pagata a caro prezzo. In tre giorni, più di 6.000 persone furono imprigionate; le celle erano luoghi di tortura e stupro, e alcune persone sono state addirittura assassinate. Durante il giorno, le città erano lo scenario dei caotici tentativi del regime di catturare chiunque gli capitasse a tiro. Una gran parte dei detenuti erano semplici passanti catturati in pieno giorno. La violenza dello Stato colpì tutti gli strati della società. Tra le vittime c’erano impiegati comuni, ma anche sostenitori del regime le cui famiglie furono buttate in strada, nonostante la loro fedeltà a Lukashenko.

In questo clima, molti hanno preferito unirsi alle marce non violente che si sono diffuse in tutto il paese dopo pochi giorni, creando un’illusione di sicurezza. L’inizio delle manifestazioni pacifiche coincise con la decisione dello stato bielorusso di abbandonare la sua politica di repressione totale. Le manifestazioni domenicali divennero il principale orizzonte organizzativo della frangia pacifica.

La repressione delle grandi manifestazioni a Minsk, e in diverse altre città, fu relativamente leggera; in media, circa 100 persone furono arrestate. Considerando che queste manifestazioni avevano raccolto più di 100.000 persone, questo sembra essere un numero piuttosto esiguo. Alcuni canali Telegram calcolarono persino la probabilità di essere arrestati in base ai numeri dei giorni e delle settimane precedenti.

Ma mentre Minsk continuava a godere di una calma relativa, e l’impressione di una vittoria imminente contro il regime, la repressione era molto più attiva nelle province. In agosto, decine di persone erano già state accusate. La pressione sugli organizzatori dei raduni locali si intensificò e le dispersioni furono molto più efficaci.

Due settimane dopo, molti assistettero ad un peggioramento della situazione. Il movimento auto-organizzato fu schiacciato a poco a poco, proprio nelle zone dove era stato alla base della rivolta.

La strategia di Lukashenko era semplice: prima dare un giro di vite nelle piccole città, poi nelle capitali regionali. E una volta che la situazione era sistemata ovunque, passare alla pulizia totale di Minsk.

Questo approccio graduale alla repressione permise al regime di riconquistare il potere. La maggior parte dei media e dei blogger erano nella capitale; la maggior parte dei gruppi di protesta raramente prendeva in considerazione i problemi organizzativi e le necessità di sostegno delle regioni provinciali.

Per gli anarchici, la situazione repressiva nelle province è stata chiara fin dalla seconda settimana, quando gli attivisti in diverse città hanno iniziato ad essere accusati. Alcuni decisero di lasciare il paese già in agosto. Gradualmente, la situazione per la maggior parte degli attivisti locali divenne così complicata che andarono in esilio interi gruppi, parallelamente all’esodo di massa degli attivisti pro-democrazia.

I pestaggi e le torture erano sistematici. Anche se stiamo parlando di un numero molto minore di persone rispetto ai primi giorni della rivolta dopo le elezioni, il regime stava metodicamente facendo crollare gli attivisti imprigionati. La pressione fisica e psicologica spinse all’esilio molti di coloro che avevano partecipato al movimento.

Queste violenze avvenivano nello stesso momento in cui rimaneva l’impressione della vittoria a Minsk.

La seconda ondata di COVID-19, nell’autunno del 2020, diede un ulteriore colpo al movimento. Il regime usò il virus come arma di repressione. I prigionieri sani venivano messi in celle con le persone infette e venivano spostati più volte da una cella all’altra durante il periodo di detenzione, aumentando così la diffusione del virus nelle prigioni. Quasi tutti gli anarchici detenuti nell’autunno del 2020 hanno contratto il virus durante la detenzione, o sono stati rilasciati malati e bisognosi di diverse settimane di cure.

È impossibile ricevere qualsiasi aiuto medico in prigione. Delle oltre 30.000 testimonianze, solo una manciata ha affermato di aver ricevuto un test COVID. A un anarchico risultato positivo, è stato rifiutato il rilascio per motivi medici. Ha completato la sua pena in isolamento in una cella fredda.

Va notato che le condizioni di detenzione nelle prigioni e nei centri di detenzione bielorussi può essere considerato come tortura. Il numero di prigionieri per cella è due o tre volte il numero dei letti. Molti detenuti hanno dovuto dormire per terra o sul pavimento di cemento. Le luci non sono mai state spente di notte. Le passeggiate quotidiane di un’ora prescritte dalla legge sono state ridotte a 10-15 minuti, una o due volte alla settimana. Le coperte spesso non venivano distribuite, e per finire le autorità smisero di fornire materassi. I prigionieri venivano sistematicamente picchiati, e lo sono ancora.

Per un certo periodo i prigionieri politici sono stati trattati un po’ meglio, ma negli ultimi mesi la situazione è peggiorata. I prigionieri vengono picchiati prima e dopo il processo. La morte di Vitold Ashurak[7] è una conseguenza delle condizioni di tortura cui sono sottoposti i prigionieri politici.

Oggi, il regime sta cercando di spezzare i restanti attivisti di quartiere e di distruggere tutta la vita politica in Bielorussia. A questo scopo utilizza le punizioni collettive: persone che non hanno partecipato alla rivolta ma che sono nelle liste degli attivisti e che, secondo il regime, meritano di essere punite per le azioni degli altri, possono essere arrestate e messe in prigione. In questa situazione, quando le azioni sono organizzate, c’è il rischio che la repressione cada a caso sugli individui, e lo stato cerca di scaricare tutta la responsabilità sugli attivisti. Questa tattica fu usata contro gli anarchici nel 2014-2016, quando alcuni gruppi lanciarono azioni spontanee e il governo prese di mira altri attivisti noti in risposta.

De-escalation e successiva ri-escalation del conflitto

Nei primi giorni del movimento, il regime scelse una strategia di repressione totale. Lukashenko e i suoi strateghi credevano che la maggior parte dei manifestanti si sarebbero spostati fino alla capitale, dove sarebbe stato possibile finirli in un giorno o due. Pochi giorni dopo, la tattica della repressione massiccia aveva dimostrato poca efficacia, aumentando solo il livello di scontro – tra l’altro, spingendo alla mobilitazione collettivi di lavoratori delle fabbriche.

Così gli strateghi di Lukashenko cambiarono rapidamente strategia, abbandonando il loro tentativo di schiacciare il movimento il più rapidamente possibile. Invece, la leadership di Minsk, adottò una strategia di relativa de-escalation. Il flusso di notizie sui brutali arresti di massa si fermò. Nonostante la rabbia per il comportamento tenuto della polizia nella prima settimana dopo le elezioni, gli appelli alla calma contribuirono a soffocare ogni tentativo di invocare, una volta per tutte, la fine della dittatura.

Le manifestazioni pacifiche portarono molte altre persone nelle strade. Per la frangia liberale del movimento, la rivoluzione era già compiuta – secondo i concetti liberali di partecipazione politica nazionale, un numero così grande di manifestanti poteva solo portare a un cambiamento radicale. I canali Telegram e altri blogger influenti diffusero questa idea. Durante questo periodo, il blogger russo Maxim Katz raggiunse una popolarità incredibile, dichiarando che la società bielorussa aveva già vinto e che Lukashenko era ormai un cadavere politico. Katz e altri politici liberali fecero l’errore di applicare l’analisi politica democratica al contesto di una dittatura dell’Europa orientale. L’incapacità di Lukashenko di governare è stata dimostrata molte volte durante il suo regno, ma questo non gli ha mai impedito di rimanere al potere, pur essendo considerato un dittatore dal popolo.

Anche se la temporanea de-escalation ci permise di raccogliere le nostre forze e creare un’ampia struttura auto-organizzata a Minsk e in altre città, alla lunga avvantaggiò Lukashenko e la sua banda di criminali, che ripresero il controllo delle regioni provinciali poco a poco, mentre i media e gli attivisti erano concentrati principalmente sulla situazione a Minsk.

I seguaci di Lukashenko hanno avuto gioco facile in questo periodo di de-escalation: poco a poco, e in modo meticoloso, hanno represso non solo gli attivisti liberali, ma anche i lavoratori organizzati che cercavano di costruire un movimento di protesta nelle fabbriche. Il relativo isolamento dei lavoratori dal resto del movimento di protesta permise così una rapida repressione anche nelle fabbriche.

Quando la repressione si intensificò improvvisamente a Minsk, il movimento non potè rispondere con la stessa forza di prima. A questo punto, molti attivisti erano già in prigione e accusati, o in esilio. I tentativi di lanciare una nuova ondata di protesta fallirono. L’ultimo tentativo fu quello di difendere il memoriale di Roman Bondarenko[8], ed è stato completamente spazzato via, dopo che un numero significativo di manifestanti decise di lasciare il parco per evitare rappresaglie, e diverse centinaia di persone furono fermate.

Le ripetute sconfitte portarono ad un calo di entusiasmo all’interno del movimento. Diversi fine settimana di marce organizzate localmente hanno si reso difficile la vita alla repressione, ma non sono riuscite a ripristinare il potenziale del movimento, sia nella capitale che nelle province. Alla fine del 2020, il movimento era quasi del tutto estinto. Ma la repressione continua ad un livello intenso anche oggi.

Come attivisti, non siamo riusciti ad approfittare della calma temporanea della de-escalation per moltiplicare le nostre forze. La paura della repressione e della condanna non solo da parte di Lukashenko, ma anche da altre parti del movimento, hanno bloccato i nostri tentativi di costruire il movimento, che avrebbe potuto alla fine distruggere Lukashenko e il suo regime. Invece, abbiamo accettato di lasciare la narrazione a iniziative non violente, e quando il governo ha reintensificato il livello di violenza, eravamo già gravemente demoralizzati ed esausti dalla repressione subita fino a quel momento.

Il fatto che la maggioranza del movimento non fosse pronta per una resistenza attiva non avrebbe dovuto determinare il nostro orizzonte e le nostre azioni. Gruppi organizzati di una dozzina o più persone possono agire efficacemente in manifestazioni pacifiche, con obiettivi e strategie proprie. Siamo stati in grado di parlare nelle manifestazioni come gruppi organizzati con una nostra agenda, ma non siamo riusciti a tradurre questa agenda in azioni concrete.

Scioperi e movimento operaio

Nella prima settimana, un’ondata di scioperi travolse il paese. I lavoratori, indignati dalla repressione dei loro colleghi e dall’impunità della polizia, chiesero che il regime fermasse le sue violenze e rilasciasse i manifestanti arrestati. Molti formarono collettivi informali di colleghi all’interno dei loro team di lavoro. I fischi rivolti a Lukashenko da parte degli operai della fabbrica MZKT inflissero un danno notevole alla sua immagine di leader “popolare”.

Purtroppo, le iniziative dei collettivi dei lavoratori scomparvero abbastanza rapidamente, con l’eccezione di alcune aziende. Alcune richieste furono ascoltate, ma la repressione cadde abbastanza rapidamente su quelli più attivi negli scioperi. Alcuni furono licenziati, altri denunciati.

Quando iniziarono gli scioperi, il movimento operaio era in pessimo stato. Esistevano solo pochi sindacati liberali indipendenti, che rappresentavano una minoranza di lavoratori, la maggior parte dei quali non aveva alcuna esperienza di organizzazione collettiva. Costruire le strutture necessarie durante la fase attiva del conflitto fu una sfida enorme. I tentativi delle ONG liberali di “aiutare” le organizzazioni dei lavoratori in alcune aziende non funzionarono- le stesse ONG non avevano esperienza di organizzazione di un tale movimento, e le loro metodologie erano tratte dai paesi liberali, con le loro specifiche modalità di organizzazione degli scioperi. L’illusione della legalità dello sciopero e della protesta non fece altro che spostare parte della lotta nei tribunali, dove i sindacati indipendenti cercarono senza successo di difendere il diritto di organizzarsi nei luoghi di lavoro.

I tentativi di liberarsi della dittatura nelle prime settimane di proteste pacifiche portarono molti cambiamenti nalle dinamiche del movimento. L’agitazione per uno sciopero fu sostituita da appelli per un boicottaggio economico del regime e, una settimana dopo, da una strategia di blocco delle strade. Comprensibilmente, il movimento stava cercando nuove forme di organizzazione e altri modi per fare pressione sul regime, ma la mancanza di continuità minò il morale dei manifestanti e del movimento operaio. I picchetti davanti alle fabbriche durarono alcuni giorni, fino all’arrivo delle truppe della OMON[9]. Le minacce di rappresaglie furono sufficienti a rompere il legame tra il movimento operaio e il resto della protesta.

Inoltre, alcuni dei lavoratori più privilegiati del paese – i lavoratori informatici – rifiutarono di partecipare allo sciopero. Molti difendevano questa posizione sulla base del fatto che era necessario per finanziare il movimento. E in effetti, alcune di queste persone sostennero attivamente diverse strutture di solidarietà. Altri invece sostenevano che gli scioperi avrebbero danneggiato le aziende private tanto quanto Lukashenko, il che avrebbe danneggiato l’immagine dell’intero settore informatico bielorusso.

Considerando tutti questi argomenti, uno sciopero organizzato nel settore IT sarebbe stato più vantaggioso della partecipazione finanziaria al movimento. Prima di tutto, uno sciopero massiccio in un settore dell’industria avrebbe portato con sé altri settori. Inoltre, il rischio di licenziamento è una minaccia molto meno esistenziale per un lavoratore IT che per un operaio, che spesso non ha soldi da parte. Il cosiddetto danno all’immagine del settore IT bielorusso sarebbe stato rapidamente risolto se il regime fosse caduto, tenendo conto che i lavoratori IT non stavano lottando per migliori condizioni di lavoro ma per la democrazia. Bisogna aggiungere che è abbastanza facile per i lavoratori IT organizzarsi sul posto di lavoro: durante tutto il movimento, ci sono state poche ritorsioni contro i lavoratori IT nel settore privato. Inoltre, queste persone avrebbero potuto utilizzare l’infrastruttura fornita dalle loro aziende a scopo di intrattenimento per tenere riunioni organizzative.

Tutto sommato, il settore IT aveva poco o nessun peso politico. È vero che singoli informatici sono stati coinvolti nel movimento, ma il settore non si è mai organizzato, anche se le persone al suo interno hanno conoscenze e possibilità che sarebbero state utili.

Alcune piccole imprese private hanno organizzato scioperi simbolici di un giorno a sostegno degli altri scioperanti, ma queste azioni non avevano carattere di massa e nessun peso mediatico.

Al momento (giugno 2021) diverse centinaia di persone sono ancora in sciopero, ma possiamo dire che il movimento di non si è organizzato in modo massiccio. La situazione attuale è il risultato della strategia di successo dello stato per distruggere le organizzazioni indipendenti dei lavoratori e dei sindacati, attuata a partire dagli anni ’90. L’atteggiamento dello stato bielorusso verso queste organizzazioni è simile a quello dell’Unione Sovietica. Il ruolo della Federazione dei sindacati bielorussi è importante, diffondendo un’immagine della profonda inutilità dei sindacati. Questa organizzazione è usata principalmente per prendere soldi dai dipendenti in cambio di biglietti per eventi statali.

Il disinteresse dell’opposizione liberale per il movimento operaio ha contribuito soprattutto a tenere i lavoratori comuni lontani da qualsiasi richiesta di libertà e da qualsiasi desiderio di rovesciare la dittatura. Gli anarchici, d’altra parte, non sono abbastanza numerosi né hanno le risorse organizzative per influenzare i lavoratori in modo significativo. Inoltre, il loro programma politico specifico non dà loro alcun ruolo.

Tuttavia, per la prima volta in vent’anni, i lavoratori bielorussi hanno dimostrato volontà politica e si sono opposti alla violenza di stato e alla dittatura. L’estinzione relativamente rapida del movimento di protesta nelle fabbriche fu dovuta principalmente alla severa repressione. Un movimento di solidarietà più sostanziale o strutture più forti non hanno potuto attecchire, a causa della pressione dello stato sia sui lavoratori che sul resto del movimento.

Vecchia opposizione, nuova opposizione…

Prima di tutto, definiamo cos’è la “vecchia” opposizione. Questo si riferisce ai gruppi liberali, piuttosto di destra, che si oppongono a Lukashenko, compresi i partiti legalmente registrati, le organizzazioni politiche e i singoli politici che sono stati attivi per molti anni. Esempi classici sono il Partito dei Cittadini Uniti, il Fronte Popolare Bielorusso, la Democrazia Cristiana Bielorussa e la Bielorussia Europea. Statkevich, Severinets, Vechorka e persino Pazniak possono essere annoverati tra gli ex politici ancora attivi. L’ex opposizione non è omogenea, quindi ci concentreremo su politici o organizzazioni specifiche.

La nuova opposizione si riferisce a organizzazioni politiche, gruppi e politici che sono emersi nell’arena pubblica negli ultimi anni. Questo include persone che non erano nell’opposizione attiva prima delle ultime elezioni. Gli esempi più significativi sono Tikhanovskaya/Tikhanovsky o Babariko. Questi politici, e organizzazioni della nuova opposizione, hanno visioni politiche e strategie di lotta diverse tra loro.

Lukashenko, durante il suo governo, ha gestito principalmente l’opposizione reprimendola. Tra il 2010 e il 2020, la maggior parte dei partiti liberali e nazionalisti sono stati sconfitti. Le organizzazioni giovanili hanno cessato di esistere. E anche se nel 2015 Lukashenko è diventato uno stretto partner dell’Unione europea su vari processi economici e politici, questo non ha aiutato a rianimare l’opposizione liberale del paese. In generale, l’UE e gli USA hanno chiuso un occhio sulla repressione della società civile fino al 2020. La repressione del movimento di opposizione alla legge “free rider” nel 2017 [10], ma i politici occidentali non hanno preso alcuna iniziativa contro questo stato di cose.

In questa atmosfera, solo alcuni politici dell’ex opposizione hanno continuato ad esercitare una pressione sistematica. Parliamo prima di tutto di Statkevich e Severinets, che hanno lanciato il movimento contro la legge sul “free riding” nel 2017. Le loro visioni politiche sono già state ben documentate. La maggior parte degli altri politici sono stati relegati sullo sfondo. Dopo la rivolta di Maidan del 2015 in Ucraina, una parte della vecchia opposizione ha deciso che era meglio mantenere Lukashenko e una relativa indipendenza, piuttosto che ribellarsi e rischiare un’invasione russa. Gli appelli di Pozniak a non manifestare il 9 agosto sono un esempio di questa posizione. Per alcune persone, mantenere l’indipendenza è più importante che rovesciare la dittatura.

Con l’eccezione di alcuni politici, l’ex opposizione non entusiasma veramente il popolo bielorusso. Queste persone hanno lottato contro Lukashenko per anni, ma senza correre molti rischi reali. I legami dell’opposizione liberale e nazionalista con varie organizzazioni occidentali sono spesso disapprovati dalla società bielorussa. La loro dipendenza dai fondi occidentali ha a lungo alimentato la leggenda secondo cui questa opposizione beneficia Lukashenko,  e quindi i due si bilanciano a vicenda.

Ma sarebbe sbagliato dire che non tutti i politici e le organizzazioni dell’ex opposizione sono chiaramente contro la dittatura. Per lo meno, politici come Statkevich sono ancora in giro. Sarebbe cieco negare la comoda posizione di molti oppositori liberali sotto la dittatura. Come sempre, la verità è più sfumata. Ci sono persone come Olga Karach, che vivono di sussidi e non vogliono davvero cambiamenti radicali nel paese, perché il denaro non fluirebbe più così abbondantemente. E ci sono quelli come Viniarski, che sono pronti a partecipare alle manifestazioni contro la dittatura a rischio di perdere la loro libertà.

In vista della campagna presidenziale del 2020, l’ex opposizione era molto indebolita. La cooperazione politica tra l’UE e Lukashenko stava minando l’equilibrio di potere nel paese. Le riforme economiche liberali e neoliberali avevano ampiamente soddisfatto le richieste di alcuni partiti liberal-conservatori, ma non avevano aumentato le libertà nella società bielorussa. Statkevich, il membro più influente dell’opposizione attiva, non è stato autorizzato a correre alle elezioni, anche se ha partecipato alla prima settimana di campagna con la nuova opposizione.

L’indebolimento dell’ex opposizione aveva creato un vuoto politico nel paese. Era solo una questione di tempo prima che altri gruppi e organizzazioni riempissero il vuoto. Le elezioni del 2020 hanno fatto da piattaforma per queste nuove forze.

Il blogger Tikhanovsky, che aveva lavorato per diversi anni nelle province, divenne una delle figure politiche della nuova opposizione. Nonostante i suoi legami con la vecchia opposizione, ha portato un senso di freschezza. Il formato del suo progetto mediatico ha dato voce a molti bielorussi a cui la vecchia opposizione non prestava attenzione: ad esempioi lavoratori delle province, che soffrivano quotidianamente gli effetti della dittatura. Non sorprende che Tikhanovsky fosse molto sostenuto dalla popolazione. In modi diversi, la lotta tra Lukashenko e il blogger ha dato a quest’ultimo la reputazione di un convinto politico liberale pronto a lottare contro la dittatura.

Gli arresti di Tikhanovsky, Statkevitch e molti altri politici hanno dato spazio a un nuovo politico “moderato” dell’élite bielorussa: Viktar Babariko. Banchiere di professione, ha già fatto abbastanza soldi per non sembrare che voglia rubare di più al popolo bielorusso, ed è diventato il nuovo simbolo del movimento di opposizione. Molti borghesi bielorussi si sono già riuniti intorno al suo quartier generale. Babariko è l’epitome del capitalista di successo, la cui fortuna accumulata nel corso degli anni è presumibilmente il risultato del proprio merito e del duro lavoro. Questa storia piace a coloro che sono bloccati in una stagnante Bielorussia sovietica.

Per molti versi, Babariko è un buon esempio dell’élite creata sotto Lukashenko, un’élite che esiste nonostante il cosiddetto stato socialista. I milioni che Babariko ha accumulato non sono il risultato del suo lavoro, ma provengono dalla speculazione finanziaria e dalla sua volontà di servire la dittatura. Ma una gran parte dei bielorussi non si preoccupa dei compromessi che hanno reso possibile il suo arricchimento personale. Ecco perché durante la campagna elettorale è diventato il nuovo leader politico dell’opposizione dopo Tikhanovsky. Centinaia di giovani, credendo in un futuro luminoso sotto di lui, si sono uniti alla sua campagna. Pochi hanno prestato attenzione al fatto che Babariko era presidente del consiglio di amministrazione della Belgazprombank, direttamente affiliata alla Gazprom di Putin. Molti commentatori hanno visto Babariko come il candidato filorusso ideale per sostituire Lukashenko.

La notevole popolarità di Babariko ha spinto Lukashenko a condurre una nuova ondata di repressione e a rinchiudere quasi tutti i candidati dell’opposizione. A questo punto della storia, il dittatore non pensava che la Tikhanovskaya potesse rappresentare una minaccia. Eppure tutti i politici imprigionati si sono uniti intorno alla campagna della Tikhanovskaya, e lei è diventata la candidata che l’ex opposizione non era mai riuscita a creare nelle elezioni precedenti.

La misoginia del dittatore e del suo regime li ha portati a sottovalutare la Tikhanovskaya, dandole abbastanza spazio di manovra prima della scadenza del 9 agosto per mobilitare il sostegno, non solo a Minsk, ma in molte altre regioni. Fu anche “grazie” a questo sessismo che non le fu impedito di registrare la sua candidatura alle elezioni presidenziali.

La campagna della Tikhanovskaya non comprendeva un programma politico dettagliato: chiedeva solo il rilascio dei prigionieri politici e nuove elezioni senza Lukashenko. Un messaggio così semplice era molto apprezzato dalla popolazione. Così il 9 agosto non è stato veramente un’elezione presidenziale, ma una specie di referendum: votare Lukashenko per sostenere la continuità del regime, o votare Tikhanovskaya per liberarsi del dittatore baffuto.

La nuova opposizione potrebbe contare su blogger influenti e mailing list di Telegram per radunare la gente intorno alla Tikhanovskaya, e mantenere importanti canali di informazione sui social network. Per strada, molti comizi politici sono stati addirittura organizzati senza la presenza del candidato [11].

E’ stato grazie all’attenzione alle regioni provinciali che è stato possibile mobilitare un sostegno così grande. La vita politica non era più limitata alla capitale ma aveva iniziato a diffondersi nelle città più piccole, dove Lukashenko era in affanno, e dove raggiunse livelli più alti che nella relativamente prospera Minsk.

Facce nuove, un messaggio semplice e un duro lavoro sul terreno sono state le chiavi del successo elettorale di questa nuova opposizione liberale. Ma vari problemi e altre incrinature hanno cominciato ad apparire subito dopo le elezioni, quando si è diffusa l’illusione che Lukashenko stesse per gettare la spugna. Con la Tikhanovskaya in esilio, i rimanenti politici liberali hanno dovuto trovare nuovi portavoce.

La previsione della caduta di Lukashenko, da parte dei commentatori liberali, è stata accolta con entusiasmo. Non restava che approfittare della situazione per segnare punti per il prossimo ciclo elettorale. Purtroppo, come già detto, questa analisi della situazione non era corretta. I tentativi di creare nuovi partiti e organizzazioni politiche per imporre programmi specifici hanno solo creato confusione ai manifestanti nelle strade. E mentre i canali di informazione parlavano con entusiasmo della nascita di un Consiglio di Coordinamento (CC), molti mettevano in dubbio il ruolo di questo consiglio e guardavano con occhio scettico i suoi tentativi di affermarsi come una nuova avanguardia. L’annuncio della creazione di un nuovo partito politico da parte di Maria Kolesnikova, un membro del consiglio, non ha fatto altro che causare ulteriore agitazione e malcontento nelle ambizioni di una parte della nuova opposizione.

Inoltre, le manifestazioni del 9, 10 e 11 agosto hanno presentato a molti propagandisti e politici del regime una scelta: affondare con la nave o unirsi all’opposizione. Pavel Latushko, un ex diplomatico del regime e capo del Teatro Kupalov all’inizio della rivolta, è stato uno di quelli che ha cambiato parte. Latushko è entrato nel CC con la chiara ambizione di un’importante carriera politica in una Bielorussia liberata.

Oltre a questi politici, anche alcuni poliziotti hanno abbandonato la nave. Arrivò il momento in cui crearono la propria organizzazione, la Bypol, con una lunga lista di richieste. Recentemente, un ex capo della polizia politica, ora portavoce del bypol, ha detto che alte posizioni nel nuovo governo bielorusso sarebbero state messe a disposizione dei membri dell’organizzazione. Latushko e Bypol stanno attualmente sviluppando un programma di riforma per il ministero dell’Interno, con obiettivi piuttosto modesti per ripulire l’attuale apparato repressivo.

Più tempo passa dalle elezioni presidenziali, più la nuova opposizione assomiglia alla vecchia. Le scissioni sono costanti, così come i tentativi di dividere le aree di influenza, e nuove organizzazioni politiche vengono create presumibilmente con l’unico scopo di sperperare denaro, tra le altre cose. La sincerità di questi politici e organizzazioni è ampiamente messa in dubbio dagli attivisti che scendono in strada. Anche se la Tikhanovskaya rimane una figura unificante per molti, e nonostante il fatto che molti rappresentanti della vecchia opposizione si siano riuniti intorno a lei, la sua influenza sulle dinamiche della nuova opposizione sta diminuendo.

I nuovi gruppi e organizzazioni liberali hanno ripetuto molti degli errori dei loro predecessori. Le loro grandi aspettative di sostegno occidentale hanno solo aggravato la loro legittimità, ormai in declino, tra la popolazione. Oggi, molti sono consapevoli che il cambiamento può venire solo dall’interno, indipendentemente dalle sanzioni promesse dalle potenze straniere. Solo il popolo bielorusso può rovesciare Lukashenko, non le sanzioni occidentali.

Ma il regime ha anche giocato un ruolo importante nel distruggere l’influenza politica della nuova opposizione. Con il sostegno della Russia, pettegolezzi e altri fatti presi fuori contesto sono costantemente diffusi online per screditare certi politici. La mancanza di trasparenza da parte dei liberali ha creato un ambiente favorevole alla diffusione di voci negative per la loro immagine pubblica. Inoltre, il regime sostiene attivamente i politici dell’opposizione che lavorano per minare l’autorità dei leader liberali. Olga Karach e Igor Makar hanno svolto questo ruolo, e sono diventati famosi soprattutto grazie alla regolare trasmissione delle loro idee da parte di vari troll e siti di propaganda in Russia e Bielorussia.

Oggi, l’opposizione liberale è estremamente indebolita. Anche se centinaia di migliaia di persone si abbonano ai feed di notizie della Tikhanovskaya e di altri blogger e politici dell’opposizione, la loro capacità di mobilitazione è estremamente bassa. Il fallimento dei loro appelli alle manifestazioni di fine inverno e primavera ne sono la prova.

Note

[1] Le ultime parole di Roman Bondarenko, sul canale di chat della sua assemblea di quartiere, prima di essere assassinato dalla polizia.

[2] Le elezioni bielorusse sono talvolta chiamate “rielezioni”. Ma è solo uno spettacolo, i voti non vengono contati e i risultati vengono decisi nelle alte sfere.

[3] Già a luglio, molti canali Telegram e mezzi di informazione hanno iniziato a usare il termine “punitori” per descrivere i dipendenti del ministero dell’Interno, del KGB (polizia segreta) e dell’esercito interno.

[4] L'”Esercito interno” si riferisce a un’organizzazione semi-militare sotto il Ministero dell’Interno, utilizzata principalmente per la repressione politica. Tranne gli ufficiali, queste truppe sono composte da coscritti.

[5] Nei paesi dell’ex URSS, i subbotnik sono giornate di lavoro volontario, nate all’indomani della rivoluzione d’ottobre.

[6] In ventisette anni di dittatura, Lukashenko ha regolarmente fatto riferimento a una “decentralizzazione” del potere, e ha creato istituzioni statali che dovrebbero ridistribuire il potere a livello locale in modo popolare. In realtà, queste istituzioni, sono trappole che assorbono le iniziative locali e distruggono la loro influenza sulla società. Queste istituzioni sono state create anche per ricevere fondi dall’Unione Europea.

[7] Vitold Ashurak fu per molti anni un attivista dell’opposizione liberale. È stato arrestato il 19 settembre 2020 a causa della sua partecipazione alla protesta. Nel gennaio 2021, è stato condannato a cinque anni di prigione. Ashurak è stato ucciso in prigione nel maggio 2021.

[8] Roman Bondarenko era un attivista coinvolto in una delle prime assemblee di quartiere a Minsk. È stato assassinato dal regime in un parco del suo quartiere, mentre poliziotti e sostenitori del regime abbattevano le bandiere e distruggevano le decorazioni fatte dai manifestanti. Le sue ultime parole sul canale di chat della sua assemblea sono state “Sto uscendo”.

[9] OMON: unità di polizia antisommossa

[10] Nel 2017, Lukashenko ha adottato un decreto “Sulla prevenzione della dipendenza sociale” e ha introdotto una tassa speciale, soprannominata “free rider”, che una persona deve pagare se non ha un lavoro permanente per sei mesi. Ne è seguito un forte movimento sociale che ha attirato l’attenzione dell’Unione Europea sulla violazione dei diritti civili in Bielorussia.

[11] Tutti i raduni e le manifestazioni politiche sono proibiti in Bielorussia. Tuttavia, durante i cicli elettorali, i candidati sono autorizzati a incontrare i loro elettori nello spazio pubblico senza un’esplicita approvazione statale. La squadra di Tikhanovskaya ha usato questa scappatoia per convocare decine di raduni politici in tutto il paese senza la sua presenza.

Fonte: attaque.noblogs.org

Traduzione: infernourbano