Sterpaglia – seconda uscita di un aperiodico errante kavernicolo

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Nel numero di Giugno 2020:

(A)socialità e patafisica: una provocazione
Fuori servizio
Quale forza
Pensiero azione

(A)socialità e patafisica: una provocazione

Alcuni testi suggeriscono una certa volontà immaginifica: il rifiuto della gretta realtà diventa lo stimolo che spinge qualcuno a scomporla e ricomporla a proprio piacimento, dando vita ad un gioco, ad un universo virtuale che è frutto di una personale esperienza creativa. Se in altri momenti storici la virtualità veniva associata all’esercizio dell’immaginazione, ora è materia di ben diversa riflessione: relazioni sociali sempre più asettiche, in cui l’individuo si perde perché troppo assorbito dalle varie app e dai social media; nonché controllo tecnologico talmente pervasivo da rendere obsoleta, perfino sospetta, la volontà di serbare per sé alcuni aspetti della propria vita. E allora, se questo mondo subisce l’avanzata del virtuale-tecnologico perché non darsi al superamento di questa realtà? Perché non darsi alla patafisica?

Un epifenomeno è ciò che si aggiunge a un fenomeno. La patafisica, la cui etimologia deve scriversi ()ἒπι (μετά τά φυσϰὰ)μετά τά φυσϰὰ)τά τά φυσϰὰ)φυσκὰ) e l’ortografia reale patafisica, preceduta da un apostrofo, per evitare un facile gioco di parole, è la scienza di ciò che si aggiunge alla metafisica, sia in essa, sia fuori di essa, estendendosi così lontano al di là di questa quanto questa al di là della fisica. Es.: l’epifenomeno essendo spesso l’accidente, la patafisica sarà soprattutto la scienza del particolare, perquanto si dica che non vi è scienza se non del generale. Studierà le leggi che reggono le eccezioni e spiegherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, poiché anche le leggi dell’universo tradizionale che si è creduto di scoprire sono correlazioni d’eccezioni, per quanto più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a eccezioni poco eccezionali, non hanno nemmeno l’attrattiva della singolarità.

DEFINIZIONE – La patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggettidescritti per la loro virtualità.

La scienza attuale sul principio dell’induzione: la maggior parte degli uomini ha visto il più delle volte a un dato fenomeno precedere o seguireun altro, e ne conclude che sarà sempre così. Innanzitutto questo non è esatto che il più delle volte, dipende da un punto di vista, ed è codificato secondo la comodità, e poi! Invece di enunciare la legge della caduta dei corpi verso un centro, perché non si preferisce la legge dell’ascensione del vuoto verso una periferia, il vuoto preso per unità di non-densità, ipotesi molto meno arbitraria della scelta dell’unità concreta di densità positiva acqua?

Anche il corpo stesso è un postulato e un punto di vista dei sensi della folla, e, perché se non proprio la sua natura almeno le sue qualità noncambino troppo, è necessario postulare che la statura degli uomini resterà sempre sensibilmente costante e vicendevolmente uguale. Il consenso universale è di per se stesso un pregiudizio miracoloso e incomprensibile. Perché ognuno afferma che la forma di un orologio è rotonda, cosa che è manifestamente falsa, poiché di profilo di vede che una figura rettangolare stretta, per tre quarti ellittica, e perché diavolo si è notata la sua forma solo nel momento in cui si è guardata l’ora? Forse con il pretesto dell’utilità. Ma lo stesso bambino. Che disegna l’orologio rotondo, disegna anche la casa quadrata, secondo la facciata, ed evidentemente senza alcuna ragione; perché è raro, se non nelle campagne, che si veda un edificio isolato, e in una strada anche le facciate appaiono come trapezi molto obliqui. Occorre dunque necessariamente ammettere che la folla è troppo grossolana per capire le figure ellittiche, e che i suoi membri si accordano nel consenso detto universale perché non percepiscono che le curve con un solo fuoco, poiché è più facile coincidere in un punto che in due. Cominciano e si equilibrano mediante il bordo dei loro ventri, tangenzialmente. Ora, persino la folla ha imparato che l’universo vero è fatto di ellissi, e i borghesi stessi conservano il loro vino in botti e non in cilindri.

Fuori servizio

È il messaggio che compare quando qualcosa non funziona più, come se la sua fonte fosse stata bloccata e interrotta. Qualcosa che provoca imbarazzo come, per esempio, il silenzio di fronte alla successione di attacchi che stanno colpendo le infrastrutture del potere e le sue telecomunicazioni. Imbarazzo dovuto da chi difende l’esistente composto da quarantene e fasi imposte della libertà a singhiozzo. Esse non hanno fermato i cuori pulsanti che non sanno che farsene del confinamento obbligato. E dato che spesso questi sabotaggi sono fatti nell’anonimato più sfrenato della piacevole sedizione, l’incomprensibilità terrorizza tanto chi sta al lato destro del potere quanto chi sta alla sua sinistra. Ma come? Come possono individui sparsi per il mondo non chiedere a nessuno di delegare la propria voce, lasciandosi andare senza chiedere consenso, provocando l’odore ardente di cavi bruciati dei ripetitori (Roma, Montréal, L’Aja, Philadelphia, La Spezia, Birmingham, Colonia, Brema, Tolosa, Côtes-d’Armor, Caserta, Ardèche, Pelt, Grenoble, Limassol, Salins-les-Bains, Monaco, Belfast, Manchester, Azille, Liverpool, Brest e Plaintel), tagliando i fili in fibra ottica che connettono questo mondo miserabile (Parigi, Berlino, Lozère, Rovereto e Bram) e scoprendo la selva oscura di un blackout dell’illuminazione nelle strade (Pozzuoli, Fontespina, Napoli, Roma, Cagliari, Santiago del Cile, Caracas, Brooklyn, Cremona, Aubenas, Torino, Minneapolis e Khartoum)? Dal militante che sbraita al complotto, allo Stato che paventa ilterrorismo, chi interpreta il mondo con gli schemi del potere può chiedersi soltanto in modo poliziesco chi è stato o darsi al ridicolo di volgerelo sguardo in direzione opposta. Troppo sacrilegio nel pensare che la mancanza di rivendicazioni potrebbe fomentare chi prova simpatia versoqueste azioni – riproducendole a proprio piacimento – trasformando quest’ultima in empatia cospiratrice. Il pericolo si trova nelle teste che sanno ancora pensare, ovvero quello di scoprire che il dominio ha un bisogno spasmodico di cavi, ripetitori e flussi di energia più o meno visibili per digitalizzare tutta la vita sociale. Ciò è troppo rischioso per chi vuole comandare e incredibilmente desiderante per chi non vuole più servire. Questo pensiero stupendo potrebbe interrompere non solo la sorveglianza e il dispotismo tecnologico, ma anche bloccare il lavoro, i tribunali e la scuola a distanza, come la circolazione di denaro comodamente offerta da mezzi tecnici di distrazione di massa. Il fatto palese è la onnipresenza di questi dispositivi, quindi attaccabili ovunque e da chiunque. E anche se la psicopolizia, in un continuum spazio-tempo, cercherà di mettere a tacere le voci sovversive che difendono la bellezza del sabotaggio del sistema (come avvenuto nell’ultima operazione repressiva contro anarchici a Bologna e con le minacce del governo francese di chiudere la bocca ad alcuni blog e pubblicazioni sovversive, non solo oltralpe ma anche qui in Italia), quel messaggio fuori servizio di collasso tecnico continuerà ad apparire sugli schermi dell’alienazione del confinamento tecnologico. Tra il bastone e la carota della violenza alternata del dominio, queste azioni anonime e diffuse sono una delle tante possibilità che portano in seno un’idea tanto utopica quanto meravigliosa: la fine di questo mondo fatto di obbedienza sacrificabile alla morte e disprezzo per il disordine delle passioni incontenibili. Se durante le rivolte che stanno incendiando gli Stati Uniti d’America contro la brutalità dell’autorità qualcuno pensasse di silenziare gli strumenti del dominio, che occasioni altre si presenterebbero davanti agli insorti?

Quale forza

Ha una giacca imbottita pesante che gli protegge il torace, fuma nervoso mentre si guarda attorno.Il cielo schiaccia e i pensieri volano bassi tra i gas di scarico. A terra solo merda e gomme da masticare. Il grigio è costante e ha preso i palazzi, le strade, la gente, si appiccica ai cappotti come una malattia. La sua schiena appoggiata alla volante e il fucile spianato a pochi centimetri dalla mia faccia. Il suo fiato si condensa: «Quest’anno il freddo è arrivato prima», dice. Ha le labbra spaccate, la pelle del viso è scura, resiste. Faccia di cuoio dice che la forza è nell’ordine e quando sto a terra non devo fissarlo, devo guardare a terra e basta, devo stare zitto, devo stare zitto e basta, a terra, zitto. Ho la faccia sul marciapiede che il signore dell’ordine ci prova gusto a infierire. I documenti li ho inghiottiti poco fa, gliel’ho detto ma lui non ci crede. Li ho fatti pezzi, neanche troppo piccoli, poi li ho masticati uno per volta, inghiottiti uno a uno, dodici in tutto. E poi ci sono passato di proposito. L’ho guardato fisso un momento, occhio per occhio. Un attimo dopo i miei succhi gastrici sulle scarpe, le sue scarpe lucide e fiere. Un attimo dopo, lo sputo. Lui dice che la forza è nell’ordine ma glielo leggo in faccia che non ci crede, se solo mi togliesse il piede dalla testa potrei guardarlo in faccia davvero. La forza è nell’ordine. Quale forza? Quale ordine? Quando l’odio sale in testa con il sangue per restarci, indelebile. Quale forza? Quale ordine?

Sterpaglia Giugno 2020

Fonte: csakavarna