Solidarietà ai compagni e alle compagne colpiti dall’Operazione Scintilla

Riceviamo e pubblichiamo:

Come premessa di scrittura/lettura di questo testo vorrei esprimere che in questi anni di zigzag tra un’operazione repressiva e un’altra, mi colpisce come le parole abbiano un peso diverso a seconda delle persone e sopratutto a seconda del momento emotivo (nel suo complesso) che le persone si vivono. Nel mentre si cerca di affrontare insieme la repressione nonostante le varie posizioni giuridiche, i livelli individuali “emotivo e politico” sono totalmente coinvolti e sono quasi sempre molto forti e problematici, questi livelli rimangono spesso nascosti e quando vengono espressi sono limitati o circondati alle persone più vicine. E parlo oltre alle persone imputate o detenute, anche di chi gli sta affianco o prova ad esserci.

Negli due anni di sostegno e incontri attorno all’operazione Scintilla, da una posizione di non-imputato, posso esprimere che, nonostante cerco quest’attenzione e capacità, non sarò mai in grado di capire in assoluto il peso che le parole hanno per ciascuno e per tutti. Cerco però di definire ed esprimere le mie parole. Questo testo ne è un tentativo, ovviamente parziale. In più, odio visceralmente internet per il fatto che voglio resistere alle schedature e al profiling da parte dei vari nemici, oltre che a trovare limitante l’espressione di un testo rispetto a una discussione. A quel punto preferisco la stesura di testi lunghi quasi da opuscoli. Questo testo rimarrà a firma anonima ed è individuale, e purtroppo userò parole e concetti che lasceranno ad ognuna la sua interpretazione. Infine, non dimentico che la solidarietà insieme alla vicinanza tra dentro e fuori le galere mi dovrebbe far prendere più rischi nello sforzarmi a creare e intrattenere comunicazioni con chi sta dentro. Forza a tuttx voi.

Voglio prendere parola sui vari livelli che, nella vita come nella lotta, non sono separabili, nell’esprimere la mia solidarietà alle persone imputate qualsiasi sia la situazione di ciascuno, in questo caso i/le compa imputatx dell’operazione Scintilla. Non voglio mai dimenticarmi che la repressione colpisce spesso a tappetto, a volte a caso, e che il fatto che alcuni compa siano colpiti e altre no sono questioni da lasciare alle strategie dello Stato. Voglio ricordarmi di considerare le banalità che la repressione vuole attaccare o distruggere ben più che le persone colpite direttamente, e che la repressione esiste per nutrire se stessa. Non voglio mai dimenticarmi che la fonte della repressione è l’esistenza del potere e del giudizio sia nelle istituzioni sia nelle attitudini. Nelle tensioni anarchiche il potere e il giudizio esistono: voglio definire se esse sono da distruggere con metodo o da manipolare con coscienza a secondo delle situazioni. Voglio anche esprimermi sulla lotta portata contro le frontiere e la macchina delle espulsioni che negli anni a Torino ci ha permesso/ha fatto in modo che crescessero sia la conflittualità sia noi stessi (con errori legati al mettersi in gioco). Voglio che il dibattito continui, e voglio esprimermi sul come potremmo affrontare la e le repressioni prendendo in considerazioni le nostre più profonde personalità, emozioni, dubbi o paure, errori o spinte ideologiche o di coerenza etica.

Voglio però che il dibattito serva a qualcosa, a me in primis, e ai/alle compa attorno. Penso che nel labirinto della repressione le trappole sono tantissime, ancor di più da quando essa usa le differenze e le specificità politiche e i profili di ognuna di noi, a gran rinforzo di tecnologie (e che la frontiera tra precauzioni e paranoie è sottile ed è diversa tra ognuno, che per confrontarci-agire nel buio vanno cmq definite dei metodi, includendo l’aspetto di come riuscire a non lasciare nessun* indietro che si trova latitante o prigionierx) e di specialisti forensi dell’anarchia. Non voglio mai dimenticarmi che i tribunali non sono luoghi dove esprimermi, anche se la mia rabbia degli umani che li fanno funzionare la esprimo dentro le aule ogni tanto, o che alcune accuse non le riesco proprio a sentire. Devo concentrarmi dunque nel decidere di reagire o no con la parola o scrivendo; non è facile deciderlo se penso che, tra emotività e giustezza etica, vorrei impedirmelo. Vorrei pensare che anche dalla galera ci si può esprimere e muovere in solidarietà, in modo da superare i ruoli che ci mettiamo noi stesse tra dentro e fuori, per permettere di superare paure e isolamento che si possono vivere dentro. Non voglio mai fare finta che ce la faccio mentre non è per forza vero, pero devo crearmi sotterfugi e attrezzi per non permettere alle merde di scacciarmi, e farlo sapere fuori di me, in primis alle persone che mi sostengono, per non cadere nel vortice dei non detti. Non voglio dimenticarmi che il sistema tutto e la repressione nello specifico hanno l’obbiettivo di isolarci, sfruttarci, e in caso ci si ribella, distruggerci.

Per me la posizione che prevede che l’esistenza di una dichiarazione, di una parte delle persone imputate, renda difficile o impedisca l’espressione della solidarietà in questo momento del processo, non fa per me. Forse non emerge dai testi pubblicati ma mi va di esprimerlo lo stesso. Penso che chi ha firmato questa dichiarazione ha sicuramente un bel po’ di cose da smaltire e sono discussioni che personalmente ritengo siano da fare informalmente, con loro e con chi incontrerò sulla mia strada, come lo era già nelle varie operazioni repressive passate (o tutt’ora in corso). Non metterò al repentaglio ne le critiche, e il tempo che esse necessitano, ne il bisogno di esprimere con forza che dal momento in cui il processo Scintilla sta andando avanti, vanno rese visibili la difesa e la solidarietà delle pratiche di lotta, senza sentire un bisogno di una cosa che scivolerebbe verso un ricatto alla rincorsa di dichiarazioni l’una dopo l’altra da esigere dalle persone firmatarie della dichiarazione o peggio dall’insieme degli e delle imputati. Lo dico perché penso che in termine di relazioni alla repressione sono tante le domande da porsi, tra se stessx e con chi ci sta attorno.

Le trappole della repressione sono tante, e non mi è chiaro, o meglio, rifiuto la facilità con la quale sembrerebbero facile e scontate un sacco di mosse e scelte: dichiarazione o no? In quale momento del processo? In quale grado di processo? Le dichiarazioni individuali tecniche si o no? E Quando? E  come si fa tra compa distanti o diversi politicamente? Non si fa più niente insieme? La scelta del rito, insieme sempre o no? Le testimonianze, se qualcuno ne ha e l’altra no, vale lo stesso? Vale il “si salvi chi può” o il rifiuto totale della differenziazione? E chi ha un gancio per i domiciliari e chi no, o i documenti, o semplicemente è profilato come “bravo e calmo” e l’altra come “imprevedibile e aggressiva”, come la mettiamo? Il discorso sul rivendicarsi o meno le azioni o la sua identità politica, prima, durante o dopo la condanna definitiva o mai? E il mio avvocato che mi consiglia questo o quello, lo seguo o no? Ho del tempo per confrontarmi con altrx o no? E la sfera personale della salute o della “famiglia” per esempio, come sono prese in considerazione?

Non si parla mai abbastanza di repressione, ed è un bene, purtroppo sono troppe le volte in cui la rabbia e la stanchezza mi fanno gettare la spugna, per un po’, per poi rendermi conto che senza fare questi sforzi avremo già perso molto di più. Importante per me anche interrogare il superamento dei miei limiti che, se li supero mi portano verso zone ignote che non sono sicuro di reggere, sia politicamente che emotivamente.

Non voglio mettere le mani avanti, e fare pensare che con queste domande e il tono che uso allora vale tutto!

Per essere chiaro, fondamentale è e rimane sempre che ciò che dico e faccio non deve mettere nei guai nessunx. E non solo nei labirinti giudiziari. Quindi al di la di questa certezza, che si dovrebbe scavare nei più piccoli dettagli, valgono tutte le posizioni da riflettere, discutere e criticare, fortemente, con passione e senza censura. Non vale farlo davanti al tribunale. Nutro grossi dubbi nel farlo su internet. Le distro, iniziative e spostamenti servono anche a questo dibattito. Tornando all’affrontare la repressione: Come prepararsi prima? è quasi sempre durante che si capisce come si sta…E come facciamo per capire come opporsi ad un’accusa di tentato omicidio indiscriminata o di tentata strage e rischiare cosi di cadere nei termini del codice penale? Non ho una risposta e le voglio trovare informalmente e basta. Che ognuna trovi la sua e la sappia comunicare con chi vuole, se ne ha il tempo e le possibilità. Ammetto che il “movimento anarchico” viene tirato fuori spesso (per fortuna non sempre) come giustificatore delle critiche e non come stimolo a confronti sulla propria definizione e tensioni individuali e collettive legate all’Anarchia. Non esiste un’anarchia unica così come non esiste un movimento anarchico unico per quanto mi riguarda, e per questo il dibattito continuerà sempre. Esiste anche la difficoltà di richiedere sostegno e confronti che mettono tempo ad arrivare o non arrivano mai…Penso che alcune cose si metabolizzano e si esprimono anche a distanza di anni rispetto ai colpi repressivi che riceviamo, e che i tempi miei non sono per forza i tempi di tutti quanti. Mi ricordo che due anni fa, quando i miei compagnx sono stati arrestati, e che una di loro era catapultata nella latitanza, si è cercato di fare il possibile in solidarietà attiva e di vicinanza. Il non stare zitto di fronte al tribunale del riesame più che farmi incazzare mi ha stimolato a capire il perché e il come era successo. Mi ha spinto a farmi molte domande sul mio rapporto alla repressione, al carcere, alle modalità di lottare ed è stato un’occasione per creare momenti di confronto su argomenti delicati ben al di là della specificità di questa dichiarazione. Chiudo il mio sentire attorno alla dichiarazione e a ciò che ruota attorno, con sicuramente ore di discussioni da sviluppare, con la volontà di non disertare la necessaria lotta alla repressione.

La continuità e lo sviluppo della lotta contro le frontiere a Torino e nei suoi collegamenti in Italia o nel mondo esisteva da anni prima dell’operazione Scintilla. La volontà di spingere in varie direzioni  e di cercare di farlo insieme ha permesso a ragazzi e ragazze incazzatx che eravamo, molto diversi tra loro e di varie parte geografiche, di età e di percorsi sovversivi, di mettere le energie insieme sulle basi semplici della seguente rabbiosa voglia di distruggere i Cpr, le frontiere e dunque lo Stato, a volte in accordo, a volte in ordine sparso. Ciò favorivano i momenti di confronto. Il rapporto individuale tra teoria e pratica diventava un’esigenza da mettere a confronto insieme. Sicuramente mancava la reciprocità della teoria con la pratica che avrebbe potuto impedire di fare errori, e di prendere tempo per soffermarci. Lottare insieme è sempre limitante per l’individuo, la ricerca di equilibrio è costante. La forza di quell’insieme di persone ha permesso di partecipare attivamente a destabilizzare la macchina delle espulsioni, a dare una mano concreta interrogandosi rispetto al concetto di assistenzialismo (senza trovare risposte certe), dai passaggi di frontiere alle fughe individuali o di massa, a trovarci assieme a chi voleva per prendere un tetto a gratis, a martellare con discorsi e azioni le retate e chi gode (politici) o guadagna (aziende) di questa lucrativa guerra alle persone migranti. E mi concedo un ecc che ognuno e ognuna potrà riempire a piacimento o meno.

Dal 2013 le offensive repressive a Torino si sono seguite senza mai più fermarsi, e nonostante ciò si è continuato a provarci. Non in una forma uniforme. Con tanti ostacoli e una dispersione che non avevamo anticipato, anche se la lotta alle frontiere è ovunque. Nonostante questa repressione costante si è tenuto duro. Nonostante la maledetta classica dinamica di “comunitarismo” che si crea quando vieni aggrediti in continuazione, come possono essere le persone migranti o gli ambiti di lotta politica e/o territoriale, ci si sta cercando e trovando. La stesura dei CIEli Bruciano, gli incontri sparsi contro le frontiere e i CIE, la moltiplicazione di azioni dirette fuori della troppo ridondante “campagna formale” è il fatto di tutti e tutte noi, imputati o no, torinesi o no, italiane o no. Per questo esprimo solidarietà a chi cerca di abbattere le frontiere, tutte le frontiere senza negare le differenze e cercando lo stimolo che rende la solidarietà possibile e necessaria nello scontro e la guerra in corso. E che continuino i nostri tentativi.

Con ogni mezzo necessario.
Con la vicinanza di fronte alla repressione.
Per la moltiplicazioni di azioni di solidarietà.
Per il confronto e l’auto-critica, contro il loro giudizio e il loro potere.
Liberi tutti Libere tutte
Fuoco alle frontiere.

Uno dei ragazzi dell’Asilo