Ora o mai più!

Qui di seguito pubblichiamo la traduzione di un testo apparso nell’ultimo numero del giornale “Kanaille”. A questo link la versione online: https://kanaille.noblogs.org/. Qui invece il testo originale in tedesco: https://kanaille.noblogs.org/.

PER GLI IMPRIGIONATI E LE IMPRIGIONATE IN TUTTO IL MONDO
CON GLI OCCHI ILLUMINATI DAL FUOCO ARDENTE CHE BRUCIA E DEVASTA OGNI CARCERE
PER L’AZIONE DIRETTA, QUI E ORA
PER L’ANARCHIA

Malacoda Berlin

Ora o mai più!

Il topo da laboratorio è nato in laboratorio. Ha passato tutta la sua vita lì. Non conosce altro che il laboratorio, il cibo da laboratorio, la ruota, la bottiglia d’acqua, la segatura, l’odore di disinfettante, le stanze senza finestre, la luce artificiale, le grandi mani ricoperte di lattice e gli occhi, incastonati in volti oscuri e mascherati, che lo scrutano attraverso le teche. E conosce il desiderio, il desiderio di essere vicino ai suoi fratelli e alle sue sorelle nelle altre gabbie, il desiderio di una vita diversa.

Questo ratto non ha idea del mondo al di là delle mura che lo circondano. Non sa nulla della terra umida e morbida e dell’erba profumata. Niente degli alberi, dei fiumi, del sole e del cielo stellato. Non sospetta nemmeno l’esistenza del formaggio francese nel frigo della stanza accanto. La cosa più importante è sopravvivere.

Il topo da laboratorio spera che questa sopravvivenza sia (la) più confortevole possibile, senza dolore, che permetta di essere vicino agli altri e comprenda il concepimento della prole. Ma tutto questo dipende dagli esseri umani in laboratorio. Gli umani decidono l’habitat e si prendono cura di tutti gli animali. Distribuiscono il cibo, curano le malattie e decidono chi deve riprodursi. Gli umani governano la vita e la morte.

Il cibo è monotono, ma soddisfa la fame. In ogni gabbia c’è almeno un abbeveratoio. Da alcuni flaconi esce un’acqua che ha un sapore diverso e porta con sé una certa apatia che si deposita sull’isolamento e la miseria della vita da laboratorio. La bevanda filtra nel corpo e allo stesso tempo lo avvolge in un abbraccio stretto che si insinua protettivo di fronte al dolore e alla disperazione. La distribuzione di cibo e dei flaconi d’acqua va di pari passo con la suddivisione del lavoro negli esperimenti, che porta con sé sia benefici che grandi sofferenze. Molto spesso è una combinazione di entrambi.

Molti si sono rassegnati alla vita noiosa nelle loro gabbie. Si sdraiano nella segatura e fissano la ruota che gira o le luci dei vari dispositivi che li circondano. Alcuni possono sbirciare attraverso le finestre di plexiglass i pochi ratti scelti per riprodursi, sembrano felici, per il momento, nelle loro celle leggermente più grandi, insieme alle loro famiglie. Ma in realtà, tutti sanno che la vita qui fa schifo.

Certo, ci sono voci su altri cibi e anche su tutto un altro mondo fuori dalle pareti bianche e dai tubi fluorescenti, fuori dall’acciaio inossidabile, dalla segatura e dalla plastica. Ma solo i fanatici e gli estremisti credono in questo.

Anche se ci fosse un mondo diverso, al di fuori di quello in gabbia, che aspetto avrebbe? Dopo tutto, i topi, questi ratti, dipendono dagli uomini e dalla vita ben ordinata del laboratorio, tutto il resto sarebbe caos, l’anarchia più pura! Senza il laboratorio, prevarrebbero condizioni barbare. Se l’uomo non agisse in modo controllato isolando gli animali, vaccinandoli contro gli ultimi virus, proteggendoli dalle numerose malattie e, in caso di dubbio, eliminando alcuni di loro, l’intero sistema crollerebbe. Tutto questo è per il bene di tutti e il fine ultimo è quello di assicurare la sopravvivenza della popolazione. Inoltre, senza il sistema, la sua sovrastruttura e i sapienti uomini che vi regnano e ne gestiscono il potere, questi poveri ratti resterebbero senza cibo, verrebbero mangiati dai loro stessi simili o uccisi da altri nemici ancora sconosciuti. Farebbero tutti una fine miserabile molto presto, questo è sicuro. Dopo tutto, si sa che l’esistenza in laboratorio è il modo più naturale, progressista e innovativo di vivere. I topi da laboratorio sono la punta di diamante della civiltà e dell’evoluzione. E non c’è, alla fine dei conti, nessuna prova che un’altra vita al di fuori di questa sia mai stata sperimentata o vissuta o che sia anche lontanamente possibile.

La maggior parte si è arresa al proprio destino. È così che va il mondo. A cosa servirebbe combatterlo? Non è realistico. Non ce n’è abbastanza per tutti. Questa è la natura della cose e chi non si impone o non si fa valere, semplicemente, perde.

Per la maggior parte, non c’è motivo di mettere in discussione questo stato di cose. Non c’è ragione di cambiare qualcosa, di volere qualcos’altro, se non per ottenere un vantaggio per sé stessi. Dopo tutto, le cose sembrano andare molto peggio in altri settori. In questo d’altronde si fanno solo “esperimenti sociali”. Se la cavano certamente molto meglio dei topi nei reparti di ricerca genetica o di test cosmetici. Il laboratorio è ordinato e sicuro. Tutto il necessario è assicurato. Quelli che non si conformano vengono eliminati o finiscono nella “Skinner Box”, piccole celle individuali in cui ci si può muovere a malapena. Ma chi ci finisce in qualche modo se lo è meritato…

Rimanere in vita il più a lungo e nel modo più comodo e agiato possibile è l’obiettivo. Per questo, molti sono disposti a fare qualsiasi cosa e a sopportare tutto. Il vincitore è colui che riceve l’acqua potabile narcotica e non deve fare quasi nulla per averla, colui che ha una grande gabbia luminosa, una famiglia e una ruota che gira. Le ruote da corsa sono l’unica grande invenzione. Perché anche in un piccolo spazio il topo può tenersi in forma. Molto meglio che girare in tondo. Perché solo gli animali in forma sono scelti per gli esperimenti. Tuttavia, il ratto deve stare attento, perché se corre troppo sulla ruota, avrà mal di schiena e verrà eliminato, smaltito.

La sera, quando le luci abbaglianti si spengono e la stanza colma di gabbie impilate è immersa nel verde tenue delle luci delle uscite di emergenza e la maggior parte delle persone sono assenti, i topi interagiscono, quelli che non sono troppo stanchi o esausti, conversano attraverso le sbarre. Parlano degli avvenimenti della giornata o delle regole che governano il sistema di assegnazione del cibo e del lavoro. Vogliono migliorare la vita di tutti gli animali in laboratorio. Sviluppano piani su come questo possa avvenire concretamente. Come si possono indurre gli animali anestetizzati e indifferenti a protestare? Con lunghe discussioni e riunioni, sviluppano un’idea su come potrebbe configurarsi e realizzarsi una vita migliore per tutti. Al posto di tante piccole gabbie e celle, si immaginano una enorme gabbia, che non sarà più chiamata “gabbia” ma “parco”, il “Rat Park”. Questo parco se lo immaginano ricoperto di trucioli di faggio profumati, di qualità superiore (i ratti da laboratorio in realtà non hanno idea di cosa sia un faggio… ma scommettono che i trucioli hanno un profumo delizioso). Lo spazio è ampio e comprende belle e confortanti zone di riproduzione e allevamento. Fino a 20 animali possono viverci insieme e muoversi liberamente. Ci sono ruote su cui correre e vari “scenari”, piccole colline e giochi, giostre. È un paradiso e un’utopia progettata per rendere la vita da laboratorio un po’ più sopportabile per tutti. Naturalmente, ci sarebbero ancora esperimenti. Quindi dovrebbero comunque lavorare. Non si può fare nulla senza lavorare. Ma almeno la qualità della vita tra un esperimento e l’altro migliorerà notevolmente. E dietro questa idea, alcuni di questi topi da laboratorio, vorrebbero unire la maggior parte di loro affinché possano, insieme, essere in grado di negoziare con gli umani. Da molto tempo girano a vuoto con questo piano. Ma ci credono ancora. Perché senza questa speranza, nulla avrebbe senso.

Una sera, come sempre intorno alla stessa ora, la persona in servizio vestita di nero entra nella città delle gabbie per l’ultimo giro di ispezioni. Va fino in fondo al magazzino, dove gli animali scartati e dimenticati, tra sacchi di segatura e bottiglie di disinfettante, si muovono nelle loro celle nell’oscurità. Lì si siede a un tavolino sotto la ventola di scarico e si accende una sigaretta. Mentre lo fa, scruta gli animali nelle gabbie di fronte a lui. Proprio lì davanti siede un topo a cui è cresciuto un orecchio umano sulla schiena. Posa la sigaretta nel posacenere e si alza per avvicinarsi alla gabbia e osservare più da vicino quel ratto, con un misto di fascino e disgusto nello sguardo. Poi la radio alla sua cintura suona, un allarme. Ascolta attentamente per un momento, poi corre oltre le celle della sezione anteriore, apre la porta d’emergenza illuminata dal bagliore verde e corre fuori. La porta rimane aperta. Una forte raffica di vento scuote le gabbie. Tutti sono svegli e all’erta. La porta aperta offre una vista sul cielo notturno infinito e sull’erba che brilla al chiaro di luna. Molti ratti incollano il naso alle pareti di plexiglass e annusano in direzione della libertà. Il breve shock è sostituito da una concitata comunicazione. In fondo alla stanza, la sigaretta sta ancora bruciando nel posacenere. Da lì, una sorella imprigionata richiama l’attenzione: ha un modo per liberare se stessa e gli altri, ma deve agire immediatamente. Le obiezioni vengono dagli altri ratti, quelli organizzati. Hanno paura che gli umani li imprigionino o li uccidano tutti se il tentativo fallisce. Molti dei ratti organizzati preferirebbero non correre rischi e attenersi al piano a lungo termine per avanzare le richieste e negoziare. In un certo senso se la passano piuttosto bene, dopo tutto sono vivi e hanno dei privilegi. Pochissimi, e specialmente quelli che non hanno più niente da perdere, sanno che hanno solo una possibilità di libertà ed è ora o mai più!

La sigaretta nel posacenere sul tavolo di fronte alla gabbia è ancora accesa e sotto quel bruciante bagliore le piccole, agili zampe del ratto svitano il bullone che tiene il flacone ben attaccato alla parete di plexigas della cella. In breve, il bullone cede e il flacone si schianta sul tavolo, catapultando la sigaretta fuori dal posacenere e oltre il bordo del tavolo, cade sui sacchi pieni di segatura. Presto cominciano a bruciare.

La mattina seguente, i resti fumanti del Labor-Mondo sono ancora visibili in lontananza. Poco più in là, ai piedi di un vecchio albero nell’erba, si scorge un gruppo di ratti. Seduti, si leccano le bruciature e le ustioni e annusano ancora e ancora, travolti da stupore e meraviglia, l’odore della terra.

Fonte: malacoda.noblogs.org