Operazione Scintilla – Un testo

Riceviamo e pubblichiamo:

È difficile scrivere un testo con così tanto ritardo. è difficile non sentirsi uno che corre ai ripari sperando di esser graziato nel farlo. è difficile non sembrarlo e riuscire ad essere onest, in primis con se stess e con tutte quelle persone che poi si hanno intorno.

Ho difficoltà a ricostruire ogni passaggio. Ogni discussione (non che io ne abbia fatte davvero molte in realtà). E forse è da questo che debbo partire. Dall’assumermi responsabilità mie personali. Dall’individuare quali sono stati i miei errori. Perché se voglio credermi individuo e non massa è dall’autocritica che debbo partire.

Non mi sono preso le mie responsabilità quando avrei dovuto. Né di fronte a me stesso, né di fronte ad altre/i compagn (alle quali avrei davvero dovuto dare spiegazioni). Non posso fregiarmi (ne voglio farlo) di aver, appena capito l’errore commesso, iniziato ad occuparmi di questo in modo costante o di averlo fatto con la serietà che questo richiedeva. Non ho avuto la capacità (ed il coraggio) di affrontare le mie responsabilità e questa cosa per quanto ora posso dire o fare resterà un fatto. Penso che con qualcuna delle persone con cui ho parlato in un primissimo momento non mi sono neanche assunto la responsabilità totale e incondizionata della scelta presa in sede di riesame. Modulando in qualche modo il mio approccio alla questione sulla base di chi avevo davanti. Assumendomi l’errore ma passando per quello che l’aveva capito, che comunque bravo.. Ponendo delle questioni che magari avevano ed hanno un senso ma utilizzandole in qualche modo per “smarcarmi” da responsabilità che comunque erano anche mie. Ho costruito la mia narrazione e ho spostato il discorso su alcune vicende interne a questa ma non ponendole nel modo che era dovuto. D’altro canto penso che di questa cosa girino narrazioni diverse e mosse da diversi sentire e ricostruzioni personali…. Forse io al tempo ero mosso dalla rabbia. Forse dalla paura. Non lo so. Me ne dispiaccio e cerco di porre rimedio.

Durante la mia permanenza nel carcere di Ferrara, dopo un confronto con l’avvocato difensore e gli altri compagni rinchiusi per la stessa operazione nello stesso carcere abbiamo deciso di rispondere alle accuse che ci venivano mosse. Sbagliando e non rendendoci conto in quale trappola eravamo finiti, o per meglio dire (ed esser del tutto onesti) in quale trappola ci eravamo messi noi stessi con le nostre mani. Perché il potere non chiede di rispondere. è stata una nostra scelta e siamo stati noi a creare questa situazione.

Mi assumo la responsabilità piena di quanto firmato in sede di riesame durante l’operazione Scintilla. Mi assumo la responsabilità di aver messo in una posizione di merda la compagna, nostra coimputata, che al tempo era “uccel di bosco” e tutte le altre compagn coinvolte nell’operazione. Mi assumo la responsabilità di essermi confrontato con le altre individualità anarchiche presenti nel carcere di ferrara durante la nostra (breve) permanenza li solo dopo aver rilasciato la dichiarazione. Mi assumo la responsabilità di non aver avuto il coraggio di pubblicare parola per parola quanto detto in tribunale. Su questo, tengo a precisare, ci sono state diverse discussioni tra noi coimputat ed altr compagn. Tra noi non si era d’accordo sul come muoversi a riguardo e si sono prese strade diverse. Con questo non voglio “dissociarmi” dalla strada presa da altr ma solo per chiarezza e completezza di narrazione ed anche perché non ho fatto nulla se non quattro chiacchiere con chi ho incrociato, prendendo la decisione di affrontare questa cosa e discuterla individualmente e non più collettivamente con le persone mie coimputate ma comunque non facendo niente di diverso, restando comunque in silenzio. Lasciando che il tempo passasse senza curarmi davvero di questa cosa. accettando così che, di fatto, chiunque non potesse essere raggiunt da me o da altr venisse esclus. Non permettendo di discutere di quanto accaduto se non secondo termini già determinati da poche persone, non avendo riguardo verso tutte le persone coinvolte. Più o meno cercando di mantenere la propria agibilità politica attraverso il silenzio e non il confronto come invece sarebbe stato opportuno fare. Inoltre, per quel che mi riguarda, questa situazione (di disaccordo sulla gestione della faccenda) ha creato un impasse in cui era difficile prender delle scelte senza sovradeterminare le altre persone, facendo così di fatto passare il metodo scelto per maggioranza ma che non era di totale consenso delle persone coinvolte. Ragionamento a cui io mi sono sottratto per distanze politiche e personali con chi mi è coimputat e le persone intorno. Preferisco non dilungarmi auspicando che siano le persone direttamente interessate a spiegarsi bene su questo. Tuttavia tengo a precisare che non voglio dire che non sia anche mia responsabilità il non aver reso pubblica la nostra dichiarazione.

A distanza di anni e con qualche ragionamento in più in tasca, voglio provare a soffermarmi su una questione. A portare, se pur non mi sento in pieno nella posizione di poterlo fare, delle criticità. In primis dirette a me stesso ma che forse possono esser spunto di discussione.

Credo che, nonostante io giri da parecchi anni, non ho mai colmato alcuni vuoti. Uno tra questi (ed è quello su cui voglio soffermarmi) è il discutere delle pratiche e della conseguente repressione che può colpire tutti e tutte. Sopratutto non aver mai discusso davvero quale dovrebbe essere “un accettabile difesa” in sede processuale. Principalmente i processi che mi hanno visto coinvolto riguardano lotte interne al territorio di Torino (vedi per esempio il processo contro la lotta agli sfratti a Torino, arresti del 2014 o quelli per le varie occupazioni etc etc). Nelle varie sedi tribunalizie il metodo di difesa utilizzato dai nostri avvocati era basato sullo “smontare” le accuse andando a dibattere le affermazioni dell’accusa sui nostri spostamenti, discorsi e azioni.. Portando testimoni a difesa che potevano dimostrare che fisicamente non eravamo li, che facevamo altro, che le intenzioni descritte erano per lo più illazioni basate su possibili motivazioni ma che non avevano nulla di concreto o di comprovabile ma che anzi le nostre motivazioni erano di un ben più alto grado morale.

Pensavo che non entrando nel merito delle questioni (e quindi delle pratiche) potesse andar tutto bene ma ad oggi non penso più questo. Penso invece che questo modo, protratto negli anni, mi abbia portato a “normalizzare” nei miei ragionamenti una qualche forma di dialogo con la controparte; che continuare a difendersi riconoscendo nel nemico (lo stato, rappresentato da un giudice) un’interlocutore che in qualche modo “è in ascolto” sia uno dei tanti errori gravi che ho commesso. Che questa modalità fin’ora tenuta divida maggiormente chi lotta e avvalla in pieno la narrazione di buone/cattive da parte dello stato.

Nonostante sia passato molto tempo e nonostante questa domanda mi sia stata posta più e più volte non so ancora riconoscere lucidamente cosa mi ha spinto a far questo negli anni e nei vari processi. Ingenuamente mi viene da dire che è stata la paura di una lunga carcerazione (non cerco onore. stimo chi ha deciso di star zitt e prendersi anni di galera sulle spalle. avrei voluto anche solo la metà del vostro coraggio.) mista la rabbia di non riconoscersi nella narrazione fatta sulle nostre vite, i nostri rapporti, le nostre tensioni… Ho stupidamente creduto che bisognava rispondere a quanto mi veniva mosso contro. Come se delle carte tribunalizie abbiano mai “dipinto” le lotte o le compagne in modo accettabile e che quello fosse un oltraggio inaccettabile. Che idiota sono stato.

Senza essermi confrontato abbastanza con i compagni e le compagne. Senza aver aspettato il tempo necessario per riprendere lucidità si è agito d’impulso e si è deciso di rispondere quindi anche nel procedimento denominato “Scintilla”, forse quasi punto per punto, a quanto scritto dalla pubblica accusa sulle carte…

Parlo di/per me. Perché parlar di/per altre persone non mi interessa. Ho scritto e firmato una dichiarazione che davanti ad un giudice prendeva le distanze da pratiche che fanno parte del bagaglio del movimento anarchico. Invece di difendermi ogni pratica come era sensato fare ho pensato stupidamente di poter dire davanti un giudice cosa ne pensavo. E qui ha ragione la compagna che scrive “fioretto e mannaia fuori da quelle aule”. Senza, tral’altro, aver neanche chiaro nella mia testa cosa ne pensavo davvero di quelle pratiche. Senza essermi fermato a ragionare di cosa realmente venivo accusato, sul portato reale di ciò e non quanto descritto da guardie e giudici perché non mi dovrei aspettar nulla dal nemico se non una ricostruzione di eventi, relazioni e persone che non mi deve appartenere. Che non va discussa.

Non scrivo questo testo per metterci una pezza. Non scrivo pensando che questo testo basti, nè pretendendo di aver un senso di completezza o chiarezza assoluta, anzi tutt’altro. Mi sento più confuso che mai. Arrivo alle porte di un processo in cui l’unica cosa saggia che mi sembra sia possibile è star zitto.

Non farò il povero compagno contrito che dice mea culpa. Che vuol esser compatito e capito. che per lui è stato tanto difficile poverino… no. Sento di aver bisogno di confrontarmi su mille mila questioni. Sento che devo lavorare, e molto, su me stesso e sul mio agire. Sento che devo, seppur in ritardo mostruoso che non ammette giustificazioni, ammettere questo bisogno data da questa situazione specifica ma anche da ben più tempo e più in generale sul significato di essere compagn. Di prendermi la responsabilità delle mie parole e del mio agire.

Per completezza delle cose che ho pensato o detto o fatto in questo tempo, e riguardo più in generale la mia presenza nelle iniziative e nella solidarietà. Mi sono domandato quale e quanto poteva essere il mio spazio all’interno di un mondo che oggi fatico a guardare in faccia. Non ho smesso in toto di andare ad alcune iniziative (per lo più benefit in spazi occupati, difficilmente in piazza se non in pochissimi casi) ma mi sono detto che quelle dovevano essere occasioni per incontrare persone e, con delle precauzioni di sicurezza che a riguardar oggi non hanno più senso e non l’hanno mai avuto, discutere di questo o quanto meno cercare di darsi momenti altri per discutere. Mi sono detto che nell’eventualità che qualcun non avesse avuto voglia di condividere lo spazio con me l’avrei capito. Questo agire, se pur ancora oggi mi sembra “sensato”, è fallace perché mette me (o chi sapeva di questa cosa) nella posizione di decidere con chi discutere e quando. Anche qui automaticamente escludendo compagn che non sanno o che non mi conoscono direttamente.

Non volendo assolutamente spostare la questione ma poiché condivido e voglio assumermi la critica (una delle) che viene mossa, cioè di non aver reso pubblico quanto stava accadendo. Concludo questo scritto aggiungendo altre informazioni riguardanti il nostro riesame e le scelte processuali fatte. Oltre la dichiarazione collettiva alcune di noi, su alcuni passaggi specifici, più o meno dividendosi gli argomenti da controbattere, hanno deciso di rilasciare altre dichiarazioni individuali. Io di seguito copio/incollo il testo che ho letto, scritto e firmato in quella sede. Conscio che le responsabilità siano e debbano essere individuali. Sperando che le mie responsabilità non ricadano su altre persone (per esempio che è imputat nell’operazione scintilla ma totalmente estranea alla dichiarazione).

Io De Salvatore Giuseppe ho ideato, cercato le informazioni necessarie ed impaginato l’opuscolo “I cieli bruciano” con l’intenzione di portare la solidarietà ai reclusi dei cie/cpr, al di là dei consueti presidi pubblici sotto le mura dei centri, andando a denunciare pubblicamente tramite manifesti, presidi e picchetti coloro che collaboravano in varie forme alla gestione dei centri di detenzione per persone senza documenti. Attraverso queste iniziative di denuncia volevo cercare di coinvolgere nella solidarietà ai reclusi anche coloro che non facevano parte di gruppi di attivisti e militanti. Cercando inoltre, come per esempio in data 11/03/15 durante il presidio di protesta davanti la ditta “Di Virgilio studio” o anche in data 11/04/15 la manifestazione alla sede dell'”agenzia viaggi 747″, di sensibilizzare la cittadinanza sulla questione dell’immigrazione, la xenofobia dilagante e le condizioni di vita disumane a cui erano sottoposti i reclusi dei Cie/Cpr.

Rispetto la raccolta dei dati e delle informazioni inserite nell’opuscolo ho semplicemente fatto una ricerca nei siti delle singole prefetture dei bandi e concorsi pubblici ivi inseriti nella pagina di amministrazione trasparente (decreto legislativo 33/2013) e nel sito internet dell’Anac per quel che riguarda i voli e le compagnie aeree utilizzate per le deportazioni. Vorrei inoltre sottolineare l’estraneità di Niccolò B. nell’deazione e nell’impaginazione dell’opuscolo “I cieli bruciano” sia nella prima che nella seconda edizione. Ricordo che poco tempo prima che mi venissero sequestrati i due hard disk di mia proprietà (All’inizio del 2017) Marianna V. aveva necessità di ripristinare il sistema operativo del suo pc, motivo per cui mettevo a disposizione uno dei miei due hard disk per salvare un backup dei dati personali presenti sul suo personal computer. Motivo per cui veniva rinvenuto dal consulente tecncico, Geom. Guido Fioravanti, in uno dei due hard disk il curriculum vitae di Niccolò B. Inoltre, a pag. 47 dell’ordinanza di applicazione di misura cautelare viene indicato come “ulteriore elemento indiziario” le pseudonimo Distrozione a me attribuito. Vorrei far notare che tale pseudonimo altro non è che il nome dell’etichetta musicale indipendente punk da me ideata, nel 2005, e da me gestita e non un blog di area anarchica torinese come indicato nell’ordinanza.

Concludo sottolineando che rispetto la misura cautelare di divieto di dimora emessa in data 20/05/15 (a mio carico e di Antonio R.) e per quel che riguarda la misura cautelare di custodia in carcere emessa in data 03/08/17 (a mio carico insieme ad Antonio R. e Lorenzo S.) siamo stati assolti per non aver commesso il fatto.

segue firma…

Non ho un’idea di cosa si deve fare o se qualcun si aspetta qualcosa adesso. Sono ovviamente disposto a venire a parlare con chi avrà voglia e nella sede che si riterrà più opportuna. Colgo l’occasione quindi ora, in ritardo, per la prima volta di dire apertamente che questa cosa esiste. Che ce la si porta dentro e che vorrei parlarne con chi vorrà. Lascio di seguito un indirizzo mail e chiave pgp per chi volesse scrivermi e/o incontrarmi.

indirzzo mail: [email protected]

link chiave pgp:

https://keys.openpgp.org/vks/v1/by-fingerprint/8C1918F5352B211FC6E228E77960B67B31BE8331