Lettere di rabbia

Riceviamo e pubblichiamo:

Questa lettera è l’estratto della rabbia. Essa non ha grandi pretese, vive nel sottosuolo dell’anima di ognuno di noi e si ciba ogni giorno di ciò che accade nella nostra quotidianità. Non vive secondo degli schemi, non ha logica, non ha forma, può esser passeggera come un autista a una sosta in autostrada, o rimanere incollata nella mente come il peggiore degli incubi.

Essa non trasmette alcun messaggio, pone l’onere al lettore.

Nei paesi occidentali oggi il tasso di mortalità in età medio-anziana è diminuito, “si muore più tardi”. Abbiamo una vita in media che dura di più, rispetto le precedenti generazioni, ciò dovrebbe permetterci grazie all’aiuto della scienza di poter godere anche di una salute decente nella nostra vecchiaia. Tale concetto, qual’ora fosse veritiero e palpabile nella realtà, dovrebbe rappresentare finalmente il raggiungimento di uno stato di cose, che permettano a noi esseri umani di poter vivere in pace l’uno con l’altro, o almeno con noi stessi.

Peccato non lo sia.

Al diminuire della mortalità in tale fascia d’età, corrispondono vari fattori. La nostra vita è diventata una corsa consueta, verso il raggiungimento di obiettivi, molto spesso non prefissati dal diretto interessato, ma da ciò che il mercato e la società richiede. Dobbiamo studiare, laurearci in fretta e preferibilmente in contemporanea avere un’esperienza lavorativa, che possa permetterci di essere presentabili e referenziati durante un colloquio di lavoro che faremo nell’azienda che tanto sognavamo quando correvamo per prenderci “il pezzo di carta”.

Sarà forse finita lì la corsa?

Potremmo finalmente respirare, chiedere un minuto per domandarci cosa è stata la nostra vita sino a questo momento? La risposta è no.

La corsa non termina, gli obiettivi del mercato mutano, cambiano i nomi delle leggi, le formule economiche, ma la sostanza al di sotto di tutte le formule che vengono espresse sono le medesime di quando correvamo all’università. E in quel momento, stanchi, non più giovani come prima, forse potrebbe nascere il dubbio nella mente plasmata sin da tenera età, se tutta quella corsa sia servita, se tutti quei respiri affannati abbiano costruito qualcosa dentro e fuori di noi, o se sono solo stati passi veloci di un soldato che risponde ai comandi del sergente.

Potremmo guardarci attorno, e vedere che in tale condizione si trovano tanti come noi, che nel loro inconscio si stanno ponendo lo stesso quesito, ma meglio di no, potrebbe andarci peggio, in questo momento potremmo essere disoccupati, in cassa-integrazione, quindi meglio non discutere e porsi questi futili quesiti, anzi ringraziamo l’università, l’azienda e il sistema che ci permette tutto ciò.

Potemmo guardarci attorno e vedere che tale sistema ha solo favorito, i figli dei padroni che ci comandano, laureati nelle università private costruite stesso dai loro genitori e finanziati dal sistema. Tali soggetti li ritroviamo spesso, anche sotto mentite spoglie, all’interno dei luoghi di quel che oggi rimane della contro- cultura.

Riconoscibili per la loro innata natura al potere e al comando, adorano dire cosa è giusto e cosa è sbagliato fare o pensare, ovvio che tale fase è unicamente il viaggio di un turista in un paese esotico. Potremmo vedere come questi giovani rampolli, futuri dirigenti del nostro sistema, culo e camicia con i politicanti di turno, rappresentino la sterpaglia da bruciare.

Ma anche qui, potremmo dire meglio di no, loro se lo meritano il posto che occupano all’interno della società, la fantomatica meritocrazia vige in questo ragionamento, e pertanto noi dobbiamo essere subordinati a loro, la società oggi ci dicono che è ugualitaria, potevamo indebitare noi o le nostre famiglie e seguire anche noi all’interno delle loro roccaforti del sapere, e oggi essere noi a comandare e non comandati.

Dovremmo forse smetterla di porci tali quesiti, continuare a vivere la quotidianità che ci rimane. Durante la settimana seguendo il nostro percorso lavorativo o universitario che sia, e il fine settimana godere del nostro tempo “libero” in luoghi dove possiamo sfogare le nostre frustrazioni, luoghi criticati e creati stesso dal sistema, per rinchiuderci in quella gabbia costruita con le nostre mani, chiamata società.

La nostra rabbia rappresenta un moto di azione e reazione, si presenta come sfogo per poter crescere e cibarsi dei nostri dubbi. Noi vogliamo prendere la rabbia, dominarla e comprenderla, per poi usufruire di tutta la forza che essa possiede.

Il nostro credo è la “non-credenza”

Non vogliamo partiti, istituzioni o movimenti (ex-finti rivoluzionari) che vogliono riformare questo sistema, noi non entriamo nei palazzi del potere, noi li vogliamo distruggere. Come vogliamo distruggere ogni forma che alimenta tale sistema, dalla università-azienda createsi negli ultimi venticinque anni, alla fabbrica, all’impianto di logistica che getta ogni briciolo di dignità umana del lavoratore, al movimento di sinistra che tampona la rabbia rivoluzionaria libertaria che arde del cuore degli ultimi della società.

Anonima Lettera Anarchica

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