Lettera dall’isolamento, poesia e disegno fuggiti dall’interno della prigione

L’8 dicembre 2020, diverse perquisizioni hanno avuto luogo ai quattro angoli della Francia, portando all’arresto di nove persone. Dopo 96 ore di custodia cautelare presso la DGSI (Direction Générale de la Sécurité Intérieure – Direzione generale della sicurezza interna NdT*), sette di loro sono stati incriminati per “associazione criminale di natura terroristica”. Cinque di queste persone sono state poi incarcerate, tutte con lo status di “detenuti sottoposti a sorveglianza speciale” (DPS). Alla fine di aprile 2021, dopo cinque mesi di privazione della libertà, due di loro sono stati rilasciati. Molto recentemente, a metà ottobre 2021, un altro compagno è stato rilasciato sotto controllo giudiziario, nonostante il ricorso della procura. Questi arresti sono avvenuti in un contesto politico di crescente criminalizzazione dei movimenti sociali. Il ricorso all’accusa di associazione criminale è sempre più utilizzato per spezzare i collettivi militanti e schiacciare le lotte. Da diversi anni assistiamo a un eccesso di legislazione: la legge sulla sicurezza globale, la legge sul separatismo, i decreti Darmanin2, la legge SILT3, ecc… L’autorità amministrativa sta prendendo il sopravvento sul potere giudiziario. Con l’attuazione di una forma di giustizia predittiva, tutti sono ora presunti colpevoli, e le persone sono giudicate in base alla presunzione delle intenzioni. La lettera che segue, così come la poesia e il disegno, sono dei compagni ancora detenuti.

Lettera dall’isolamento – Bois d’Arcy – Estate 2021

Da più di un mese e mezzo ho voglia di scrivere di nuovo sull’isolamento, ma non riesco a cominciare, non riesco a concentrarmi abbastanza. O la mia mente evapora nel nulla come una nuvoletta, o si condensa in una specie di melassa così densa che blocca tutto nel mio cervello e mi fa venire mal di testa. Anche se la prima può sembrare più leggera (è come essere drogati e in uno stato di stordimento), entrambe le situazioni mi provocano una sensazione dolorosa. In effetti, assistere alla perdita delle proprie capacità intellettuali e alla propria decadenza è una sensazione particolarmente violenta. È in questa condizione mentale che sto lavorando a questo testo.

Il desiderio di dare aggiornamenti sulle mie condizioni nasce dalla constatazione improvvisa che sto peggiorando. Nuovi sintomi appaiono mentre quelli vecchi peggiorano sempre di più, senza che venga prestata loro alcuna attenzione. Quando ti rendi conto che hai completamente dimenticato che due dei tuoi amici (coimputati) sono stati rilasciati (sotto controllo giudiziario), l’unica buona notizia da quando sono stato rinchiuso, è un vero shock. Il cervello comincia seriamente ad andare fuori strada. I problemi di concentrazione, le difficoltà a costruire i propri pensieri, lo stordimento, la perdita dei punti di riferimento temporali, i mal di testa, le vertigini, tutti questi sintomi già menzionati sopra, lungi dallo scomparire con il tempo, sono diventati sempre più diffusi, sono diventati comuni o normali. Ma a questi dobbiamo aggiungerne altri. Prima di menzionarli, dobbiamo capire una cosa: ogni volta che appare un nuovo sintomo, un nuovo dolore, ci diciamo che è temporaneo, aspettiamo che passi. Ma no! Ogni nuovo disturbo che appare è solo un assaggio di quello che si stabilirà a lungo termine e diventerà sempre più presente. Questi nuovi “compagni” sono quindi :

La perdita della memoria, la mancanza di punti di riferimento, nessuno scambio con le persone, nessuno stimolo, le cose non si registrano più. Le informazioni ricevute durante telefonate, visite, letture, ecc. entrano ed escono senza lasciare alcuna traccia, o solo una vaga sensazione di qualcosa di impalpabile. Se non scrivo immediatamente i miei programmi per l’attività sportiva o le cose da fare durante il giorno, dopo un minuto li dimentico completamente…

A questo si aggiungono i problemi visivi: ora è impossibile vedere un pavimento dritto e livellato. I pavimenti si inclinano in tutte le direzioni allo stesso tempo e mai allo stesso modo. Ci si potrebbe divertire a cercare di indovinare da che parte andrebbe una palla se fosse lanciata per terra. Ma comunque sarebbe proibito farlo…

Un altro sintomo molto preoccupante è la forte pressione al petto accompagnata da un dolore al cuore, come una fitta. L’impressione è che il cuore batta più velocemente, più forte, come se volesse uscire dal petto e una sensazione di febbre, anche durante i momenti di rilassamento, che possono essere sessioni di tai-chi o di meditazione. Questo dolore è durato per un mese intero, senza sosta, prima che se ne andasse, solo per tornare di tanto in tanto a visitarmi inaspettatamente.

C’è anche il problema del mancato accesso al proprio cervello. È diventato oramai normale, quando qualcuno tira fuori un argomento, sapere di avere conoscenze su di esso ma non averne accesso, il collegamento per arrivarci è interrotto, non si collega. E la paura si insinua, e se non fosse la strada che non riesci a trovare, ma la tua conoscenza che via via si logora fino a scomparire?

Oltre a tutte queste cose, come già detto, c’è anche il fatto che questa situazione porta a molta sofferenza psicologica.

Quindi cosa si fa in questi casi? Ci si preoccupa, si chiede di vedere un medico? Sì, ma in isolamento è molto complicato accedere all’ala medica. Si potrebbe dire che un medico visita due volte alla settimana in C4 (la zona di isolamento della prigione di Bois d’Arcy), ma in supervelocità, nel corridoio con le guardie, senza alcuna possibilità di garantire una parvenza di segreto medico e con appena il tempo di prendere tre note e darmi del doliprane, dicendo che qui (in isolamento) avere mal di testa è una cosa normale. Ottenere un appuntamento non è sempre facile, e una volta ottenuto è ancora più difficile recarvisi.

Per lasciare il C4, l’intera area di detenzione deve essere bloccata, il che impedisce il funzionamento della prigione. Quando ci si sposta, tutto deve essere chiuso e inaccessibile, anche alla vista, in modo che sia sicuro che nessun altro detenuto possa vedere o essere visto. Il fatto che si debba essere accompagnati da un ufficiale e un guardiano durante tutto il tragitto, e l’orario dell’appuntamento, complica la logistica del carcere e richiede più personale. È quindi più facile lasciare il detenuto in balia delle sue speranze, che si esauriscono nel giro di qualche minuto, finché non si rende conto che non andrà all’appuntamento tanto atteso.

Per due volte il mio appuntamento con il dentista è stato rimandato perché non sono stato accompagnato in tempo, mentre sia io che il dentista eravamo entrambi in attesa!. Dall’inizio di febbraio ho chiesto di essere seguito da uno psicologo, ma siamo alla fine di giugno (1), ancora non si vede luce all’orizzonte. La mia visita medica ha avuto luogo dopo un mese di ripetute richieste, ma soprattutto grazie all’intervento dei miei avvocati.

Il medico mi disse a voce che quello che lamentavo era causato dalla condizione di isolamento, che era normale in questa situazione e che sarebbe passato quando sarei uscito, senza darmi un certificato medico in tal senso (2). È come se non volessero tener conto dei mie gravi danni fisici e mentali, come se mi dicessero “stai soffrendo, non ci interessa, non è grave”. Beh, anche se non fosse grave, anche se passasse dopo mio rilascio, non è normale per me soffrire così. Non rilasciare un certificato medico significa contribuire all’esistenza di questi fatti, diventando complici delle torture subite. Ciò che è interessante vedere è che essere in isolamento crea disturbi psicologici e fisici che non possono essere adeguatamente controllati a causa del fatto che si è in isolamento. È il serpente che si morde la coda, la spirale infernale. È una tale assurdità che è difficile credere che sia un caso.

Ora è stato messo in atto un “sistema” che dovrebbe garantire che io possa accedere ai miei appuntamenti, resta da vedere come funzionerà dato che non si è ancora presentata l’opportunità di metterlo in pratica.

Questo “lusso” l’ho ottenuto grazie al fatto che sono molto insistente circa i miei diritti, o come direbbe la direzione: “esigente sulle condizioni di detenzione”. Ma qui il rispetto dei diritti dei detenuti è da strappare con le unghie e coi denti, non si applica automaticamente e appellarsi al buon senso con cortesia perché venga applicato è totalmente inutile. La dieta vegetariana, più o meno gradevole, l’ho ottenuta solo dopo che ho citato la legge e minacciato di chiamare i miei avvocati. Anche il problema del lettore CD e degli appuntamenti medici, l’ho risolto allo stesso modo: “avvocato”! L’unico modo per ottenere qualcosa, per far valere i miei diritti è gridare: “avvocato!”. Anche se non è sorprendente, è comunque angosciante notare come l’amministrazione penitenziaria (AP) imponga una relazione di tipo antagonista con i prigionieri, tutto deve essere gestito come se fosse una lotta di potere.

So di essere un privilegiato in questo senso, ho due avvocati che sono determinati a far rispettare i miei diritti. Un lusso enorme di cui pochi qui, suppongo, possono vantarsi. Ho anche il privilegio di avere una certa padronanza della lingua francese e della sua lettura e scrittura per poter esprimere chiaramente le mie affermazioni e poter giustificare la loro legittimità. Perché anche se si possono fare reclami ai supervisori su certe cose, il protocollo ufficiale, ed unico riconosciuto, è la parola scritta. Non posso immaginare il calvario per coloro che non parlano la lingua o che hanno difficoltà con la sua pratica scritta e che ovviamente non possono, in isolamento, chiedere una mano a un compagno detenuto. Essendo la PA, come implica il suo nome, un’amministrazione con tutto ciò che comporta, la pazienza acquisita nel tempo è la qualità più importante, così come la capacità di adattarsi a questo protocollo. Mi chiedo come una persona che non è sostenuta da un avvocato, che non padroneggia bene la lingua, possa reclamare i suoi diritti e non perdere la pazienza. E se si perde la pazienza, come si fa se i diritti vengono violati? Quali derive e quali conseguenze ci saranno? Non lo sappiamo già?

Il mio morale fluttua da momenti di quasi euforia (il che non è necessariamente rassicurante) fino alla demoralizzazione e alla demotivazione totale, e questo senza che sia successo nulla e senza che nulla giustifichi questi cambiamenti d’umore. La situazione psicologica è instabile, mi rallegro quando tutto va “bene”, mentre temo il momento in cui toccherò inesorabilmente il fondo. Oltre ai parenti che si sforzano di offrirmi una visita settimanale, il mio miglior sostegno è il sole (anche se sta cominciando a trasformare la prigione in una fornace). Sono molto impressionato da quanto il tempo influenzi il mio stato mentale.

Per resistere non guardo mai al futuro, non immagino nulla di positivo per paura di restare deluso e di subire un crollo emotivo. Nessuna speranza, nessuna delusione. Così vivo alla giornata, ripetendo instancabilmente la mia routine. Una routine rigorosa tra il mantenimento fisico, lo sviluppo intellettuale e l’appagamento psicologico che mi deriva dal guardare un raggio di sole o effettuare una buona presa di tai-chi. L’autodisciplina è l’unica cosa che mi resta quando non rimane altro. Un’altra tecnica per continuare a sorridere è mentire spudoratamente sulla propria situazione. Una leggera differenza nella nuova cella? Wow! È fantastico. Cibo industriale? Figo! Se aggiungessi curcuma, sale, raz-el-hanout, curry, erbe provenzali, cumino e harissa, diventerebbe il mio piatto preferito! L’acqua della doccia è calda? È rilassante! E’ fredda? È rinvigorente. Non vedere il bicchiere mezzo vuoto ma pieno per due terzi…

Quando si cambia di cella, ci si rende conto di quanto si debba imparare nuovamente a riconoscere i suoni. Inconsciamente, si integrano tutti i suoni del corridoio. Il risuonare dei passi, l’eco delle voci, il rotolare dei carrelli, lo scorrere degli spioncini, il tintinnio delle chiavi, il bip del cancello di sicurezza, l’apertura e la chiusura delle porte, si intuisce cosa sta succedendo. È quindi possibile anticipare il momento in cui le guardie arrivano alla porta. Questo può non sembrare un grosso problema, ma secondo me, è molto importante per non essere sorpresi. Non essere sorpresi significa anticipare il suono forte e brutale dei chiavistelli e delle serrature. Essere sorpresi da questo suono ti fa saltare, dà una scossa al tuo cuore, un’impennata di stress e senza motivo, è biologico, animale direi. Ho in testa l’immagine della cerva o della gazzella in agguato, con le orecchie attente per non cadere vittima del predatore. Anche se coscientemente nulla giustifica un tale sentimento e, personalmente, non ho nessun comportamento aggressivo o abuso da deplorare da parte dei supervisori. Non posso farne a meno, come un dovere vitale, un istinto di sopravvivenza, di essere sempre pronto, di essere sempre all’erta. Come un modo di prendere possesso del proprio territorio, di controllare il proprio spazio! Questo è sicuramente dovuto al fatto che anche se le nostre relazioni sono cortesi, non saranno mai amichevoli e i sorveglianti saranno sempre solo anelli della catena della mia oppressione.

L’ultima volta (3), non ho menzionato gli spioncini che permettono alle guardie di osservare i prigionieri attraverso la porta. Nel frattempo, hanno aggiunto delle grate anche qui… Come se non ce ne fossero già abbastanza… Questo non ci permette di sapere se siamo osservati oppure no, e serve solo a isolare ancora di più l’essere umano. Dove una volta c’era un “occhio” (un’immagine piuttosto inquietante, persino cosmica, a proposito) ora non c’è più nulla. Non c’è più alcun legame visivo tra sé e l'”occhio”, solo il suono (presto il nulla), un altro piccolo passo verso la disumanizzazione dell’ambiente carcerario. Questi controlli vengono effettuati ogni due ore circa, giorno e notte. Durante il giorno, è necessario dare un segno di vita, altrimenti bussano alla porta, quindi si viene svegliati se si sta riposando. Di notte il controllo è inevitabilmente accompagnato dall’accensione delle luci (per un periodo più lungo a seconda di chi lo fa…). Nelle notti in cui riesco a dormire bene, mi sveglio solo una volta, altrimenti…

La cosa più dannosa dell’isolamento è che rende il reale irreale. Dal momento che si è permanentemente soli con se stessi, con i propri pensieri come unica interazione, il mondo reale non si materializza, i parenti che mi vengono a fare visita mi raccontano di un mondo (quello esterno)che sembra essere immaginario, e una volta che se ne sono andati mi sembra di aver vissuto solo un sogno. L’unica (patetica) realtà è questa cella, questi libri, questa doccia, questa “pseudo passeggiata” individuale. Anche gli altri detenuti delle passeggiate (reali) che si vedono attraverso le grate della gabbia, sembrano trovarsi in un altro universo. Vediamo ciò che succede al di fuori della propria cella, siamo informati di ciò che ci riguarda ma senza viverlo realmente, senza sentirlo.

Apprendere della morte di un amico mi colpisce in un modo così confuso che è impossibile definirlo chiaramente. Sorgono così tanti sentimenti in una volta, quelli normali, profonda tristezza, shock, confusione, il tutto mescolato con un senso di irrealtà. Anche se si conosce la crudele verità di questa terribile perdita, sembra essere solo un incubo lontano. Non partecipando al funerale, non c’è la condivisione di quel momento con le altre persone che lo hanno amato, e nemmeno la possibilità di confidarsi con un altro prigioniero. Oltre a questo, c’è la necessità di resistere. Una lotta permanente per non affondare, che non ci lascia “tempo libero” per abbandonarci completamente al nostro dolore, alla nostra pena. Poiché le visite sono le uniche e brevissime boccate d’aria fresca, si concentrano piuttosto su ciò che porta gioia e i temi dolorosi vengono volontariamente limitati o omessi. Ancora una volta, i sentimenti e le emozioni sono, per una sorta di meccanismo di sopravvivenza, bloccati, relegati a dopo, all’uscita… Quanti di questi eventi si sono accumulati dall’inizio dell’isolamento? Quale bagaglio emotivo ci si porterà dietro? Come si affronterà tutto questo una volta usciti? Cosa succede se questo “bagaglio” si dovesse incrinare? Ops… domanda(e) a cui non pensare.

Questa realtà è limitata ad uno spazio così piccolo che diventa egocentrica.

Ritornando alla mia situazione e al mio isolamento, è “divertente” notare il non rispetto delle leggi da parte della PA. La circolare del 14 aprile 2011 stabilisce, in breve, che non si può essere messi in isolamento per i fatti di cui si è accusati (o per i quali si è stati condannati). Il motivo deve essere un comportamento cosiddetto “inappropriato” o “pericoloso”. Nonostante questo, la direzione del carcere mi ha imposto l’isolamento per sei mesi e ne ha ottenuto il prolungamento dicendo molto chiaramente che si basava solo sugli atti compiuti, e che riconosceva che il mio comportamento non aveva causato alcun problema. Così, senza alcun imbarazzo, si calpestano i diritti di una persona e si applica la cosiddetta “tortura bianca”… Tranquillo!

Resistere perché non c’è scelta, resistere per rispetto di se stessi e della propria famiglia, resistere grazie al sostegno di chi ci sta vicino: famiglie, amici, compagni. Grazie a loro per questo immancabile sostegno. Grazie anche alle persone che non conosco e che mi hanno onorato con il loro.

Note :

Questo testo non ha lo scopo di spiegare come funzionano le prigioni, né pretende di essere rappresentativo di come sia la vita in isolamento. Non pretende di teorizzare i meccanismi ufficiali e non ufficiali, gli “strumenti” repressivi utilizzati per rompere o ridurre la determinazione dei prigionieri, cosa che alcuni hanno già fatto con grande abilità. Questo testo ha valore solo per quello che è: una testimonianza di una persona particolare, in un momento particolare, in un luogo particolare, niente di più e niente di meno.

Spero che la parte sul padroneggiare la lingua francese, leggere e scrivere non suoni pretenziosa, come “parlo bene il francese!”, non è questo il punto. L’idea è che se non parli francese o se fai fatica a leggere e scrivere, allora sei nei guai per rivendicare i tuoi diritti! È chiaro o ho sbagliato? Devo ripeterlo di nuovo?

Ieri a mia madre è stato rifiutato il permesso di depositare libri e CD, probabilmente perché non aveva il permesso. Errore di un nuovo assunto? Punizione indiretta? E’ anche vero che ci sono stati molti problemi con i pacchi durante l’estate, che spero saranno risolti presto. (4)

Oggi, il 6 settembre e dopo diverse richieste, è stato rilasciato un certificato medico con scritto solo perdita di memoria e dolore al petto e ancora niente appuntamento con lo psicologo.

Flusso libero

NB: Le note sono state aggiunte dal comitato di sostegno.

1) La situazione è ancora la stessa nel mese di ottobre 2021

2) Durante l’udienza di rinnovo dell’isolamento di ulteriori 6 mesi, è stato chiesto al dottore di fornire un parere medico, così come allo SPIP di fornire un parere sul comportamento del nostro compagno.

3) Vedi lettera del 2021 pubblicata su l’envolée N°53 e sul blog soutien812.net

4) D’ora in poi, e in seguito ai cambiamenti nel funzionamento del carcere, il nostro compagno deve chiedere l’autorizzazioni per ogni libro o CD che gli viene consegnato, e il pacco deve essere ispezionato dal capo del centro di detenzione.

Un disegno e una piccola poesia, degli altri due imputati in detenzione, sono scappati dall’interno della prigione…

Poesia da corridoio, per le nostre grida nei reparti

La scrittura, per guarire e rivelare i nostri mali,

non dimenticare di pensare per non finire nelle prigioni.

Oh tu prigione, il tuo cuore di mattoni mi lascia indifferente,

Aspetto la tua distruzione per sedermi ai piedi di un albero.

Ulcera che sono, sanguinante nelle tue viscere di ferro e cemento, sogno questo giorno,

che quelli che voi chiamate “cancro del sistema” vomiteranno.

Oh tu libertà, io ti sogno, a volte ti parlo, scrivo il tuo nome in un sussurro o nel profondo delle mie cellule, e fantastico di avvicinarmi a te, accarezzarti e baciarti.

Guardo fuori dalla finestra e la mia vista è squadrata, l’orizzonte perso e mal incorniciato.

Lavagna e vernice cancellata, nello spirito di una busta di cemento.

Manu da Fresnes, agosto 2021

In una cella di Fleury Merogis

Fonte: soutienauxinculpeesdu8decembre.noblogs.org

Traduzione: infernourbano