Lettera a un Cileno

Riceviamo e pubblichiamo:

A Joaquin Garcia Chanks e Marcelo Villaroel Sepùlveda, compagni e cospiratori.

«…ogni posizione rivoluzionaria estrae la sua forza dalla segreta convinzione che nulla si può cambiare»

George Orwell, In cammino verso Wigan Pier

«Alice: Quanto dura per sempre? Coniglio bianco: A volte solo un istante»

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

Il malessere è il nuovo punto di partenza delle impetuose proteste popolari che spaziano per il pianeta. Hong Kong, Francia, Algeria, Irak, Haiti, Libano, Catalogna, Ecuador, Bolivia e Cile sono i fastuosi protagonisti della ondata di rivolte urbane moltitudinarie che scuotono il mondo. Sebbene sia certo che queste profuse proteste hanno origine in detonanti particolari che le spiegano (specialmente Hong Kong e Catalogna, con le loro infatuazioni indipendentiste), sarebbe ingenuo pensare che questa rabbia accumulata non sia interconnessa. L’incremento del costo di beni e servizi, aggiunto alla austerità – con la conseguente perdita di impieghi e diseguale sopravvivenza economica a misura che l’incremento globale disaccelera –, sono il denominatore comune della maggior parte di queste mobilitazioni. Tuttavia, è innegabile che queste proteste hanno in comune anche un altro grande momento che oltrepassa ampiamente l’analisi economicista e che molto convenientemente non viene trattato dai media della domesticazione di massa e intenzionalmente sfugge all’analisi di politologi e apologisti del dominio: la convulsione antigovernativa, la repulsione contro chi governa e contro tutti i partiti politici di ogni colore. Caratteristica che impone l’assenza di leader e/o dirigenti, e facilita la effimera concretizzazione della Anarchia. Senza dubbio i tratti specifici di quest’ultimo assemblaggio antagonista, eccita a priori molti/e compagni/e anarchici/che, che proseguono analizzando gli accadimenti attraverso la lente della ideologia e rimangono arenati in anchilosati paradigmi ottocenteschi. Niente di più letale per le ideologie che la medesima realtà.

Evidentemente quel vecchio modello di società anarchica che si configurava come valorizzata positivamente, di un prototipo di società, di un progetto di cambio e di una pratica corrispondente, non si può più replicare ai giorni nostri. Come ben rimarcò il compagno Alfredo Bonanno in una delle sue conferenze tenute in Atene, intitolata “La distruzione del lavoro”: «La prima cosa che dobbiamo eliminare dalla nostra mente è pensare che nel futuro, anche nel caso si concretizzasse la rivoluzione, vi sia qualcosa da ereditare dallo Stato e dal Capitale. Ricordate le vecchie analisi dei compagni di venti, trent’anni fa, quando si pensava che tramite l’esproprio rivoluzionario dei mezzi di produzione dalle mani dei capitalisti e la loro consegna ai proletari – debitamente educati alla autogestione –, si creerebbe la nuova società? Questo non è più possibile». Oggi non basta con la moltiplicazione delle rivolte spontanee né con la generalizzazione dello sciopero né con il trionfo della rivoluzione sociale né con l’esproprio dei mezzi di produzione e l’inversione delle strutture piramidali del dominio affinché le condizioni autogestionarie e libertarie di convivenza si materializzino come possibilità immediata. Però non possiamo limitarci al segnalare che le vecchie lotte non sono più valide ai giorni nostri. Nuovamente ci troviamo con la stessa incapacità di sempre di poter attraversare la linea e passare una volta per sempre dall’altro lato. [Ci troviamo] Con l’incapacità di abbandonare la strada senza uscita che impone il Potere, di liberarci da noi stessi, di sbrogliare il cammino e rinunciare definitivamente al solito circolo. Ci tocca dunque rivedere minuziosamente la nostra impalcatura storica, togliere la tavole marce o erose dal tempo e rimpiazzarle con solido e fresco legno. Abbiamo da ripensare l’Anarchia, o pensare contro il pensare. Invertire i diagrammi. Pensare – ci ricorda Deleuze dall’Inferno – consiste nel: «legare ogni volta una freccia da uno medesimo ……… BoH!»

GIA’ VISTO

Per quanti eravamo adolescenti in quell’iconico anno 1968 – e per coloro più grandi che lo vissero lanciando sampietrini o in scenari molto più compromettenti – le esuberanti rivolte dell’oggi ci paiono un “di già visto”, cioè ci provocano quella sensazione di “già vissuto”, di storia che si ripete e di aver già affrontato la medesima esperienza nel passato. In effetti, le mobilitazioni di massa non sono nuove. Anche le manifestazioni settantottine furono multitudinarie e conformarono un movimento egualitario di contenuto antiautoritario – mai previsto e ancor meno promosso dalle chiese dell’anarchismo ufficiale di quel momento – che fuoriuscì dalle coordinate politiche ed economiche che lo originarono dando vita a una crisi di civilizzazione che pose in scacco la società dispensatrice di disciplina e anticipava la crisi del mondo capitalista del decennio ’70 e lo sfaldamento dello Stato benefattore. Dopo seguirono le proteste – ugualmente moltitudinarie – contro la guerra in Indocina (Vietnam, Laos e Cambogia). Quindi venne il maggio ’77 italiano, seguito dalle manifestazioni antinucleari di mobilitazione contro la denominata “globalizzazione” a livello internazionale (Seattel, Washington, Praga, Quebec, Genova, Tessaloniki, Varsavia, Guadalajara) estendendosi fino al 2004. In data molto più prossima, abbiamo visto le mobilitazioni di massa e manifestazioni promosse dal movimento 15-M, anche battezzato come “movimento de l@s indignd@s (2011-2015) nello Stato spagnolo e, una sua replica, il movimento Occupy Wall Street (del 2011-2012); così come le proteste in piazza Sintagma di Atene e quelle realizzate dal movimento Nuit debout en Paris e, ancora più recenti, quelle realizzate dai “Los chalecos amarillos”. Nonostante lo spirito contestatario che le animò e la spontaneità manifesta, tutte queste mobilitazioni (senza eccezioni) terminarono il loro ferreo impeto non sottomesso ricreando la dialettica marxista del potere costituente e finirono attanagliate nei dispositivi di cattura del sistema del dominio. Come ci ricorda il compagno Bonanno «La macchina del ’68 produsse i migliori funzionari del nuovo Stato tecno-burocratico». Eccola la portentosa capacità di assorbimento da parte delle strutture del dominio dei movimenti sociali come fonte inesauribile di restaurazione. Così vediamo trasformarsi il “movimento degli indignati” delle piazze dello Stato spagnolo in Podemos e costituirsi in difensore della legge e dell’ordine “in nome degli umili; e Syriza abbandonare le piazze di Atene e implementare le politiche di austerità della U.E, convertendosi nel suo fedele esecutore e in governo. O la Nuit debout reclamare l’istituzione di una nuova costituzione e il Movimento Occupy Wall Street ingrossare le fila di Bernie Sanders nella sua sfida alla Casa Bianca.

In realtà, una volta fatto questo racconto delle proteste e mobilitazioni passate, ci sorge un certo dubbio che ci invita a chiederci se realmente stiamo percependo un “di già visto”, cioè se in verità si sta ripetendo la storia e se abbiamo la certezza che questi avvenimenti son già accaduti prima, o sperimentiamo una alterazione della memoria che ci fa credere che ricordiamo situazioni che mai son accadute e, in verità, siamo davanti ad un fenomeno mai visto, mai udito e neppure sognato. Se nel Maggio del ’68 le proteste furono ispirate alla utopia costituente – così come la sfilza di mobilitazioni più su menzionate – ; è evidente l’assenza di prospettiva utopica nelle attuali mobilitazioni che scuotono il mondo. La rabbia e la disillusione non ha motivazioni utilitariste, non politiche né ideologiche, sono irrazionali, vanno oltre la negazione della politica e trovano impulso in una tensione distopica. Quantunque per certi versi la protesta si mescoli e confonda con le richieste cittadiniste proprie di partiti e sindacati – sempre pronti a mischiarsi alla reazione populista predominante – l’eccedenza negativa che emerge dalla medesima articola le passioni represse e la forza erotica della sedizione creando soggettività insurrezionali volatili che danno fugace vita alla Anarchia, sovvertendo l’ordine e provocando crisi nei dispositivi di cattura.

ISTANTANEE DELLA RIVOLTA CILENA (primo avvicinamento)

Dal 18 ottobre dell’anno in corso, il Cile è divenuto l’epicentro della insurrezione latinoamericana, regalandoci vere battaglie di strada contro sbirri e soldati. In 15 giorni di perenne rivolta il fuoco insorgente generalizzato è arrivato a interrompere la immonda normalità che prevaleva nella corrotta “transizione alla democrazia”, dopo tanti anni di fascismo imposti col fuoco e col sangue dalla dittatura militare-imprenditoriale del generale A. Pinochet. Senza dubbio l’insurrezione generalizzata che oggi vive in Cile è il volto irrefutabile dello sconforto, il gesto nichilista di chi ha perso ogni speranza, la esplosione della rabbia anarchica che fin dall’inizio del secolo abbiamo intuito una nutrita schiera di sovversivi affini, un congiunto di complici e co-cospiratori con attiva presenza e esperienza pratica diffusi nel mondo. Oltre i mille graffiti di acrati pugni temprati che oggi danno alito alla prolungata ribellione nelle città di Santiago, Valparaiso e Concepciòn, la conflittualità si manifesta in molteplici maniere nella regione cilena. In Santiago, al di là della mobilitazione di 1 milione e 200 mila manifestanti che ha fatto notizia in tutti i media – con gli effetti di magnificenza simbolica – si è concretizzato il solito attacco alle icone della dominazione, scaricando tutta la rabbia repressa contro le multinazionali capitaliste, distruggendo la merce, incendiando decine di autobus del trasporto pubblico, veicoli ed edifici, sabotato e incendiato stazioni del metro e realizzato numerosi espropri in negozi e uffici. Proseguendo con l’assalto ai simboli, venne attaccato in tre occasioni il canale TV “Mega” da giovani mascherati e con artefatti incendiari. Una statua in onore alla polizia venne abbattuta sulla strada nel comune di Barnechea, unitamente a tanti altri monumenti – simboli iconografici del dominio – che son stati distrutti in innumerevoli piazze del paese. Similmente fiumi di manifestanti han tentato di prendere La Moneda in ripetute occasioni, affrontando la feroce risposta di militari e carabinieri. L’assalto al palazzo del governo, è divenuto l’obiettivo principale della insurrezione sociale, stimolando certa reminiscenza della presa del Palazzo d’Inverno che dovrebbe chiamarci alla riflessione.

APPUNTI PER UNA RIFLESSIONE COLLETTIVA

Perché dovremmo assaltare La Moneda? Nostro proposito non è prendere palazzi ma demolirli. O, che è la stessa cosa: sottraiamoci dal Potere. Cioè, distruggere ogni vestigia del potere costituito e soffocare ogni intento di potere costituente. Da quest’ottica deve restarci molto chiaro che gli sforzi convergenti dei poco rossi e molto agenti della sinistra del capitale, con la sua Mesa de Unidad Social e i suoi insistenti richiami al plebiscito, a una “nuova Costituzione con la vincolante partecipazione cittadina” e alla conformazione dell’Assemblea Costituente; così come il tentativo manipolatore del Movimento Allendista por una Nueva Constituciòn; o la repulsiva convocatoria del Frente Pratriotico Manuel Rodriguez a “los militares patriotas, a los carabinieros conscientes” affinché “si sottomettano al popolo e favoriscano la lotta e la fine dei governi cattivi”; e gli urlanti schizzoidi di Izquierda Libertaria, e Socialismo e Libertà reclamando per la “unità popolare”; non solo sono ben lontani dai nostri obiettivi di lotta ma rappresentano un nuovo tentativo di perpetuare il dominio e consolidare il capitale “dal volto umano”. Tentativo che dobbiamo combattere col medesimo impeto col quale affrontiamo il potere costituito. Inoltre, nei confronti dell’ala più radicale della socialdemocrazia armata, il denominato  Fronte Patriotico Manuel Rodriguez-Autonomo (FPMR-A) e il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria-Esercito Guerrigliero dei Poveri (MIR-EGP), non solo ci tocca mantenere una sana distanza estremamente scettica ma valutare con tutti i mezzi possibili la loro proposta di Poder Popular. Sfortunatamente vi sono compagne e compagni che persino insistono sul carattere “sociale” della rivolta contemporanea e mantengono le loro aspettative in una pretesa – e irrealizzabile ai giorni nostri – società libertaria che, come segnalò bene Alfredo nella citata conferenza: «sono convinto che anche se “la anarchia si realizzerà”, gli anarchici saranno critici di questa anarchia costituita. Perché quest’anarchismo sarà una istituzione anarchica, e son sicuro che la gran parte dei compagni saranno contro questo tipo di anarchismo». Per molti amanti della lotta sociale dalle multiple e particolari interpretazioni dell’anarchismo, dobbiamo “comprendere che la lotta contro il capitale ha vari fronti e forme di azione” affinché si possa avanzare “verso il futuro, il nostro futuro”. Affermazione questa non solo difficile da comprendere ma anche da digerire dall’ottica anarchica contemporanea senza soccombere in posizioni riformiste di chiaro segno socialdemocratico. Senza alcun dubbio i componenti del collettivo editoriale di questa zine – e quanti lo producono da quasi sei anni –, mantengono la fede nel “nostro futuro” e per quello non lesinano nel conformare alleanze con “altri rivoluzionari” e partecipare a “vari fronti” in diverse “forme di azione”. Indiscutibilmente quando si fanno alleanze di finisce per modificare gli obiettivi in cerca della giustificazione politica della lotta: un “futuro migliore”. Senza riflettere che la fede nel futuro è essenziale per perpetuare il dominio. Vivere sempre nel futuro è precisamente il metodo tradizionale per non vivere qui ed ora, appartandosi per sempre dal conflitto permanente implicito nel partecipare alla guerra anarchica. Fatto questo che Novatore già considerò or sono un secolo fa! In fondo, dietro una tale posizione, albergano le sfasate aspirazioni “istituenti” [cioè protese a novelle Istituzioni]. Fedeli al richiamo del canto delle sirene, intuiamo in esse, repliche di elogio della libertà – che rimbombano sempre agli albori di ogni rivoluzione –, ignorando che in realtà sono inni di lodi al nuovo Potere costituente. In seguito verranno le ingenue delucidazioni quali tentativi di pretese motivazioni e cause delle “deviazioni”, dei “tradimenti” e si ripeterà fino alla noia la vecchia storia della “rivoluzione tradita”, invece di chiarire che la Rivoluzione mai è stata (ne mai sarà) dal lato della libertà, bensì al servizio del Potere perché ogni rivoluzione è instrinsecamente istituente. I Robespierre, il Comitato di Salute Pubblica, i Lenin, gli Stalin, i Castro, il KGB, non sono alterazioni e deformazioni dei denominati “processi rivoluzionari” ma la loro naturale conseguenza.

Da qui, la nostra compulsiva ossessione per “reinventare” l’Anarchia, per restituirle la teoria – ma soprattutto la pratica –, la sua potenza emancipatrice. Niente di più osceno ai nostri giorni che abbandonare l’Anarchia in nome di una versione volgare del “comunismo libertario” postmoderno a cui invitano come alternativa. Abbiamo da smantellare i feticci che ci mantengono cristallizzati, e rinunciare alle alternative (a tutte le alternative messe in vendita). Ogni alternativa alla Anarchia è un segno del claudicare e una fuoriuscita codarda che porta a perpetuare il dominio sotto l’insidiosa maschera delle trasformazioni. Purtroppo, la concezione distorta dell’ideologia – fortemente radicata nel nostro ambiente – ancora invita molti a concepire l’anarchismo come una realizzazione (che “dura per sempre”), invece di considerare che si tratta di una tensione distopia che ci concede istanti di Anarchia che dobbiamo estendere mediante l’attacco preciso (costante!), però, per perennizzare l’attacco, per materializzare la volontà distruttrice, serve una previa organizzazione dell’insurrezione anarchica; cioè è necessaria l’articolazione informale di piccoli gruppi di affinità capaci di coordinarsi e intervenire anarchicamente durante un movimento insurrezionale spontaneo.

Così e solo così diamo vita alla Anarchia in queste interruzioni effimere di ogni “normalità”, estendendo lo spirito illegalista, propagando il caos fino alle ultime conseguenze, distruggendo il lavoro e tutti i pilastri del dominio. Come ci ricorda Coniglio bianco (Alice nel paese delle meraviglie): per sempre a volte dura solo un istante ed è in questo lasso di tempo che dobbiamo demolire tutti i ponti del ritorno, bruciare le navi del regresso e incendiare la merce, demolire la macchina del recupero. Per far ciò dobbiamo stare pronti, pur se si concreta un solo effimero istante di Anarchia, consapevoli che la sua materializzazione è solamente occasionale. L’obiettivo non è lottare per instaurare l’anarchismo. L’essenziale è vivere la Anarchia nella lotta quotidiana con quella passione vitale che inonda e potenzia il nostro intransigente agire, ricordando ai vincitori del presente che MAI arriveranno a dormire in pace.

Gustavo Rodríguez

Pianeta terra, 2 novembre 2019.

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