Lettera a un/a cileno/a (parte 3, ed ultima) Gustavo Rodriguez

Ricevuto dai siti in lingua spagnola il 22/02/2020

A Joaquín García Chanks e Marcelo Villarroel Sepúlveda, compagni e co-cospiratori.

“Continueremo l’assalto all’esistente con tutti i mezzi, senza mai essere messx a tacere da chi tenterà di zittirci con le armi della reazione e della rassegnazione, siano i calci degli stivali democratici o la chiacchiera vuota delle opinioni o le sirene dei dolci uomini della speranza.”

Jean Weir; Parole addomesticate da un cuore selvaggio.

“Chi è deciso a portare a compimento le sua azioni non è una persona particolarmente coraggiosa, semplicemente è qualcuno che ha chiarito le sue idee, che si è reso conto dell’inutilità di sforzarsi a giocare bene il ruolo assegnatogli dal Capitale nella rappresentazione. Cosciente, attacca con fredda determinazione. E nel farlo si realizza come essere umano. Realizza se stesso nel piacere. Il regno della morte scompare davanti ai suoi occhi. “

A.M.Bonanno, selezione di testi.

“La finiremo una volta per tutte con l’illusionismo della dialettica. Gli sfruttati non sono portatori di nessun progetto positivo, anche se fosse una società senza classi […] La sua unica comunità è il Capitale, dalla quale solo possono fuggire a condizione di distruggere tutto ciò che li fa esistere come sfruttati…”

Ai ferri corti.

Quando si scriverà la Storia – così, con la maiuscola, che sempre è stata e sempre sarà scritta dai vincitori – sull’insurrezione generalizzata in Cile alla fine della prima decade del ventunesimo secolo, bisognerà leggerla con estrema meticolosità, perchè in essa rimarranno impresse le supposte motivazioni della “crisi” che ha generato la rivolta. Ancora una volta prevarrà l’analisi economicista – che porrà l’enfasi nella “oscenità della miseria” provocata da questa forma di incerta dominazione chiamata neoliberismo – e la scarsa capacità di negoziazione di un governo superbo che non seppe ottemperare alle richieste popolari e optò per la continuità di un regime corrotto e impunito, erede (costituzionale) di una delle dittature fascisti più sanguinarie del continente americano.

Senza dubbio nulla rimarrà registrato di quella potenza anonima che dette forma alla rabbia della disperazione, di quel agire nichilista in energia travolgente, che ha irrotto nella normalità attaccando spietatamente la realtà che ci opprime.

Questa potenza sarà resa invisibile (nel migliore dei casi) e/o ridotta a una marmaglia di “elementi anarchici e lumpen, alleati a gruppi di narcotrafficanti per scatenare saccheggi e vandalismo”(1) che lottano all’interno stesso della condizione pacifica della “legittima” protesta e della trascendentale importanza del nuovo feticcio costituzionale come garante leguleio (persona che si occupa di questioni legali senza aver nessuna credenziale. Ndt.) delle “necessità del popolo.” In questa maniera è rimasta impressa (la storia della rivolta. Ndt), in ben 22 pagine in una brochure con pretese letterarie, scritta dall’intellettuale socialdemocratico Ariel Dorfman, pubblicato opportunamente per il Fondo di Cultura Economica (FCE)(2). Però, questo tipo di speculazioni sempre ce le si aspetta dai letterati al servizio della sinistra del Capitale. Come anche c’erano da aspettarsi i riadattamenti del libretto marxista contemporaneo, nel chiaro tentativo di resuscitare una logica caduca e comparativamente fallita che alla fine è rimasta sepolta nel cimitero di Highgate (località inglese dov’è sepolto Marx. Ndt) da più d’un secolo. Per questo oggi – non domani – tocca a noi il coerente esercizio di fare una contro – storia (Benjamin dixit), ossia, potenziare la narrativa insurrezionale, che non è scritta con inchiostro e penna, ma è tessuta e macchiata con nafta e dinamite nel nostro stesso corpo.

APPELLI E PROPOSTE SOTTOFORMA DI OPUSCOLI.

Anche se la logorrea leninoide – dal partito comunista cileno (PCC) fino ai bolscevichi extraparlamentari (leggasi Frente Patriótico Manuel Rodríguez-Autónomo; il Movimiento de Izquierda Revolucionario-Ejército Guerrillero de los Pobres e i resti del MAPU-Lautaro) – applicata alla retorica economicista non dista molto dall’analisi di Dorfman, e’ altrettanto certo che (a differenza di questo bieco personaggio e del PCC) I pochi gruppi leninisti che ancora rimangono ai margini delle istituzioni oggi esaltano la “spontaneità della violenza” e applaudono la “autogestione nelle strade” accantonando le tesi di papà Vladimir e dei suoi scontri dialettici con Rabóchei Dielo(3) e, mostrando il loro leggendario opportunismo, attraverso il proprio puntuale merchandising – destinato al consumo di massa – provano a venderci rottami a tutti i costi.

Così si legge nel pamflet pubblicato dal FPMR-A e dal MIR-EGP e distribuito in alcune delle zone urbane più radicalizzate e con forte tradizione di lotta (Villa Francia, Lo Hermida, Maipú, la Florida, Puente Alto, tra le altre) inaugurando un travestitismo semantico che celebra la “lotta che possiede nuove dinamiche di organizzazione, modalità, espressione di mezzi e di chiamata/convocazione” e plaude alla “contraddizione: modernità e consumo VERSUS visione cosmogonica, autonomia e autogestione”(4).

Se tutto ciò non fosse stato sufficiente (a farci vomitare) aggiunge: “le rivendicazioni femministe non sono solo per le donne, ma condizioni indispensabili per una società libertaria, senza dominazione, da questo la loro acuta dimensione politica”(5). Continua con la pretesa che questa prolungata insurrezione sia “il riflesso di una nuova forma di costruirci come soggetto sociale, una forma di potere popolare insorgente e comunitario che, lontano dal ricercare un congiunto di norme o forme di governo, sempre si mantenga nel proposito di lottare finche’ non si avrà la totale dissoluzione di tutte le forme di alienazione, dominazione, autoritarismo, ingiustizia, saccheggio e repressione. Che sia, allo stesso momento, espressione politica della vita organizzata in reti solidarie e orizzontali nelle comunità e nei territori.”(6) E per concludere, a mo’ di dichiarazione di principi, spiattella: il nostro orizzonte è il dispiegarsi dei nostri mondi e forme di vita per costruire una soggettività emancipata e finirla con ogni dominazione. Lottiamo per creare un nostro potere, autonomo e autogestito. […] Il nostro orizzonte è libertario, incompatibile con la moderazione che pretendono i potenti per mantenere intatti i propri privilegi […] la vera pace, con giustizia e dignità, è infine l’obiettivo più prezioso di una rivoluzione sociale e libertaria”(7). Direttamente da questo nuovo epitome, i leninisti extraparlamentari hanno cominciato a promuovere le cosiddette “assemblee territoriali” in un altro saggio per recuperare – in termini politici ideologici – la (fino ad ora incontrollabile) insurrezione, tratteggiando una confusa sceneggiatura con raffinate sfumature demagogiche che mostrano quanto poco i/le giovani/e protagonisti/e della rivolta siano ricettivi/e alla sua  attrazione, evidenziando da se’ l’inesistente radicamento che possiede il marxismo-leninismo nel nuovo non-soggetto sovversivo (impossibile da soggettivare) che oggi incita l’insurrezione in lungo e in largo per la geografia cilena e, di conseguenza, l’urgente necessità (degli/lle ML. Ndt.) di ricorrere al camuffamento: l’immemore strategia del lupo che si traveste da nonnina adescando Cappuccetto Rosso.

Allo stesso modo riappaiono sulla scena i “marxisti rivoluzionari”, autodenominatisi “comunisti internazionalisti”, apportando le loro elucubrazione al groucho-marxismo post moderno. E, come c’era d’aspettarsi, non hanno risparmiato alcuno sforzo per respingere la farsa costituzionale e riaffermare il loro ripudio di ogni pestilenza parlamentare, denunciando, di sfuggita, l’opportunismo storico dei bolscevichi cileni. Tuttavia, corroborano coincidenze intorno e riguardo alle “assemblee territoriali”, promuovendone la proliferazione. A tal fine, hanno messo in circolazione un nuovo fumetto intitolato “Non si torna indietro”(8), edito dal Gruppo Comunista Internazionalista Comunista (GIC), che non ha smesso di stupirmi per il riordinamento semantico strategico del discorso nei suoi ripetuti affanni di reclutare incauti nel giro anarchico.

Vale la pena di notare il superlativo cinismo con cui è stato scritto l’opuscolo in questione, dove, oltre a riconoscere che “la ribellione del 18/10 è stata spontanea, popolare, massiccia e anarchica”, arrivano addirittura ad ammettere, senza apparente ostacolo, che “in questa nuova ondata globale di ribellioni contro il sistema di dominio, le insurrezioni non hanno più all’orizzonte una “conquista del potere” (così come intesa fin dalle rivoluzioni borghesi: attraverso la cattura del potere statale), ma sono vere e proprie “insurrezioni permanenti” che sfidano il potere”(9).

Wow! E dove sono finite le tesi di orientamento programmatiche e il desiderio di instaurare la dittatura del proletariato per abolire il lavoro salariato?!

Per caso abbandonarono il dogma della religione fondata dal più grande dei fratelli Marx e abbracciarono entusiasti il relitto iconoclasta, Bakunin?! E nemmeno a menzionare la fastosità con la quale rimarcano le differenze tra “le rivoluzioni borghesi” e la “vera insurrezione permanente”, mettendo mano alla teorizzazioni contemporanee dell’informalismo anarchico che tanto duramente hanno criticato nell’ultima decade(10).

Però quello che più mi ha colpito del nuovo opuscolo del GIC è stata la riconcettualizzazione che fanno dell’idea di “classe”, introducendo la nozione di “classe/specie”(11) in un disperato – e incredibilmente arbitrario – tentativo di sussumere l’intera specie umana all’interno del concetto di “proletariato”(12). Nemmeno possiamo sorvolare sul comodo riadattamento teorico intorno alla “rivoluzione sociale” come “possibilità per l’umanità di riconciliarsi con se stessa, con gli altri animali e con la natura”(13): un occhiolino spudorato ai sostenitori del Fronte di Liberazione degli Animali (ALF) e dell’anarcoecologia radicale imperniata attorno al Fronte di Liberazione della Terra (ELF); entrambe, posizioni fortemente criticate in passato da questo gruppo marxiano che attribuiva una “visione ideologizzata”, tipica del “deviazionismo piccolo-borghese”, a questi collettivi che lottavano per la liberazione totale e contro l’addomesticamento del selvaggio. Nonostante l’assoluta impudenza del loro nuovo discorso-trappola, ciò che è veramente preoccupante è l’evidente concomitanza di tutti i clan di discendenza marxiana intorno allo sviluppo di “assemblee territoriali” come veicolo efficace per la risoluzione di problemi e compiti (di “ordine pratico”) in vista della futura comunitarizzazione: “Quello che ci è chiaro è che le assemblee territoriali sono organismi creati a partire dal 18 ottobre dalle comunità in lotta. Il nostro posto è lì, dove dovremo discutere apertamente con coloro che abbracciano più o meno consapevolmente posizioni istituzionaliste e socialdemocratiche, che finora si esprimono in un sentimento maggioritario a favore di un “processo costituente”. Ma non è tutto: le maggiori potenzialità delle assemblee territoriali, nella misura in cui mantengono la loro autonomia, agendo dall’esterno e contro lo Stato, hanno a che fare con questioni e compiti pratici (autodifesa, alimentazione, comunicazione, cura dei bambini e degli anziani) che dovrebbero essere spinti ai loro limiti per poter fissare da se stesse obiettivi comunitarizzanti. “Le assemblee sono lo spazio da cui possono emergere nuove forme di relazioni sociali, che superano e gettano all’immondezzaio della storia i rapporti sociali capitalistici. È necessario coordinarle tutte”(14).  E dal momento che sono avviato in questa rassegna critica dei testi e produzione panfletaria(15) nel contesto dell’emisfero australe, lamento il non poter includere anche il testo di analisi dei neo-blanchisti (c’est a dire, gli/le “appellisti/e” o nostrani/e “autonomi/e diffusi/e”. Ndt.). Qualche interno mi diceva che l’opuscolo del Comitato (centrale) Invisibile sui recenti fatti inCile è ancora in fase di preparazione. Ancora non è pronta l’abituale traduzione simultanea. Perciò ci toccherà aspettare… anche se non si richiede troppa ingegnosità per intravedere il totale sostegno alle “assemblee territoriali” da parte dei campioni invisibili nella loro avidità “comunizzante”. Sicuramente ricorreranno alla giocoleria semantica e, ancora una volta, inventeranno un falso dilemma come quello che hanno tracciato dividendo tra “assemblee” e “campi”, stabilendo differenze inesistenti e cambiando un termine per un altro. Forse a questo punto si rivolgeranno alla loro vecchia circoscrizione preferita, facendo appello al loro adorabile “comune” e insistendo sul fatto che l'”auto-organizzazione” della vita quotidiana (cibo, assistenza diurna, infrastrutture, cure infermieristiche, etc.) è il “paradigma del vivere” e che non si manifesta nelle assemblee generali, pero curiosamente, in pratica, in tutti i campi allestiti nelle piazze, è stata l’assemblea – in nome della democrazia diretta – a governare e a determinare il corso degli eventi.

L’abbiamo visto in tutte le ribellioni e le proteste degli ultimi anni (il “movimento piquetero” in Argentina, la “comuna” di Oaxaca, le “Primavera arabe”, il 15M spagnolo, Syntagma, “Occupy Wall St.”, Gezi…) e, allo stesso modo, abbiamo visto la loro precoce ripresa sistemica. Ma i neo-blanchisti non solo saranno d’accordo con i “marxisti sinceri” (come chiamano affettuosamente i militanti del GIC e i sopravvissuti all’autonomia marxista) e anche con i leninisti extraparlamentari, sulla “necessità” di estendere le assemblee territoriali in Cile, in nome dell’armonia ideologica coincideranno anche con quella (parte di movimento ML. Ndt.) che si esprime nel desiderio di rivoluzione (“le insurrezioni sono arrivate, non la rivoluzione”(16)) considerando l’insurrezione una sorta di tentativo “minore”, qualcosa che non si è ancora realizzato: “una breccia nel regno organizzato della follia, della menzogna e della confusione”(17); il sintomo furtivo che può rendere praticabile la possibilità rivoluzionaria nelle società centrali e, con maggiori opportunità, nelle società periferiche(18).

LE ISOLE FELICI.

Se è vero che non mi ha sorpreso la comoda confluenza dei partiti neo-piattaformati (anarco-comunisti) cileni nel discorso politico a favore delle assemblee territoriali – non mi ha sorpreso neppure il fatto che abbiano promosso la proposta di un’Assemblea costituente(19) fin dall’inizio, mano nella mano con i leninisti e gli allendisti, però ci si sarebbe aspettato che dalle posizioni informali della prassi anarchica contemporanea ci sarebbe stata più insistenza su una rinnovata riflessione teorico-pratica che avrebbe confutato con forza le inerzie e i riti democratici, assumendo che la pratica non ammette capricci ideologici o miopi, consapevole che l’anarchismo non può essere concepito come una cerimonia liturgica o un assioma immutabile o una realizzazione incrollabile, ma come una tensione incrollabile, incarnata in una nuova forma di insurrezione, diversa e addirittura opposta all’insurrezione meccanica (tradizionale) e organica (strumentale e programmatica), che potremmo forse chiamare insurrezione permanente. Tuttavia, alcuni raggruppamenti della galassia informale in Cile, hanno scommesso sulle pratiche democratiche e hanno scelto di animare le assemblee territoriali; dimenticando che la democrazia sotto qualsiasi sua forma (rappresentativa, assembleare, diretta, popolare, ecc.) è nemica dell’Anarchia.

La potenza anarchica non risiede nelle assemblee, ma nel proprio respiro distruttivo che si manifesta in migliaia di pratiche diverse. Nelle assemblee la responsabilità individuale, la libera iniziativa e il dissenso sono asfissiati; ricercando il consenso si disgiunge il verbo dall’azione, ci si induce all’immobilità, si neutralizza l’insurrezione. Di fronte a questi scivoloni, aspirerei ad intavolare un dialogo aperto e fraterno con compagni affini alla tendenza anarchica informale, con una comprovata traiettoria insurrezionale, con l’intento di evitare un esito controproducente nel tempo (recupero politico dall’insurrezione) e/o, peggio, una profonda delusione che immobilizzerebbe per decenni il significativo avanzamento dell’azione insurrezionale dell’anarchismo informale nella regione cilena.

Sfortunatamente molte/i compagne/i vedono con grande simpatia la funzione delle “assemblee territoriali” e le interpretano come uno strumento indipendente che da – o può dare – risposte in maniera “autogestita” alle necessità di ordine pratico (alimentazione, comunicazione, pronto soccorso, autodifesa, etc.)a livello comunitario. Naturalmente capisco che nella vita quotidiana dell’insurrezione questo tipo di preoccupazione si manifesta di fronte ai bisogni e alle urgenze della comunità e che, come persone sensibili e solidali, vogliamo (o cerchiamo) di fornire soluzioni, ignorando però tutto ciò che abbiamo imparato dalle esperienze passate e ripetendo gli stessi errori di sempre.

In tutto questo, dobbiamo riconoscere che c’è molta adulterazione, deformazione, assimilazione, omissione e riadattamento nella storiografia anarchica – in particolare anarco-sindacalista – che ha dato un’aura mitologica ad alcuni episodi del nostro viaggio sedizioso, e questa visione distorta è continuata fino ai giorni nostri con lo sfondo e il riferimento insostituibile alla Rivoluzione spagnola del 1936. Proprio a questo punto, vorrei richiamare l’attenzione su una riflessione puntuale delle compagne e dei compagni che curano la rivista Kalinov Most, che sottolineano una lacuna che condivido pienamente: “Impariamo dalle esperienze passate, ma dobbiamo aggiornarle”(20). Questa necessità di “aggiornare” la teoria ma, soprattutto, la pratica anarchica, è evidente non solo nell’insurrezione cilena ma in tutte le rivolte del mondo dove in un modo o nell’altro le nostre compagne e i nostri compagni partecipano e/o influenzano. Evidentemente, questo aggiornamento continua ad essere una questione in sospeso. In questo stesso contributo del collettivo editoriale di Kalinov Most – scritto di pancia – come “bilancio provvisorio” dell’insurrezione generalizzata contro lo Stato cileno, dove prevale il cuore e la volontà di essere coerenti con i principi anarchici (gli stessi che essi sottolineano più volte in ogni tentativo di rispondere alle domande che sorgono sulla lotta stessa), seguiti dalla riaffermazione del necessario aggiornamento teorico-pratico, essi espongono: “Abbiamo sempre sostenuto che i nostri mezzi sono direttamente concordi con i nostri fini, perché allora, dalle posizioni anarchiche informali e negatrici, ci permettiamo di sognare ad occhi aperti guardando il presente. Quali sono i nostri fini?”(21).

E benchè non diano risposta diretta alla domanda, affermano subito dopo che “Scommettiamo sull’associazione tra piccole comunità, che si sostengono e contribuiscono l’una all’altra, senza strutture stabili al di sopra dei singoli, mantenendo la tensione permanente e la critica permanente senza mai credere in una realizzazione finale o definitiva. Le nostre pratiche nel presente devono saper andare in quella direzione”(22). Tuttavia, nonostante il consapevole riconoscimento che l’Anarchia non è una realizzazione ma una tensione permanente, questa affermazione non risponde al necessario “aggiornamento” teorico-pratico di cui sopra. Scommettendo “sull’associazione tra piccole comunità, sul fatto che esse (si) sostengono e contribuiscono l’una all’altra” – il che di fatto, si, implica una realizzazione – non facciamo altro che ricalcare alla lettera il “manuale rivoluzionario” del 1936. Evidentemente abbastanza sorpassato.

Vista dalla prospettiva offerta dall’enorme distanza che ci separa da quegli eventi, la Rivoluzione spagnola sembra essere stata il canto del cigno dell’anarchismo classico, eppure, nonostante l’impatto sull’inconscio collettivo di quegli anarchici della frase iconica di Durruti(23), non si demolì affatto – lasciando in piedi troppi templi, ponti, magazzini, manicomi, fabbriche, prigioni e caserme – nessuna banca è stata espropriata, ne venne smantellata la produzione ne tantomeno è stato distrutto il lavoro (sostenendo che quest’ultimo sarebbe potuto essere stato liberato attraverso le stesse catene di montaggio capitalista col solo impossessarsi dei mezzi di produzione). Oggi è noto l’esito della Rivoluzione spagnola: l’immediato recupero sistemico per mano del fascismo.

Con l’associazione di piccole comunità “che si sostengono e contribuiscono l’una all’altra”, come dice con grande entusiasmo Kalinov Most, si formerebbe al massimo una confederazione di isole felici che potrebbe indubbiamente risolvere i bisogni immediati della comunità – pur mostrando al sistema di dominio i difetti da correggere – ma, questi non sono e non possono essere i fini dell’anarchismo nel XXI secolo.  Come giustamente ben esposto dal nostro compagno Costantino Cavalleri nel suo ultimo contributo riguardo “alle nostre possibili carenze nel non coltivare oggi (o nel trascurare) quei momenti-elementi che si suppone siano autogestiti(24)” o “ciò che si potrebbe riassumere come la possibilità di costruire d’ora in poi momenti del futuro, che servano come “ispirazione”, in modo “educativo”, per il post-rivoluzione o come “basi” per il futuro(25)” definitivamente (vale affermare che. Ndt.) “NON ESISTONO ISOLE FELICI all’interno di questo sistema(26)” (lettere maiuscole nell’originale).

“Le radiazioni atomiche di Chernobyl, i vapori cancerogeni di Rumianca, le piaghe della Piana di Ottana, la nube inquinante di fabbriche e motori, le microparticelle tossiche delle basi militari, invadono i nostri orti di patate, penetrano nei nostri polmoni anche in ogni presunta isola in cui fuggiamo e, le demenziali relazioni di dominazione-soggezione, di comando-obbedienza, le frustrazioni e le oppressioni, le limitazioni e le imposizioni di ogni tipo, tipiche della società dello stato-capitale, ci circondano e impediscono la nostra esistenza”(27). Dobbiamo essere consapevoli dell’impossibilità delle isole. Oggi non c’è un “fuori”. Oggi tutto è dentro (cioè all’interno della Capitale). Semplicemente vivendo riproduciamo il sistema, per quanto ci sforziamo di evitarlo. L’unica cosa che possiamo autogestire sono le nostre miserie. Il capitalismo globale ci ha imposto la notte perpetua. Però, paradossalmente, la notte è la nostra migliore arma. Dobbiamo dunque tornare ad agire con l’oscurità come compagna, illuminando le notti col fuoco refrattario dell’anarchismo insurrezionale.

PERICOLOSE CONGIUNTURE POLITICO-IDEOLOGICHE.

Basta leggere tra le righe alcuni testi di recente elaborazione nell’ambiente delle lotte globali contemporanee per ratificare che stiamo assistendo a una convergenza politico-ideologica che evoca – melanconica – un utero condiviso; una sorta di “matrice rivoluzionaria”, una sorta di albero comune da cui si presume che diversi “rami” teorico-pratici abbiano assorbito nutrienti che oggi (prima delle condizioni “oggettive e soggettive”) rintracciano i loro geni con l’intento di validare il proprio lignaggio.

In questo modo il neo-blanquismo, i marxisti postmoderni di ogni tipo (comprese le varietà più disparate) e, uno di queste ultime, concepita in vitro e allevata in incubatrice (leggasi anarco-populismo) oggi rivendicano una lontana parentela con la grande e diversificata famiglia anarchica – tenendo presente le origini contraddittorie attribuite all’anarchismo – per il bene della consanguineità rivoluzionaria. Fingendo un’amnesia totale, pretendono di farci credere che non siamo più il “parente scomodo” che non invitano mai alle feste, che non includono mai nella foto di famiglia e che hanno sempre ripudiato con disprezzo. Il tutto alla ricerca di una “alleanza” che permetta il vigoroso sviluppo de “la lotta finale”.

Naturalmente il solo udire questa strofa così emozionante – creazione dell’eterno ospite del Père Lachaisse (cimitero di Parigi dove sono sepoltx, tra x altrx, gli/le ultimix comunardx del 1871. Ndt.) – ancora oggi provoca un sentimentalismo che fa fibrillare più di un Don Chisciotte, il che induce le diverse cappelle dell’anarco-sinistrismo a prestar orecchio a queste eco e ad agire come di riflesso, sbattendo la porta a qualsiasi riflessione minimamente coerente. L’assenza di riflessione (la maggior parte delle volte) e/o la visione distorta dell’ideologia, impedisce la chiarificazione dell’obiettivo. Il nostro obiettivo non è altro che la Liberazione Totale. La Guerra Anarchica – la nostra guerra – è per la Libertà, e l’unica strada per raggiungerla è la libertà stessa. Consapevoli che l’Anarchia non è una realizzazione, ma una tensione permanente, non riponiamo nessuna speranza nella “lotta finale”.

Quando incitiamo all’insurrezione generalizzata, lo facciamo promuovendo l’insurrezione permanente: senza traguardi trionfali da raggiungere ne palazzi del potere da conquistare. Per questo, di fronte alla profusione di appelli “all’unità”, i ripetuti inviti a “unire tutte le forze”(28) e alle iniezioni di ansie “creativiste” ci tapperemo semplicemente le orecchie. Penosamente questi appelli di cui sopra affliggono molte/i compagne e compagni, inducendole/i a integrarsi nei progetti più inopportuni e lontani dalla prospettiva anarchica (il neozapatismo in Chiapas, la APPO di Oaxaca [assemblea sorta dopo la rivolta della città messicana di Oaxaca del 2006. Ndt], la “polizia comunitaria” a Cheran e Ostula [comunità messicane autonome. Ndt.], il confederalismo democratico del PKK, l’instaurazione dello stato Wallmapu [nazione Mapuche. Ndt.] la difesa della Wiphala [la bandiera indigena. Ndt.], le aspirazioni indipendentiste a Hong Kong o Catalogna…) stimolando la creazione di progetti improbabili, confondendo i nostri passi, nell’omaggio alla tradizioni altrui, condannata alla ripetizione eterna.

LA NECESSITA’ DI RIAPRIRE LA QUESTIONE INSURREZIONALE DA UNA PROSPETTIVA ANARCHICA.

Oggi, che assistiamo alla recrudescenza delle insurrezioni in tutto il mondo e avvertiamo l’innegabile interconnessione tra le differenti proteste, ci si dovrebbe chiedere se questo “malessere” – questa sorte di rabbia da disperazione che provoca rivolte popolari entro tutti i confini del mondo dando sfogo all’ira accumulata contro chi governa, e contro a tutti i partiti politici, di qualunque colore ideologico essi siano – risponda ad un impulso travolgente di una potenza anticapitalista e antiautoritaria, pronta a non lasciar traccia della dominazione, oppure, condividiamo lo spirito di nostalgia generalizzata che anela a un ritorno a ciò che non c’è più, cioè a uno stato sociale e benefattore, al capitalismo industriale e alla società del lavoro.

Senza dubbio, nella più intrinseca di queste manifestazioni di nichilismo (all’interno della quali si liberano e si reinventano le passioni sediziose), sorgono indizi di una nuova crisi di civiltà che travalicano le coordinate politiche ed economiche attuali. Tra le trame di questo ordito, il germe del caos è incubato in questi effimeri tentativi di anarchia che si intrecciano. Tuttavia, non tutte le manifestazioni nichilistiche convergono sempre in un’azione anarchica(29). Se la folla protagonista di queste attuali manifestazioni di nichilismo agogna il ritorno alla “normalità”, al “male conosciuto” e che le riconsegnino il loro vecchio ruolo di schiavi salariati, ci troviamo di fronte al pericolo dell’imminente dischiusione dell’uovo di serpente: la propagazione del populismo (a prescindere di quale che sia la sua tendenza) e la sua consolidazione su scala globale. Perciò di fronte a questa perentoria minaccia dobbiamo mantenerci in stato di allerta, sul piede di guerra permanente.

Come possiamo affrontare questa contingenza dell’anarchismo? Modestamente, lo direi con più anarchismo, cioè dall’insurrezione permanente, con più approfondimento teorico e con più prassi; con una pratica coerente che travalichi noi stesse/i e ci permette di riflettere ad ogni passo e di elaborare più teoria al passo coi tempi. L’unica risposta a questa e a tutte le avversità è, e sarà sempre’, più e più anarchismo. Praticare un anarchismo quotidiano, ossia, continuare ad assaltare l’esistente con tutti i mezzi – come ci ricorda Jean – “senza farci turbare da chi vuole metterci a tacere” e offrire la cosa più sublime che possiamo offrire: la gioia dell’insurrezione, mettendo in pratica la nostra volontà distruttiva, incrementando la potenza anarchica oltre le “isole felici” e oltre gli spazi di sopravvivenza (sempre ed invariabilmente in via di recupero da parte del sistema dominante), radicalizzando le manifestazioni di nichilismo, cioè, superando la loro purezza impotente e contagiandole col desiderio della libertà però senza restare intrappolate/i nell’usura dell’offensiva innocua, riducendo la nostra guerra ad una sottomissione agli ordini degli specialisti autoritari della lotta armata. Dovremmo essere capaci di distruggere il lavoro partendo da una coerente illegalità: “con la parola, con la carta stampata, con il pugnale, col fucile, con la dinamite…”(30). Se riusciremo a concretizzare la nostra guerra non sarà per la banale trasformazione della realtà, ma per la sua totale demolizione. Da qui nasce l’urgenza di riproporre la questione insurrezionale, di rimodellarla, considerando l’insurrezione non tanto come un obiettivo – e tantomeno come temporale stagionale – ma come causa, cioè fondamento stesso della tensione anarchica. Se di fronte a questa risolutezza riceveremo insulti, disprezzo e derisioni, sapremo di aver scelto una buona strada, concorde ai nostri principi; la strada che ci condurrà a riappropiarci della nostra vita e al viverla pienamente, in assoluta e illimitata libertà.

Gustavo Rodriguez.

Pianeta Terra, 18 febbraio 2020

(a tre mesi dall’inizio dell’insurrezione nel territorio cileno)

(1) Dorfman, Ariel, Adiós al oasis chileno. Disponibile in: Proceso.com (Consultato il 6 gennaio del 2020).

(2) Dorfman, Ariel, Chile: juventud rebelde, FCE, Colec. Vientos del Pueblo, México, 2019.

(3) Lenin; capitolo 2 de “la spontaneita’ delle masse e la coscienza della socialdemocrazia” in “Che fare?”

(4) Frente Patriótico Manuel Rodríguez-Autónomo/Movimiento de Izquierda Revolucionario-Ejército Guerrillero de los Pobres, 11º Comunicato congiunto: la rebelión de los colgados, volantino, Cile, 1 di Gennaio 2020.

(5) Ibidem.

(6) Ibidem

(7) Ibidem.

(8) Grupo Comunista Internacionalista (GCI), Ya no hay vuelta atrás (non c’e’ ritorno), Bolettino di riflessione riguardo alla rivolta, Numero 1, dicembre 2019.

(9) Ibidem.

(10) Proletari Internazionalisti, “Critica dell’ideologia insurrezionalista”, Ed. Comunidad de Lucha, 2012.

(11) Gia’ citato bollettino “non c’e’e ritorno” del GCI

(12) L’incorporazione e il supporto teorico di categorie inclusive che risolvono i limiti e le ristrettezze della visione marxista sono insufficienti. Ci è chiaro che il potere e il dominio politico sono precedenti allo sfruttamento economico in qualsiasi sua definizione. Proprio per questo la guerra antiautoritaria, e non la guerra di classe (cioè la lotta permanente contro potere e dominio), è stata il motore della storia. Questa è la tesi fondante dell’anarchismo e il nucleo del suo corpo teorico-pratico, assumendo l’anarchia come pratica di confronto permanente contro il potere e non come espressione radicale della lotta di classe.

(13) Già citato opuscolo “non c’è ritorno”, dei GCI

(14) Ibidem.

(15) Per quanto riguarda la produzione di scritti/opuscoli nella regione cilena intorno all’insurrezione generalizzata, non posso trascurare un altro esempio, di presunta matrice “acrata” che ha causato (fin dalla prima pagina) tutto il mio stupore. Si tratta di un polpettone a metà strada tra la letteratura di fantascienza (i fumetti di zombie) e l’accozzaglia ideologica della nomenclatura “anarco-leninista” contemporanea. Questa mostruosità, infarcita di cospirazioni paranoiche dello stesso calibro del Nostradamus bolivariano (Senatore Navarro), è firmato dai Nuclei Antagonisti della Nuova Guerriglia Urbana e richiede sicuramente il contributo delle nostre modeste riflessioni ma, per il momento, procediamo a credito di un altro testo, molto ben concepito e molto più ampio con queste stesse intenzioni sul tema. Rimandiamo perciò a: “Sobre fantasmas insurreccionales y banderas falsas”, disponibile in: Voz como arma (Consultato il 11/02/20).

(16) Comitato Invisibile, “Ai nostri amici”, maggio 2015

(17) Ibidem

(18) La Rivoluzione Francese e la Comune di Parigi del 1871 rimangono il canto del cigno del neoblaquismo contemporanea – leggi il Comitato (Centrale) Invisibile. Ecco perché i suoi approcci “nuovi” hanno puzzano sempre di vecchio.

(19) “[…] Venerdì 25 ottobre, più di 2 milioni di persone hanno marciato in tutto il Cile e a Wallmapu per chiedere le dimissioni del presidente Piñera e per un’assemblea popolare costituente.[…] In tutto il Cile, lentamente ma inesorabilmente, si stanno consolidando decine di Assemblee Territoriali, mense comunitarie, spazi di aggregazione. Si stanno recuperando forme storiche di organizzazione della nostra classe, si sta scavando nella memoria per gettare le basi di una nuova istituzionalità che nasce dalla rabbia e dalla protesta ma che allo stesso tempo sia anche profondamente costruttiva e di larghe vedute. Raggiungere l’adeguato respiro e competenza, il coordinamento e la pianificazione e la necessità di un’ampia unità popolare dal basso saranno i compiti del momento[…]. L’ordine del giorno, i compiti del momento e le prospettive devono essere portati in strada dal popolo lavoratore. Ma anche in ogni logo di lavoro e di studio. Generare e promuovere assemblee democratiche in ogni territorio che discutano le iniziative e costruiscano un programma di richieste a breve, medio e lungo termine […]. SOLIDARIETÀ CON IL POPOLO CILENO CHE SI SOLLEVA E lotta! PER LA COSTRUZIONE, LA GENERALIZZAZIONE E IL COORDINAMENTO DI ASSEMBLEE TERRITORIALI CHE DISCUTONO DI UNA VERA ASSEMBLEA COSTITUENTE POPOLARE PLURINAZIONALE E FEMMINISTA PER IL SOCIALISMO E LA LIBERTÀ!

Prime firme: Solidaridad (Cile), Acción Socialista Libertaria (Argentina), Federación Anarquista Rosa Negra (Stati Uniti)” . Maiuscole nel testo originale. Disponibile in: anarkismo.net (Consultato  il 14/02/2020).

(20) Kalinov Most. Consultabile in: ContraInfo (Consultato il 14/02/2020).

(21) Ibidem. Pg.13

(22) Ibidem

(23) “le rovine non ci spaventano […[ non ci spaventano le macerie perchè abbiamo un mondo nuovo dentro i nostri cuori. Questo mondo sta crescendo in questo stesso istante.”

(24) Costantino Cavalleri, Approfondimenti di un discorso isolato?, articolo (al tempo della scritto di Gustavo inedito. Ndt.) apparso sul numero 6 di NurKuntra, Sardegna.

(25) Ibidem.

(26) Ibidem

(27) Ibidem.

(28) E’ curioso notare che per il ramo della fisica statistica la somma di tutte le forze è uguale a zero, perciò un sistema è in equilibrio quando non presenta alcuna perturbazione o modificazione [∑ F=0, prima legge di Newton.

(29) Per il sistema di dominazione ogni azione anarchica è una manifestazione nichilista; tuttavia le manifestazioni nichiliste non sono altro che l’esplosione della rabbia della disperazione che deposita tutte le proprie speranze nella distruzione purificatrice, scommettendo sul nulla, da ciò ne deriva l’intrinseca impotenza.

(30) Kropotkin dixit

TRADUZIONE A CURA DI GATTA/GTA