La Retta Via

Per non continuare a bollare l’ attuale situazione repressiva come la solita caccia all’anarchico, che mette i bastoni tra le ruote al movimento, bloccando fisicamente le energie e i contatti che i compagni perseguiti hanno come bagaglio; bisogna evidenziare alcuni collegamenti ben visibili a tutti, ma che conviene riassumere per inserirli in un quadro d’insieme, che ci sollevi dal torpore dei riflessi condizionati in cui cadiamo rispondendo con la (giusta) solidarietà incondizionata.

Nel giro di un anno, ancora ben lungi dall’essere concluso, abbiamo visto: un operazione contro il movimento NoTav, le pesanti condanne definitive per il G8 del 2001, 4 operazioni per 4 associazioni sovversive e un continuo stillicidio di misure di prevenzione, possiamo pensare che non ci sia un disegno ben tratteggiato di una precisa manovra repressiva?

Contributo illuminante ci è fornito da Luciano Pitronello nel comunicato, sul suo recente sciopero della fame di protesta, dal titolo “Quando il fuoco dell’anarchia alimenta i nostri cuori”. Parlando dai suoi arresti domiciliari, il compagno Tortuga, ci invita al dibattito comparando diverse operazioni che hanno colpito gli/le anarchici/che in diverse parti del mondo.

“[..]se la “Operazione Ardire” è stato un attacco da folli, non lo è stato in nessun caso alla cieca, non hanno preso i/le responsabilx degli attentati rivendicati dalla Federazione Anarchica Informale (FAI), hanno preso persone che coincidevano con il profilo ideologico (agli occhi dell’autorità)[..]” Niente si puo dire di più appropriato anche avendo letto l’ordinanza sui termini di applicazione delle misure cautelari. Le linee di procedura delle indagini partono dai concetti base espressi nelle rivendicazioni di diversi documenti della Fai (informale) e dalle fonti che in modo più o meno presunto avrebbero originato quelle idee, per arrivare ad individuare e maldestramente appiccicare gli stessi concetti agli indagati attraverso un uso massiccio e sistematico di intercettazioni telefoniche, ambientali e corrispondenze epistolari e via web.

“[..]Non si cerca di incarcerare gli/le autori delle bombe, degli assalti alle banche o i/le compagnx che hanno realizzato gli attentati della F.A.I., in questo questa pratica è solo il riflesso propagandista e violento di una vita ribelle all’autorità, si cerca di punire e mostrare che assumendo un determinato modo di vivere finirai nella mira della polizia, della stampa, dei cittadini al servizio del potere, ma se scegli una vita normale, allora puoi andare tranquillx.[..]”

Leggendo tutto il documento (di ben 228 pagine) sull’ applicazioni delle misure cautelari è oltremodo evidente che non c’è nessun serio interesse di collegare le/i compagne/i ad alcuna specifica azione in particolare, tanto quanto invece sono pateticamente immani gli sforzi per renderli partecipi di un contesto, quello anarchico, in cui si potrebbero sviluppare condotte delittuose. Non a caso alla fine dell’ordinanza, per metter a tacere ogni dubbio, non possono fare ameno di ammettere che la suprema corte ha stabilito che non è necessaria la realizzazione dei reati oggetto ma basta l’esistenza di un programma(?) e di una struttura organizzativa(??) per poter essere processati e condannati per l’articolo 270bis c.p.. Ora inciso che non m’importa in quanto anarchico delle supposizioni forcaiole con cui i sacri inquisitori giudicano gli oppositori e che non spetta a me confutare le sciocchezze scritte in questa ordinanza, trovo comunque interessante capire le dinamiche poliziali con cui si fabbrica una montatura giudiziaria, sopratutto una che porta in carcere degli individui solo ed esclusivamente in base alla condivisione di opinioni.

Adesso è tempo di lasciare il sentiero delle certezze per addentrarsi nella selva dell’ignoto chiedendosi:

“[..]a cosa punta veramente il nemico?

Personalmente credo che punti al terrore, a farci credere che perchè diamo vita a uno spazio occupato ti cadrà addosso la repressione, che se rispondi a lettere da dentro un carcere ti indicheranno come leader di un gruppo terrorista, che se mantieni attiva una pagina di controinformazione sarai l’ideologo di un gruppo armato, che se parlerai dei mali di questo mondo di merda i collaboratori della polizia ti consegneranno su un piatto d’argento alle autorità, che se solidarizza con questa o quest’altra persona parleranno di reti per la cospirazione, quindi attraverso la paura pensano di paralizzarci.[..]”

Segui la retta via indicata dal potere e resterai indenne, tale da poter continuare a trascinarti nella miseria di questa vita, oltrepassa i binari del consentito e verrai perseguitato e cacciato negli inferi da cui non risalirai mai più. Questa ipotesi ha una sua logica conosciuta e un utilizzo ben sperimentato, i suoi effetti devastanti hanno fatto nascondere la testa sotto il cuscino a ben più di una generazione in questo paese, ma la natura incisiva, persistente e preventiva ma anche la quantità delle azioni repressive da una consistenza diversa al fenomeno. Quando è che la paura smette di essere la percezione di un pericolo supposto per diventare la conseguenza di un pericolo reale?

Che l’eterno nemico abbia alzato il tiro? Forse è preoccupato che la lotta dei No Tav in Val Susa possa estendersi per diventare un modello e provocare un innalzamento diffuso del conflitto? Oppure teme il potenziale dei metodi d’azione anarchici e dei pensieri libertari, in un contesto che potrebbe diventare più recettivo e potenzialmente esplosivo a causa dell’onda lunga del crescente malcontento causato dalle scelte politico-economiche intraprese? Lo Stato ci fa sentire la pressione del morso quanto più ci ribelliamo al suo giogo?

Fatto sta che non sembra più un eresia pensare che le strategie militari e quindi le operazioni di controguerriglia, non possano pian piano sostituire classiche manovre repressive poliziesche. La flessibilità dei rapporti sociali e umani e l’irregolarità del conflitto e dei suoi partecipanti tende sempre di più a rendere nebuloso il confine tra prevenzione e punizione, tra guerra e guerriglia, ribelle e terrorista. I militari intervengono già contro la propria popolazione, adesso droni sorvegliano le manifestazioni laddove la stessa libertà di manifestare la propria opposizione al sistema non è stata ancora annullata. Non è nemmeno una novità dire che il dominio regna incontrastato su un arido deserto, che si estende ogni giorno di più, ma non è sbagliato dire che le lacune del sistema diventano sempre più visibili ad occhio nudo, anche se sorgono difficoltà ad avere una visione d’insieme necessaria a spazzarlo via.

Ogni cosa vecchia e obsoleta, ogni crisi e difficoltà impone una mutazione necessaria alla sopravvivenza, il sistema di privilegio e sfruttamento è infatti sopravvissuto ad ogni turbamento nel corso della storia cambiando e adattandosi alle condizioni sociali, le sue antiche dinamiche atte a rimanere avvinghiati al potere costituito hanno subito solo lievi modifiche nella forma in cui vengono espresse ma continuano ad essere riproposte in diverse salse e ad essere trangugiate dalle genti del pianeta.

In questa fase di gestazione il dominio ha bisogno di solide basi necessarie alla sua alimentazione, che sono di fondamentale importanza per affrontare la muta a cui è sottoposto.

Il sistema si nutre di consenso, usa la paura dell’ignoto per evitare che si esca dai suoi angusti ambiti e colpisce duramente chi ignora i suoi ordini, opportunamente mascherati da consigli. Non a caso i media, principale fabbrica di consenso, sono divenuti fondamentali nelle operazioni di controinsurgenza, grazie ad essi si può rimodellare il terreno di conflitto e neutralizzare gli ostili.

I media sono la bocca del dominio, seguono codici comportamentali non scritti, ne dichiarati ma per loro costituzione non oltrepassano mai i confini delineati dal sistema al cui interno si muovono, come ingranaggi ben oleati non attentano al meccanismo del potere ma lo rendono stabile ed efficiente, riducendo ogni attività all’innocuo svolgersi di un intrattenimento pronto per essere venduto. Tipizzazioni e stereotipi diventano le perfette rappresentazioni del reale utili a semplificare e rendere sterili, veri e propri steccati che atrofizzano i pensieri lasciando impronte indelebili nel background culturale del pubblico.

Un mondo fittizio dove la democrazia è un valore, dove ci si indigna per corruzione e malaffare contraltari quindi di rettitudine e virtù che dovrebbero essere la norma, si predica tolleranza in un mondo che non prevede voci fuori dal coro, si magnificano le differenze mentre si educa all’uniformità. Giulia Marziale prigioniera dell’operazione Ardire descrive perfettamente lo schizofrenico agire dei mass-media nel comunicato “Is There Anybody Out There?”

“[..]Mi chiedo se i difensori della libertà di questi giorni scrivano i loro articoli con ingenua consapevolezza o con il classico sporco servilismo ipocrita che li contraddistingue.[..]Un servilismo che garantisce la loro integrità morale agli occhi dell’opinione pubblica, che li vede battersi contro le ingiustizie assassine di Assad, contro l’arresto delle Pussy Riot, per Assange, così da non dover rendere conto del loro sporco e reale lavoro condotto in Patria, l’unico per cui la stampa ha il permesso di esistere, ossia giustificare, servire il Potere, lo Stato e i suoi scagnozzi.[..]”

E’ nell’immaginario proposto dai media che ogni opposizione a questa società naufraga, vedendosi classificare, banalizzare, rubare l’anima e ridurre all’ impotenza, sono spesso i fantasmi di questo mondo immaginario che ci ritroviamo ad affrontare senza averne fatto bene i conti, forti delle nostre esperienze sul territorio e dei nostri legami intessuti nelle strade abbiamo ignorato o sottovalutato la delicata questione senza aver mai tentato d’intaccare realmente lo strapotere che risiede in questo strumento che certamente non è destinato a sparire da solo.

Con questo scritto non era mia intenzione fare un esercizio di stile, predicare ai convertiti, trovare geniali soluzioni, ma manifestare una sincera solidarietà agli arrestati e indagati dell’operazione Ardire colpiti a mio parere per aver osato favorire la comunicazione tra gli anarchici/che e aver tentato di far breccia nel monopolio dell’immaginario collettivo. Inoltre era mia intenzione tentare di spezzare l’isolamento in cui sono (e siamo) relegate/i dimostrando che se è il dibattito che le forze poliziesche vogliono contrastare con la repressione, hanno già fallito nel loro intento. Non riusciranno a fermare la contaminazione delle nostre idee, che continueranno ad accrescersi sfondando le mura delle prigioni e attraversando oceani e continenti per raggiungere ogni individuo che lotta contro gli stati e il capitale.

Pubblicato originariamente su Cenere il 29/10/2012