I due dragoni del mio anarchismo – Raccolta di scritti di Juan Sorroche

Pubblichiamo un breve estratto dell’opuscolo scaricabile (lo trovate a fondo pagina) “I due dragoni del mio anarchismo – Raccolta di scritti di Juan Sorroche”

Le stelle che formano una stessa costellazione possono

essere separate anche da distanze enormi, così come

diverse possono essere le dimensioni e la luminosità

Proverò a fare una critica, seppur parziale, del progetto insurrezionalista e dell’ipotesi armata oggi, con un intento costruttivo, spiegando la mia visione diprogettualità anarchica e le modalità con le quali vorrei organizzarmi. Mi concentrerò sul problema della crescita individuale e collettiva, (“collettiva” per capircinon è un tutt’uno astratto e ambiguo, ma è un gruppo che scegli di compagni) chenon può prescindere dal porsi la questione di come coordinarsi e all’interno di ungruppo anarchico e con altri gruppi, nella cosiddetta organizzazione anarchica diaffinità.

In primis è necessario contestualizzare il periodo in cui fu elaborata la tesi delprogetto insurrezionalista degli anni 70 ,80 ,90: vi erano altre tensioni sociali, ilmovimento reale era consistente e il movimento specifico anarchico era già abbastanza polarizzato. Oggi la situazione è radicalmente diversa, sotto tutti i punti divista. Perciò ritengo che estrapolare queste teorie dal contesto storico, applicandolesenza modificarle o contaminarle, rischi di portarci ad una sterile idealizzazione.Inoltre, il divenire mutevole della realtà, delle lotte e del “movimento” anarchico,ci pone di fronte a nuovi metodi (e mezzi di coordinazione) emersi ultimamentenell’ambito delle lotte in Grecia, Italia e Sud America… nei confronti dei quali èimportante non porsi con un approccio dogmatico.

Credo sia necessario fare lo sforzo di vagliare le esperienze vissute, da noi come daaltri compagni nel passato, traendo spunto da ciò che ha funzionato e individuando ciò che non si è dimostrato utile alla prova dei fatti. Personalmente ritengo che,nonostante la realtà ci offra molteplici possibilità, a forza di rincorrere le scadenzedelle lotte intermedie spesso si perda in qualità. La radicalità che credo debbacontraddistinguere gli anarchici si è andata annacquando, poiché la progettualitàè spuntata, limitata alle lotte specifiche. L’organizzazione del progetto anarchico,ipotesi armata compresa, sembra essere stata accantonata, per quando avverrà l’insurrezione, adeguando il livello dello scontro alla portata delle lotte intermedie odi un fiacco movimento reale.

Ma l’insurrezione non si costruisce secondo regole conosciute e attendibili. Nella realtà non vi sono regole né ordine, poiché è impossibile ridurre a regole la mutevolezza e l’imprevedibilità del mondo che ci circonda, possibilità insurrezionale compresa. Il movimento reale non è progressivo, fa salti in avanti e poi ristagna, è caotico e spesso illeggibile. L’azione che oggi è nelle corde domani potrebbe essere“troppo in avanti”. Alcuni tentativi potrebbero essere controproducenti e altri no,ma difficilmente si potrà prevederlo in anticipo.

Proprio per questo tante pratiche adottate nelle lotte specifiche e dal movimento reale sono state delle forzature, e non a causa delle analisi elaborate sul cosiddetto “ponte” tra gruppo specifico anarchico e movimento reale, bensì per gli slanci nati dal sentimento spontaneo e viscerale dell’istante. Altre forzature, invece, sono sta- te fortemente influenzate dall’analisi delle lotte intermedie. È l’alchimia di tutte le forme e di altre circostanze inattese che fa sì che la lotta si generalizzi.

Adeguarsi ed aspettare il movimento reale, senza una contemporanea crescita individuale e collettiva, è secondo me altamente controproducente e ci priva della possibilità di elaborare una progettualità anarchica.

L’attacco costante e permanente nel qui ed ora richiede in primis una preparazione che è crescita in senso qualitativo, sperimentazione pratica di metodi, tecniche e mezzi, riflessione teorica approfondita, costante allenamento della tensione essenziale alla lotta di ribelli e rivoluzionari anarchici. Non è una formula aritmetica, non può prescindere dal percorso precedente e quindi cambia, dipende dall’individuo, dai compagni che si sceglie, dalla situazione che lo circonda, da come ha scelto di porsi e di agire. Non nasciamo imparati e l’auto-apprendimento è difficile e faticoso, a volte scoraggiante, ma può anche regalare soddisfazioni inaspettate e, soprattutto, non è al di là della nostra portata. Le piccole azioni riproducibili non vanno abbandonate, ma dobbiamo superarci, sperimentare con i mille mezzi che abbiamo a disposizione per saper poi scegliere il più adatto ad ogni situazione.

Questo perché non si tratta di un apprendimento fine a sé stesso, ma si inserisce in una progettualità che si nutre di uno sguardo che va al di là. Al di là delle condizioni date, delle strade tracciate, della ritualità delle proteste, alla ricerca dell’efficacia e del perfezionamento continuo fondamentale per i colpi sferrati tanto del presente come del futuro.

Questa è la base che può unire anarchici di diverse tensioni. Una progettualità chiara può scatenare un mosaico di attacchi qualitativamente significativi, rendendo così possibile l’elaborazione di una progettualità anarchica forte anche in presenza di progetti insurrezionali non omogenei. Ciò può accadere quando, pur nella differenza di tensioni metodologiche, vi siano affinità che permettano una coordinazione di anarchici con diversi modi di organizzarsi. La crescita, infatti, non è solo individuale, ma anche collettiva. E questo ci porta alle modalità con le quali ci organizziamo.

Penso che dovremmo riflettere maggiormente sulla questione, poiché spesso ci limitiamo ad una coordinazione spontanea, lasciata al caso o alle evoluzioni insite in una lotta specifica da rincorrere, senza che vi sia stata a monte una scelta ponderata. L’importanza dei gruppi di affinità più ristretti, le diverse graduazioni presenti in essi, la coordinazione tra questi e il gruppo anarchico locale, e la coordinazione fra altri gruppi anarchici sono tutti elementi da costruire, e non sono passaggi semplici né scontati.

Ragionare meglio sulla connessione tra gruppi di affinità e gruppo specifico anarchico locale  permetterebbe di indirizzare al meglio le forze di singoli individui e gruppi di affinità, pur con diverse metodologie e tensioni, verso obiettivi comuni, progetti specifici o generali che siano. A tal fine, una progettualità chiara di singoli, gruppi di affinità e gruppo specifico anarchico locale è un presupposto imprescindibile per cominciare a costruire una buona base progettuale per una organizzazione informale più qualitativamente forte. Questo renderebbe possibile, all’interno del gruppo anarchico locale, un intreccio caotico simile ad una ragnatela di individui affini con diverse gradualità di tensione, che si coordinano scambiandosi esperienze, metodi, mezzi e tecniche in base alle diverse affinità.

Caotico perché va sempre lasciato spazio all’intreccio del libero accordo, alla spontaneità e alla tensione individuale, in un gioco simbiotico e alchimistico fra organizzazione e spontaneismo, complicità e autonomia individuale.

Credo che una descrizione molto azzeccata di questa progettualità anarchica esplicata in un coordinamento caotico di gruppi ed individui eterogenei ed affini sia galassia anarchica d’affini.

Un tale intreccio è possibile dove si scelga espressamente di coordinarsi con compagni che hanno metodi e progetti differenti mediante un confronto sincero, non arrogante né dogmatico. La sincerità è molto importante, poiché è solo giocando a carte scoperte che si può capire se, al di fuori di inutili dogmatismi, le tensioni sono contrapposte o se possono convivere, magari con strade metodologiche diverse ma pur sempre intrecciate tra loro. Ovviamente il confronto non basta, bisogna anche sperimentarsi sul campo, imparando a mettere assieme le diverse forze, senza aver paura di dividersi i compiti che richiedono un importante lavoro organizzativo, poiché questo permette di potenziare l’incisività dell’attacco senza necessariamente diventare uno specialismo, come alcuni compagni temono. Così si potrebbe raggiungere quel sottile equilibrio che permette l’esistenza di un insieme non egemonico che lasci spazio all’intreccio al tempo stesso coordinato e spontaneo del gruppo anarchico.

Per quanto riguarda il coordinamento dei diversi gruppi anarchici, credo che oggi più che mai ci sia bisogno di comunicare nuovamente tra noi, ancora una volta in maniera sincera, umile e non dogmatica, al fine di porsi seriamente la questione della costruzione di un’“area” anarchica forte – in senso qualitativo, non quantitativo – e anche, eventualmente, armata.

Ad esempio, la questione delle sigle e dell’anonimato. Io ritengo che siano mezzi, e che vadano analizzati, discussi e utilizzati come tali. Entrambi portano con sé vantaggi e svantaggi, e ognuno può scegliere quello che più gli è congeniale, in generale o per una singola azione. Negli ultimi anni, la rivendicazione ha assunto nuovi connotati, diventando mezzo di comunicazione e coordinazione tra anarchici. Ciò non significa che debba necessariamente essere l’unico mezzo utilizzato a tal fine, così come, d’altro verso, il suo utilizzo non implica automaticamente la ricerca di notorietà, la costruzione di un partito armato o di un’avanguardia. Peraltro, dinamiche di leaderismo si creano anche nelle assemblee. Non a caso capita spesso che chi sa scrivere, parlare e teorizzare meglio diventi, volente o nolente, una specie di capo. Ma anche le assemblee, così come gli scritti e le discussioni, sono mezzi utili. Si corrono sempre dei rischi di avanguardismi, leaderismi e specialismi, ma è solo una progettualità chiara ed una pratica coerente che possono scongiurarli.

Discorso simile vale per internet, che è stato spesso utilizzato assumendo una valenza a tratti assoluta. Con la consapevolezza della sua natura di strumento del dominio, va riconosciuta la sua utilità e non va valutato in maniera aprioristica, bensì per i risultati che ha permesso di ottenere. C’è chi però lo utilizza come unica modalità di comunicazione, poiché ritiene che il fatto di non conoscersi di persona renda il lavoro più difficile alla repressione. Io credo che sia meglio correre questo rischio piuttosto che, da utile strumento di coordinamento, internet diventi l’unico mezzo di confronto tra compagni, sia perché credo che il conoscersi di persona faccia parte dell’azione diretta, sia perché è uno strumento facilmente controllabile e manipolabile dall’autorità. Insomma, credo che sia possibile individuare degli obiettivi comuni e coordinarsi con altri compagni anarchici, demolendo le varie parrocchie. Facendo un bilancio delle lotte intraprese nel passato, più o meno vicino, riallacciare i contatti tra le diverse costellazioni, far brillare più intensamente la nostra galassia per destabilizzare l’autorità e creare il caos distruttivo tra le loro file.

Io ho una tensione individualista o, come preferisco chiamarla, individuale, che, per me, non è sinonimo di voler lottare da solo. Mi chiedo quindi se e cosa mi possa interessare ed essere utile di un progetto di crescita che tenda verso il metodo insurrezionale o rivoluzionario. Tutte le rivoluzioni sono sfociate in autoritarismi e dittature e mi riconosco nella tesi di E. Armand sulle rivoluzioni1, perciò non mi considero un rivoluzionario, ma questo non significa che io escluda a priori tale progettualità. Questo perché non voglio farmi incasellare in una metodologia a priori, ma voglio utilizzare metodi diversi, se risultano utili, adatti o piacevoli per i miei scopi progettuali, senza rinchiuderli in compartimenti stagni, contaminandoli ed imbastardendoli, pescando qua e là senza appiattirmi sull’utilizzo di uno di questi.

In un’infinita crescita nella vita/lotta, alla continua ricerca della mia essenza auto-liberatrice. Questa è l’essenza dell’anarchia: un progetto illimitato, permanente e in movimento.

«E poi… e poi, si vedrà… so solo che l’anarchico è in lotta permanente. Poi la nuova lotta. Oggi facciamo questo, domani poi vedremo.» – B. F.

* Scritto per la rivista anarchica i giorni e le notti, n.1 – 05/2016 – della quale sono uno dei redattori. Scritto prima della mia latitanza (durata due anni). La mia cattura avvenne nel maggio 2019.

1 «In linea di massima, gli individualisti non sono rivoluzionari nel senso sistematico e dogmatico della parola. Essi non ritengono che una rivoluzione possa apportare, non più che una guerra, un vero miglioramento nella vita dell’individuo. In tempi di rivoluzione, i fanatici dei partiti rivali e delle tendenze in lotta si preoccupano soprattutto di dominarsi a vicenda, per giungere a ciò, si straziano con una violenza e con un odio che talvolta sono ignoti ad eserciti nemici. Come una guerra, una rivoluzione può essere comparata ad un eccesso di febbre durante il quale il malato si comporta ben diversamente che nel suo stato normale. Passato l’accesso di febbre, il paziente ritorna nel suo stato anteriore. Così la storia ci insegna che le rivoluzioni sono sempre state seguite da sbalzi indietro che le han fatte deviare dal loro obiettivo primitivo. È dall’individuo che bisogna incominciare. È da individuo a individuo che deve anzitutto propagarsi questa nozione: che è un crimine il forzare qualcuno ad agire diversamente da come egli crede utile, o vantaggioso, o gradevole per la propria conservazione, per il proprio sviluppo e per la propria felicità – che questo crimine sia compiuto dallo stato, o dalla legge, o dalla maggioranza,o da un isolato qualunque. È da individuo a individuo che deve comunicarsi l’idea dell’“individuale” reagente sul “sociale”. Queste concezioni devono essere il frutto della riflessione a la conseguenza di un temperamento costante e meditativo, e non il frutto, e non il risultato di una sovreccitazione passeggera estranea alla natura normale di colui che le professa.» (E. Armand, Vivere l’anarchia)

Fonte: ilrovescio.info

I due dragoni del mio anarchismo PDF