Germania: Processo Parkbank – Lettera di uno dei tre compagni anarchici dal carcere di Holstenglacis

Ciao a tuttx!

È passato poco più di un mese da quando siamo stati arrestati per il processo “Parkbank”, ed è la seconda volta che due di noi vengono imprigionati. In questa lettera, vorrei descrivere un po’ la mia situazione personale qui in prigione. Non posso dire nulla sulle accuse o sullo stato di avanzamento del processo giudiziario, perché non possiamo comunicare tra di noi. Non posso che concordare con il consiglio di non cedere a speculazioni, pettegolezzi e panico.

La solidarietà e il sostegno che riceviamo qui è meraviglioso e impressionante. Le tante lettere, le parole di saluto, le foto e gli incontri ci danno forza e fiducia. Siete meravigliosi.

Ora, la detenzione preventiva. Questo significa, qui, almeno per i primi mesi, 23 ore di prigionia in 10 metri quadrati, con letto, tavolo, sedia, armadio, wc e lavabo. Un’ora di camminata nel cortile, nel mio caso con gli altri prigionieri, alternativamente mattina o pomeriggio. Ci svegliamo alle 6:30, con un forte allarme, il pranzo è alle 11:30, la cena è servita alle 16:30 e dovrebbe essere sufficiente anche per la colazione, perché al mattino c’è solo acqua calda o tè. Il cibo è di solito sufficiente a far quadrare i conti, ma chi vuole un’alimentazione più equilibrata deve dipendere necessariamente dalla “cantina” del carcere, per comprare altre cose. Ogni mercoledì, gli elenchi degli ordini, in tedesco, vengono raccolti per il giorno successivo. Sabato, riceviamo il nostro ordine. Non è esattamente economico e viene pagato con i soldi del nostro conto in prigione. Oltre a ciò, ci sono i soldi che avevamo in tasca al momento dell’arresto, i soldi inviati dall’estero e il nostro insignificante stipendio, se lavoriamo durante la detenzione preventiva. A differenza della detenzione dopo una condanna, qui il lavoro non è obbligatorio e lavoriamo principalmente nei servizi penitenziari: cucina, pulizie, pittura e lavanderia.

Altri “privilegi” – una radio a noleggio, una televisione a noleggio, la partecipazione a gruppi sportivi, circoli di discussione, corsi, ecc. devono essere richiesti alla direzione e, naturalmente, tutta la burocrazia carceraria funziona solo in tedesco. Il trattamento di queste domande richiede almeno alcune settimane. Le guardie carcerarie sono estremamente brusche e tutte le informazioni sulla vita quotidiana del carcere devono essere strappate con la forza. Le domande le infastidiscono e danno risposte svogliatamente e con rabbia; solo pochi parlano inglese.

La procedura di registrazione include una perquisizione corporale senza vestiti e inginocchiati; la prima notte la si passa nella “stanza di osservazione”, dove vengono tolti i vestiti civili e si viene messi in una cella dove la luce rimane accesa tutta la notte; la sconcertante maratona attraverso lo stabilimento, sembra un’iniziazione, che dovrebbe farvi capire che siete ormai parte di un processo giudiziario che deve essere amministrato, niente di più. Un’esperienza umiliante. Al calar della notte, nella camera di osservazione, si possono recuperano i vestiti civili. Questa è probabilmente una piccola eccezione, perché in molte altre carceri di custodia cautelare, la norma è l’abbigliamento dello stabilimento.

La maggioranza delle persone che conosco qui sono state incarcerate per reati legati alla droga, e non hanno un passaporto tedesco oppure hanno un’altra nazionalità oltre a quella tedesca, il che spiega il pericolo di fuga. I prigionieri che non parlano tedesco sono esposti all’ignoranza delle guardie, che spesso utilizzano frasi razziste. Nei primi tempi, la burocrazia carceraria era già fin troppo opaca per me, abituato all’illusione dell’ordine tedesco. È piuttosto chiaro che la finalità legalmente stabilita della custodia cautelare, cioè che le persone interessate dalla “garanzia procedurale” vengano rinchiuse qui, è solo uno degli strumenti utili della custodia cautelare.

Lo scopo di queste condizioni così vessatorie, che posso descrivere solo in parte, è chiaramente il voler infondere nei prigionieri la massima incertezza, l’umiliazione, l’isolamento e la disciplina. Questo è particolarmente vero durante le prime settimane, prima di poter telefonare, scrivere lettere, parlare; per molti giorni si è soli con se stessi, con solo carta e penna, per 23 ore. La prima possibilita’ di uscire di prigione è due settimane dopo l’incarcerazione. Non sorprende, quindi, se sono proprio queste prime settimane che fanno del carcere una fabbrica perfettamente funzionante allo scopo di produrre accuse (spesso false), confessioni (spesso affrettate) e condanne di successo (per lo Stato). In questo modo, questo sistema è costantemente legittimato.

Oltre alle persone che sono imprigionate qui durante un processo, e che spesso se ne vanno rapidamente perché ammettono le proprie colpe, o perché l’udienza preliminare dà un risultato indulgente, si trovano qui molti condannati ad una pena pecuniaria , la cosiddetta” pena sostitutiva”. Chi non paga una multa, riceve prima un ordine di detenzione e poi un controllo da parte della polizia. Un giorno di detenzione ha quindi una tariffa giornaliera fissa, ho sentito cifre tra i 6 e i 10 euro al giorno. I fortunati che riescono ad entrare in contatto con amici o parenti, possono pagare tutta o parte della multa, che può essere dedotta dalla durata della detenzione. Quelli che non hanno nessuno pagano i loro debiti in prigione. Chi è detenuto per una condanna alternativa non può lavorare, anche se molti vorrebbero farlo, scambiando una miseria per qualche giorno di liberazione anticipata.

L’elenco di possibili esempi, aneddoti che possono far infuriare, è talmente lungo che non entrerebbe in questa lettera.

Se guardiamo più da vicino, noteremo che l’argomentazione spesso avanzata, secondo cui il carcere è uno specchio della società, è senza dubbio vera. Non solo trovo, ovviamente, la stessa codardia, lo stesso razzismo, la stessa mancanza di solidarietà e indifferenza che troviamo all’esterno. Gli stessi meccanismi di esclusione, privilegio, disciplina, coercizione e sfruttamento, che ricoprono un ruolo di sostegno all’ordine di questo mondo, sono concentrati qui come se fossero sotto una lente di ingrandimento.

Il fatto che concetti come integrazione, disciplina (o provvedimenti disciplinari) o buoni comportamenti si trovino in quasi tutte le istituzioni coercitive di questa società, siano esse la scuola, l’ufficio, il lavoro, il servizio sociale (in molti casi, certamente non tutti) o anche il carcere, e che hanno tutti un retroterra militare, rivela che nessuno di questi aspetti del dominio e del controllo può essere considerato in modo indipendente dagli altri.

Coloro che hanno un problema fondamentale con l’autorità e il dominio, a meno che non abbiano in mente una variante ideologicamente diversa di una società coercitiva e disciplinata, non dovrebbero sorvolare su queste correlazioni.

Quando lo Stato ci imprigiona, a differenza del suo regime, lo fa per le stesse ragioni per cui deve imprigionare i senzatetto che non hanno pagato lo scontrino di una vodka al supermercato o coloro che, a causa di una piantagione di erba e del loro cognome, presumibilmente appartenenti alla “grande famiglia araba”, sono condannati a una pena molto più severa dei loro complici biondi.

Essere legati ad alcuni detenuti e sentirsi solidali con loro è abbastanza comprensibile e per me è un elemento fondamentale di una vera solidarietà, che deve avere un carattere di reciprocità. Tuttavia, una cultura di sostegno e assistenza a coloro che vengono colpiti dalla repressione sarebbe un vantaggio per integrare ulteriormente gli attacchi statali repressivi in un’analisi generale dei rapporti di dominio.

La nostra prigionia non è un’ingiustizia particolare, ma una conseguenza necessaria della logica di come funziona questo mondo. E dobbiamo porre fine a questa logica, per la liberazione di tutti.

Un abbraccio caldo e solidale!

Finché non sono tutti liberi!

Uno dei 3 della panchina del parco.

Fonte: Publicacion Refractario

Traduzione (dallo spagnolo): Inferno Urbano