Genova: Breve resoconto dell’udienza preliminare del processo contro Gianluca ed Evelin

Riceviamo e pubblichiamo:

Breve resoconto udienza preliminare del processo di Genova contro Gianluca ed Evelin.

Nel corso dell’udienza preliminare tenutasi presso il Tribunale di Genova il 07 dicembre, è stato disposto il rinvio a giudizio per entrambi gli imputati relativamente ai reati a loro ascritti, esclusa l’aggravante contestata a norma dell’art. 270 bis 1 c.p.

Il processo comincerà quindi con l’udienza filtro del 7 marzo, e secondo il rito ordinario rimanda entrambi con l’accusa di detenzione e porto di materiale esplodente, tentata fabbricazione di ordigni esplosivi/esplodenti. Riprendendo tecnicamente la motivazione giuridica, relativamente al decadimento della finalità di terrorismo viene fatto riferimento alla più recente giurisprudenza in merito, in particolare alla sentenza di Cassazione n.36816/2020, secondo cui “non è sufficiente il compimento di una qualsivoglia azione politica violenta, essendo necessario che la condotta sia potenzialmente idonea a creare panico, terrore e diffuso senso di insicurezza nella collettività e sia rivolta ad organi di vertice delle istituzioni o di rilievo costituzionale, in funzione del tentativo di sovvertimento dell’assetto costituzionale o di rovesciamento del sistema democratico.”

Nel caso in esame la gup ha giudicato, in linea con la precedente valutazione della giudice per le indagini preliminari, che non sia possibile ritenere che ci siano collegamenti fra il materiale sequestrato e le azioni violente indotte dall’accusa, quindi gli imputati vengono rinviati a giudizio con le accuse delineate sopra, salvo ricorso del PM.

Oltre a questo piccolo resoconto tecnico sull’udienza, di seguito alcune riflessioni sulla repressione come attività generale e continua dello Stato contro gli sfruttati.

Dietro ad ogni scelta giuridica, di collegio o di singolo giudice c’è una scelta politica che caratterizza le sentenze. L’attività repressiva non sempre è correlata in modo direttamente proporzionale e lineare all’intensità di conflitto che le classi sociali e militanti pongono in essere. L’attività di prevenzione dell’ipotesi conflittuale e quella di annientamento del nemico interno è continua da parte dello Stato, ed è volta al mantenimento dell’ordine e del privilegio di classe. Non esistono isole felici o termini dell’azione e del pensiero entro cui sia possibile evitare la risposta repressiva, seppur l’assenza di radicalità nella lotta, togliendo forza alla possibilità rivoluzionaria, determini in ambito sociale e nei rapporti di forza solo punti a favore della controparte.

In questi giorni, in riferimento alla lotta del compagno Alfredo Cospito, si evidenzia come essa sia sempre pronta all’annichilimento dei rivoluzionari, attraverso lo strumento della tortura che praticata in modo diretto, più o meno sistematico nei diversi periodi storici, tende a controllare e reprimere ogni espressione rivoluzionaria e di lotta, riponendo al centro il monopolio della violenza che ne caratterizza il potere, e scagliandosi contro chi osi mettere questo in discussione.

La tendenza vendicativa dello Stato è tesa all’annientamento delle identità rivoluzionarie e funge da monito alle parti sociali che lottano contro le condizioni feroci che lo sfruttamento capitalistico impone.

In questa lotta aperta rientra l’applicazione dei regimi carcerari speciali a cui sono sottoposti i compagni e le compagne come l’esempio dell’applicazione dell’art.90 sui prigionieri irriducibili.

La pretesa di collaborazione e la esplicita richiesta di abiura politica, ovvero il ricatto imposto dai regimi di carcere speciale come il 41 bis vanno a consolidare i rapporti di forza nella lotta fra le parti, dove si delinea la precisa soglia di appartenenza. Tramite la proposta della collaborazione utilizzata come leva per la fine della tortura contro il prigioniero stesso, lo Stato ottiene più in generale un risultato utile a dar corpo all’indebolimento della lotta attraverso la differenziazione e tramite la dicotomia amico/nemico, buoni e cattivi, posta alla base della logica delle leggi sui pentiti e sulle dissociazioni.

Nel momento in cui si decide di lottare, si deve avere chiaro che qualsiasi nostro impegno, o mancato impegno, si inserisce in questo contesto. In Italia l’accanimento repressivo in tempi recenti ha avuto il suo epilogo con condanne alte contro prigionieri anarchici per i reati loro contestati, usate come monito verso i movimenti di lotta e vendetta nei confronti dei prigionieri stessi e dell’ipotesi di lotta radicale. Il dominio imperialista alimenta la sua guerra agli sfruttati a livello internazionale con l’aumento delle pene a livello interno e il coordinamento delle polizie a livello internazionale con la conseguente deportazione dei prigionieri politici. Questo sigla accordi di guerra ed economici, dove  al di là delle regolamentazioni degli ordinamenti, le persone vengono utilizzate come merce di scambio nei patti, nel consolidamento di interessi comuni degli Stati e di classe. Sulla retorica dei diritti umani vince la pratica degli interessi economici e di potere.

Oggi il nostro pensiero e la nostra solidarietà vanno ad Alfredo Cospito e alla sua battaglia contro il 41 bis, ad Anna, Juan e Ivan che con lo sciopero della fame hanno contribuito alla lotta mettendo in gioco la loro vita già privata della libertà personale, a tutti i prigionieri rivoluzionari che in tutto il mondo hanno aderito e solidarizzato con la lotta di Alfredo.

A Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi che resistono al regime di 41 bis da 17 anni.

Consapevoli che l’unica liberazione sta nella lotta stessa.

Una degli imputati

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