Cile – racconti e analisi sugli ultimi avvenimenti

Cile: Evadere e lottare. Un racconto dalle strade di Santiago (19/10/2019)

In Cile, in risposta alle proteste studentesche contro un aumento del costo dei trasporti pubblici, il presidente ha riportato il paese alla legge marziale dell’epoca della dittatura, mettendo i soldati in strada e minacciando i manifestanti con decenni di prigione. Il seguente resoconto proviene direttamente dalle strade di Santiago, all’epicentro degli scontri.

La conflagrazione di venerdì 18 ottobre 2019 è avvenuta dopo una settimana di azioni contro l’aumento delle tariffe, con lo slogan “evade” o “evade y lucha” (“eludere le tariffe e lottare“), che ora appare su quasi ogni muro del centro della città dipinto con vernice spray. Tutto è iniziato come una giocosa risposta al governo che ha aumentato il costo della vita intervenendo sui costi dei mezzi di trasporto. Quasi interamente condotta dagli studenti, la mobilitazione ha incluso evasioni di massa nelle stazioni della metropolitana, in cui gli studenti correvano insieme attraverso i tornelli e tenevano aperte le porte per incoraggiare tutti gli altri a unirsi a loro nella gratuità. La polizia ha reagito con gas lacrimogeni e manganelli.

Il giorno seguente, venerdì, i manifestanti hanno risposto prendendo di mira le stazioni stesse, rompendo i cancelli e i tornelli e persino usando questi ultimi come armi per difendersi dagli attacchi della polizia. Molte linee della metropolitana sono state chiuse; a metà pomeriggio, abbiamo ricevuto la notizia che la metropolitana sarà chiusa per tutto il fine settimana [l’articolo è stato pubblicato il 19/10/2019].

Con alcuni autobus ancora in funzione, le linee alle fermate degli autobus sono diventate straripanti, con lunghi tempi di attesa. Le marce di protesta hanno iniziato a scendere per strada mentre le metropolitane venivano chiuse, causando ulteriori ritardi per gli autobus che ancora trasportavano persone. Molte persone invece hanno iniziato a camminare per le strade; ha iniziato a sembrare una giornata sulla neve, quando tutti sono appena usciti e nelle strade, un’energia strana ed estatica.

Nel fratempo circolavano filmati strazianti che mostravano una studentessa cui la polizia ha sparato con colpi di pistola durante una protesta tariffaria. Le sue condizioni rimangono sconosciute. È stato riferito che la protesta è stata particolarmente intenso nel suo quartiere, Las Parcelas. Al momento della stesura di questo testo, ci sono state diverse segnalazioni di persone sparate dalla polizia.

Mentre il sole tramontava, la città ha preso fuoco. Autobus bruciati. Blocchi stradali sono comparsi in molti quartieri, in cui gli abitanti uscivano per sbattere pentole e padelle (si tratta di una tradizionale forma di protesta nota come “cacerolazo”), bruciando divani, pneumatici e qualsiasi altra cosa trovassero nella zona. La ribellione si è diffusa in tutta la città, molto più lontano delle iniziali fermate della metropolitana. Scontri con la polizia si sono intensificati per tutta la notte fino a quando il presidente ha dichiarato lo stato di emergenza, richiamando così alla dittatura militare del 1973-1990 durante la quale migliaia di persone furono fatte “scomparire” e uccise.

Il palazzo sede della compagnia energetica italiana Enel, alto più di una dozzina di piani, ha preso fuoco, anche se la causa non è ancora stata confermata. Mentre alcuni ipotizzano che sia stato bruciato da degli incendiari, altri ipotizzano che la fiamma possa essere scoccata da contenitori dei gas lacrimogeni [a differenza delle varie possibilità che questo testo lascia intendere, è presumibile che l’edificio sia stato attaccato dagli insorti].

L’ente che controlla la rete della metropolitana di Santiago ha già confermato che non ci sarà servizio durante il fine settimana e la federazione studentesca cilena ha indetto uno sciopero nazionale previsto per lunedì 21 ottobre. A partire da ora, resta da vedere se i disordini si diffonderanno ed approfondiranno, ma se i militari uccidono qualcuno, il paese è destinato ad esplodere. I ricordi della dittatura sono troppo freschi, troppo vividi, perché le persone possano restare passive davanti a ciò.

I cileni ricordano troppo bene i tradimenti della democrazia per poter essere placati da una semplice riforma come una riduzione della tariffa del trasporto pubblico. Dopo i massicci scontri in Ecuador, sembra che le cose stiano tornando alla normalità ora che il presidente ecuadoriano ha rinunciato alle misure di austerità nella sua proposta di bilancio; ma questo scoppio di sfida mostra che la rabbia è stata a lungo in ebollizione in Cile, e non sarà facile metterla a tacere.

Il Cile ha una lunga storia di lotte sociali che risale alle sue origini coloniali. I combattivi movimenti sociali odierni discendono dalla resistenza alla dittatura militare massacratrice di Augusto Pinochet; sono proseguiti ininterrottamente perché la transizione alla democrazia, avvenuta nel 1990, non è stata accompagnata da alcun cambiamento significativo nelle politiche economiche e nelle violente attività della polizia che impongono estreme disparità di ricchezza e di potere. Questa particolare insorgenza ricorda la rivolta del Brasile nel 2013, quando circa un milione di persone scesero in piazza per protestare contro un aumento del costo dei trasporti pubblici.

Vedremo cosa accadrà.

[Tradotto a partire dall’articolo pubblicato in crimethinc.com e tradotto anche in attaque.noblogs.org].

fonte: insuscettibilediravvedimento.noblogs.org


Cile: Resistere alla legge marziale. Un racconto e un’intervista (21/10/2019)

Da quando, a seguto dell’Ecuador, la rivolta si è diffusa in Cile, il conflitto si è intensificato rapidamente. Il governo ha fatto radunare l’esercito e ha dichiarato la legge marziale, ma la gente rifiuta di lasciare le strade, continuando a creare una situazione ingovernabile. Nonostante la rapida cancellazione dell’aumento dei costi del trasporto nella metropolitana, ovvero del fatto che ha innescato le proteste, la loro rabbia è molto più profonda. Molte persone, in tutto il paese, sono infuriate dalle drammatiche disparità di ricchezza e potere che il capitalismo ha creato, oltre che infuriate dalla decisione del presidente di tentare di reprimere le proteste per mezzo dei militari, una strategia che ricorda la dittatura militare cilena del 1973-1990. Oggi scioperi e proteste si svolgono in tutto il paese, a Punta Arenas, Concepción, Valparaíso, Valdivia e Temuco, oltre che a Santiago.

Il governo cileno ammette otto morti nel corso dei disordini, sette in incendi e uno ucciso da spari dei militari durante le manifestazioni. Tuttavia, circolano notizie che riferiscono di 11 morti e di molte persone colpite da polizia, soldati e vigilantes di destra. […].

Nel seguente testo, offriamo il nostro breve racconto dalle strade del Cile, un’intervista con un anarchico cileno dall’interno del movimento e un invito all’azione da parte di altri partecipanti al movimento.

Sabato 19 ottobre

Sabato le proteste sono iniziate prima di mezzogiorno. In tutta la città e i quartieri si sentiva una costante percussione di pentole e padelle, macchine che suonavano il clacson, tutto al ritmo di canti popolari: “Evadir, no pagar, otra forma de luchar” (“Evadere la tariffa, non pagare, un’altra forma di lotta“) e “El pueblo unido jamás será vencido” (“Il popolo, unito, non sarà mai sconfitto“).

Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza avvenuta venerdì sera, era certo che sabato avrebbe visto più proteste. Durante tutto il giorno, varie forme di ribellione sono scoppiate in tutta la città. Ampi gruppi di persone suonavano musica di protesta e cantavano canti, molte persone costruivano barricate e le incendiavano. La gente ha sfondato le finestre di parecchi importanti edifici governativi e di banche, quindi ha rimosso i mobili per costruire barricate e distrutto i registri bancari. Sia per allegria che per necessità, molti negozi sono stati saccheggiati di articoli e beni. Altri autobus sono stati incendiati quando le persone si sono scontrate con la polizia. L’esercito era disposto con lunghe armi, accrescendo l’atmosfera di ansia e di rivolta.

Il coprifuoco è stato dichiarato sabato sera alle 22.00, a Santiago e in altre città che hanno partecipato alla protesta: Concepción e Valparaíso. Mentre il sole tramontava, alcune persone hanno iniziato a tornare a casa per paura che i militari avrebbero cominciato ad impiegare le loro armi con una forza mortale. Molte altre persone hanno scelto di stare fuori durante la notte, non rispettando il coprifuoco imposto. Gli scontri sono continuati decentralizzandosi, diffondendosi ulteriormente nelle periferie di Santiago, riempiendo l’intera città. Mentre alcune delle violenze di polizia e militari più gravi si sono verificate nelle periferie: Maipú, Pudahuel Sur e San Bernardo, un sobborgo semi-rurale alla periferia della metropoli.

I manifestanti hanno dato fuoco ai caselli posti nella superstrada posta a nord di Santiago.

A Valparaíso, i manifestanti hanno incendiato un edificio dove ha sede un giornale chiamato “Mercurio”, una publicazione di destra. Valparaíso ha subito una pesante repressione militare, con i soldati che correvano per le strade e attaccavano i manifestanti. Alcune ore dopo il coprifuoco, è stato annunciato alla radio che, a Santiago, la presenza militare sarebbe raddoppiata a partire da domenica. In internet un nuovo hashtag ha iniziato a circolare: #chiledespierto (“Cile risvegliato“).

Domenica 20 ottobre

Domenica i notiziari hanno annunciato che 240 persone erano state arrestate sabato sera per la violazione del coprifuoco, più di 600 erano state arrestate in tutto il paese e 62 poliziotti erano stati feriti. Ma il numero totale di arresti e di feriti durante la settimana è molto più elevato. Walmart Chile ha annunciato che “a causa di atti di vandalismo, ha subito saccheggi in più di 60 località nella regione metropolitana e nelle regioni di Valparaíso, Antofagasta, Calama, Concepción, San Antonio e Temuco”. Nel web, sono state anche divulgate riprese di poliziotti intenti ad assumere cocaina prima di attaccare i rivoltosi. […].

Secondo quanto riferito, sei treni sono stati danneggiati, tre dei quali completamente distrutti. Ci vorranno mesi per riportare in servizio la linea più recente della metropolitana (a Santiago). […].

Domenica sera, il presidente cileno Sebastián Piñera ha fatto un discorso televisivo al paese, dal quartier generale dell’esercito a Santiago: “La democrazia non ha solo il diritto, ha l’obbligo di difendersi usando tutti gli strumenti che la democrazia stessa e il principio della legalità forniscono, per combattere coloro che vogliono distruggerla [la democrazia]… Siamo in guerra contro un nemico potente, implacabile, che non rispetta nulla o nessuno e che è disposto a usare la violenza e il crimine senza alcun limite”.

Non solo questa affermazione, ma il contesto dal quale è stata presentata, mostra chiaramente quanto la democrazia cilena sia intrecciata con le forze militare che si trovavano al governo durante la dittatura. Chiunque abbia esperienza della violenza dello Stato sa che le autorità ci accusano sempre di qualunque cosa abbiano intenzione di farci, al fine di legittimare la loro aggressione in anticipo. Da queste affermazioni, è abbastanza chiaro che il presidente Piñera e i mercenari che lo servono stanno tentando di creare un discorso tramite cui possano legittimare l’uccisione di un gran numero di persone per riportare il Cile al loro controllo.

Le persone in tutto il mondo dovrebbero essere ispirate dal coraggio dimostrato dalle persone comuni in Cile e fare del nostro meglio per rendere impossibile ai militari di massacrare le persone nelle strade. Di seguito segue un’intervista con un anarchico partecipante alla rivolta e un invito all’azione da parte di altri. […].

Intervista

Con quale frequenza la legge che prevede lo stato di emergenza o il coprifuoco in Cile viene impiegata? Quando è stata l’ultima volta che lo Stato l’ha utilizzata?

I poteri relativi alle condizioni di emergenza [per lo Stato] che lo Stato cileno [stesso] ha implementato sono stati tramandati dalla dittatura di Pinochet (o Pinoshit, come ci piace chiamarlo qui). La legge sulla sicurezza interna (Ley de Seguridad Interior del Estado, o LSE) esiste dal 1958, prima del colpo di stato militare del 1973, ma nel 1975 la dittatura espanse notevolmente le possibilità da essa previste, soprattutto per quanto riguarda i crimini legati al “disordine pubblico”. con sanzioni e condanne per una varietà di violazioni e crimini durante i periodi in cui il “funzionamento del paese” è alterato. Ad esempio, nel 2002, il governo (guidato dai socialisti!) ha usato l’LSE contro uno sciopero di autisti degli autobus. In generale, [la legge] serve più come deterrente e come minaccia che come uno strumento effettivo per portare a processo qualcuno in particolare.

Poi esiste la legge sullo stato di emergenza attualmente in vigore, che è stata scritto nella costituzione redatta nel 1980, durante la dittatura; si tratta della stessa costituzione che esiste oggi.

In precedenza lo stato di emergenza è stato utilizzato solo durante disastri naturali (come il terremoto del 2010 a Concepción, e durante altri terremoti e inondazioni). Durante quei disastri, abbiamo visto l’esercito per le strade, presumibilmente per “aiutare” le persone ed eliminare le macerie, ma in realtà le forze armate usano queste situazioni come esercitazioni militari, esercitandosi su come conquistare città e difendere la proprietà privata delle compagnie multinazionali. Mentre, come detto, lo stato di emergenza è stato dichiarato anche di recente, questa è la prima volta dalla dittatura (in particolare dal 1987) che è stato impiegato un coprifuoco (toque de queda). È anche la prima volta che lo Stato ha schierato le forze armate appositamente per compiti repressivi. Per le persone in Cile, è scioccante vedere le strade piene di veicoli militari, carri armati e jeep piene di truppe armate. Tuttavia, le generazioni più giovani sembrano averne meno paura di quelle che ricordano la dittatura.

Come si inserisce tutto ciò negli ultimi anni di movimenti sociali e scontri contro l’autorità in Cile? Qualcuno si è accorto che [l’attuale situazione] stesse per arrivare?

Nessuno ha previsto questa situazione, né sapeva che si sarebbe diffusa così lontano. La gente a Santiago percepiva che la tensione stava crescendo, ma non nel senso di una rivolta sociale. Piuttosto, ciò lo si è visto maggiormente nelle aggressioni tra le persone – chi deve fare il pendolare per ore dopo il proprio lavoro o la proprio giornata scolastica, stufo di dover restare schiacciato strettamente in un treno o in un autobus pieni, sopraffatto dall’esaurimento. Quindi questa rabbia e stanchezza si sono manifestate nei conflitti tra gli sfruttati. Ad esempio, incolpando e colpendo altre persone in viaggio su treno o autobus, o con il capro espiatorio degli immigrati e cose simili, creando una quotidiana esperienza di ostilità; ma nessun gruppo politico o organizzazione era preparato per questo tipo di rivolta diffusa.

Dalla scorsa settimana, sono avvenute chiamate all’evasione tariffaria dei mezzi di trasporto pubblici (evasión) e al sabotaggio dei trasporti stessi in risposta all’aumento della tariffa di ulteriori 30 pesos. Non si trattava di niente di nuovo. Ogni volta che si verificano aumenti nelle tariffe, osserviamo questo tipo di inviti all’azione. Ciò che quest volta è differente è che siamo in primavera, mentre gli aumenti tariffari del passato sono stati implementati nel bel mezzo dell’estate, senza ricevere molta risposta.

A partire da lunedì 14 ottobre, gli studenti delle scuole superiori, organizzati e combattivi, hanno iniziato le azioni collettive volte a poter evitare le tariffe dopo aver lasciato la scuola. Queste erano massicce e molto efficaci. Le guardie di sicurezza della metropolitana non erano pronte a questa situazione, quindi i ragazzi sono stati in grado di saltare liberamente i tornelli e anche di tenere le porte aperte per gli altri pendolari. Martedì 15 ottobre, le evasioni collettive sono diventate ancora più grandi e hanno compreso più scuole superiori. Mercoledì 16 ottobre non erano coinvolte solo le scuole con una reputazione militante. Molte scuole nei quartieri più poveri, fuori dal centro città, hanno preso parte, ed è qui che le guardie della sicurezza della metropolitana hanno iniziato a bastonare gli studenti. Questa è stata davvero la scintilla e ha reso i liceali ancora più risoluti nella loro lotta. Hanno organizzato evasioni di massa per evitare le tariffe quel pomeriggio (a Santiago, gli studenti escono da scuola un paio d’ore prima della fine della giornata lavorativa) e sempre più persone si sono unite, anche solo perché la maggior parte delle persone aveva bisogno di tornare a casa e non dispiace a nessuno risparmiare un po’ di soldi per i loro spostamenti. Giovedì 17 ottobre, la risposta delle autorità e dei gestori della metropolitana è stata quella di chiudere alcune stazioni, impedendo alle persone di tornare a casa. Squadroni di polizia hanno anche iniziato ad occupare le stazioni, contribuendo a un conflitto ancora maggiore e, attraverso esso, alla distruzione delle infrastrutture della metropolitana stessa. In alcuni casi, solo grazie alla loro quantità, i rivoltosi sono stati in grado di espellere la polizia dalle stazioni della metropolitana.

Venerdì 18 ottobre sono avvenuti scontri fin dall’inizio della giornata lavorativa. Le stazioni della metropolitana vennero aperte con più guardie di sicurezza e più polizia del solito, ma la gente continuava ad organizzare evasioni di massa e in molti casi sono riuscite ad accedere ai binari. La giornata è andata “come al solito” fino alla fine della giornata scolastica. Una volta chiuse le scuole, l’intera situazione sfugge al controllo di chiunque. Sono accaduti scontri e combattimenti in tutta la città. Le stazioni della metropolitana sono rimaste chiuse. Gli studenti hanno occupato i binari e distrutto le infrastrutture della metropolitana e degli autobus, come i tornelli. Tre intere linee della metropolitana sono state chiuse. La gente ha iniziato a combattere con la polizia e una varietà di zone di conflitto tra persone e polizia sono spuntate in giro per la metropoli.

Lungo le principali arterie stradali gli autobus sono stati incendiati e usati come barricate. Le fermate degli autobus sono state anch’esse bruciate. Ancora più combustibile (metaforicamente e letteralmente) si è infiammato quando le persone hanno iniziato a uscire dal lavoro per il fine settimana. Grazie all’arresto quasi completo della metropolitana e dei viaggi in autobus all’interno della città, le masse di persone si sono trovate fuori a piedi, accrescendo volontariamente e involontariamente i numeri degli scontri in strada. La polizia così ha perso terreno e, al calar della notte, ha iniziato ad attaccare con gas lacrimogeni e cannoni che spruzzano forti getti di acqua. In ritirata, la polizia è tornata nei quartieri delle classi agiate per assicurarsi che la rivolta non minacciass i centri della ricchezza. La gente, tuttavia, non si è ritirata ed andata ancora oltre: saccheggiando e bruciando banche, supermercati, catene di negozi aziendali, farmacie, stazioni della metropolitana, uffici sanitari privatizzati e luoghi governativi.

Da quando sono iniziate le evasiones, tutti sono stati entusiasti di supportarle, dal momento che è una tattica che chiunque può usare. E’ ancora presente, tra la gente, la percezione che questo è stato un momento storico, almeno nella coscienza sociale, e per la maggior parte delle persone la rivolta ha posto il sorriso sul volto (e si tratta di qualcosa che non si vede spesso a Santiago). Sebbene molti non siano d’accordo con alcune delle forme di lotta, il suono dei cacerolazos [l’atto di battere fortemente pentole e padelle] è risuonato in tutta la città fino a notte fonda.

Tutto ciò ha portato il governo cileno a dichiarare, alle 2.00 di sabato mattina, lo stato di eccezione nella provincia di Santiago, una dichiarazione che includeva la mobilitazione delle forze armate e la preparazione in vista del loro spiegamento nelle strade. La notte è proseguita con altri incendi e saccheggi. Il governo ha commesso un errore pensando che l’annuncio delle truppe militari per le strade avrebbe calmato il contesto.

A mezzogiorno di sabato 19 ottobre, sono stati chiamati ancor più cacerolazos, nonché manifestazioni nelle piazze principali di vari quartieri, in segno di protesta per la presenza militare e la repressione che ha portato con sé (piuttosto che solo per l’aumento delle tariffe). I soldati hanno intensificato il loro operato puntando le pistole, cariche di munizioni vere, contro le persone, portando a ulteriori rivolte. Masse di persone sono scese in piazza nelle città in cui non era stato chiamato lo stato di eccezione, ad esempio Valparaíso, Concepción, Coquimbo e Puerto Montt. Ciò ha portato a ulteriori saccheggi e, in risposta, sono stati annunciati più stati di emergenza e coprifuochi, per sarebbero dovuti iniziare alle 22.00 di sabato sera. In gran parte il coprifuoco è stato ignorato e la gente è rimasta nelle strade a tarda notte. Il saccheggio e l’incendio sono continuati.

Almeno tre persone sono state trovate morte tra le ceneri di un supermercato saccheggiato, e ci sono notizie di molti manifestanti feriti dalla polizia. Sono in circolazione tanti filmati sulle violenze della polizia e dei militari. È difficile dire con certezza quanti manifestanti sono stati feriti perché l’informazione è sommersa da comunicati stampa della polizia su quanti poliziotti sono stati feriti, senza nemmeno menzionare i manifestanti che hanno ferito, nascondendo il concreto livello della loro repressione. Tuttavia, il numero di manifestanti feriti è sicuramente tra le centinaia, tra cui persone colpite da mazze, contenitori di gas lacrimogeni sparati contro corpi e teste, persone colpite a distanza ravvicinata da proiettili di gomma, persone investite da veicoli della polizia, e così via.

Tutto ciò accade ancora mentre scrivo e né la polizia né le forze armate sembrano aver ripreso il controllo. Stasera [domenica 20 ottobre] hanno spostato il coprifuoco, facendolo iniziare alle 19.00, e nel frattempo per spaventare la popolazione circolano notizie false sulla carenza di cibo e beni di base.

Credo che dall’inizio di questa rivolta, gli studenti si siano riempiti di uno spirito di liberazione e confronto che, grazie a compagni [anarchici] che in passato hanno combattuto la polizia e distrutto i simboli del capitale, ha generato una non-consapevolezza collettiva per cui, in momenti come questo, le persone sanno come attaccare l’autorità. Ciò è stato dimostrato dal fatto che la maggior parte delle aziende interessate sono state grandi catene multinazionali come Walmart, che ha visto circa 80 negozi saccheggiati e 10 bruciati in tutto il Cile. Lo si vede anche nel diffuso utilizzo del simbolo anarchico sui muri [l’”A” cerchiata], specialmente tra i giovani combattivi.

[Tradotto e partire dall’articolo pubblicato in crimethinc.com e tradotto anche in attaque.noblogs.org].

fonte: insuscettibilediravvedimento.noblogs.org


Note provvisorie intorno all’“anarchica” rivolta di massa che scuote la regione Cilena

Venerdì 18 ottobre una rivolta selvaggia è esplosa nella città di Santiago e il giorno seguente si è estesa a praticamente tutte le città del paese. Il motivo apparente, l’aumento dei biglietti del trasporto pubblico di Santiago (i bus della Red Metropolitana de Movilidad e la Metro), porta con sé in realtà un malcontento generale per il modello di vita nel capitalismo. Un movimento enorme e senza controllo ha fatto così la sua apparizione storica e come alcuni/e compagni/e hanno affermato in vari volantini distribuiti nelle strade: “niente sarà più come prima”.

Rileviamo questi elementi positivi per il movimento da una prospettiva antagonista

– La prima cosa che va sottolineata è la generalizzazione spontanea del movimento e la critica pratica alla totalità del modello di vita capitalista-neoliberale: espropriazioni e redistribuzione di massa delle merci dei grandi capitalisti (supermercati, centri commerciali, farmacie, banche, ecc.), distruzione delle infrastrutture statali (commissariati, municipi, ecc.) ripudio di massa dei corpi repressivi dello Stato “democratico” (carabinieri, polizia investigativa e militari), e un abbozzo intuitivo di critica alla totalità della mercificazione di tutti gli aspetti della vita quotidiana (non ci sono “richieste” o “rivendicazioni” concrete, si vuole “cambiare tutto”).

– Il ruolo dinamico che ha giocato e gioca il proletariato giovanile, con la sua intransigenza programmatica e combattività sovversiva in ogni situazione.

– Le proteste selvagge effettivamente hanno prodotto danni significativi alla proprietà privata dei grandi capitalisti di questo paese: questo è stato il vero motivo per cui lo Stato ha messo l’esercito nelle strade. Questo ha terrorizzato la classe dominante capitalista.

– Un altro aspetto che ha richiamato profondamente la nostra attenzione è la proliferazione di nuclei che praticano in maniera estesa la violenza offensiva e l’autodifesa contro le forze repressive dello Stato nelle manifestazioni, tanto in “centro” come nei quartieri periferici. Esiste una sorta di “violenza proletaria di massa diffusa”, che si coordina solidalmente nel mezzo delle barricate, che rende non necessaria – almeno per ora – qualsiasi tipo di specializzazione o professionalizzazione di questa attività da parte di gruppuscoli. Finora ciò è stato sufficiente.

– La rottura dell’isolamento e dell’incomunicabilità a cui siamo sottomessi quotidianamente in questo sistema, rottura che si manifesta con la solidarietà spontanea di classe e la comunicazione sociale al di fuori dei ruoli prefabbricati.

– Nonostante lo stato d’emergenza, il coprifuoco e militari nelle strade, il proletariato non ha avuto paura e non ha abbandonato la lotta di fronte ad una repressione brutale che ha provocato un numero ancora sconosciuto di omicidi, torturati/e, desaparecidos e incarcerati/e.

Mentre scriviamo queste righe in molte regioni, inclusa la Regione Metropolitana, è stata annunciata la fine del coprifuoco a causa della pressione sociale del proletariato che non lo ha rispettato affatto e continua a manifestare un odio viscerale verso i militari.

– Nonostante gli sforzi dello Stato per tornare alla “normalità” e nonostante la diffamazione dei mass-media, questa è stata impossibile da restaurare giacché la nostra classe ha continuato a protestare quotidianamente senza alcun bisogno di “chiedere permesso” per farlo – tutte manifestazioni sono state “illegali”.

– La realtà della lotta ha debordato gli intenti della stampa di “spettacolarizzare” la rivolta: il proletariato ha riconosciuto che la funzione sociale essenziale della stampa è distorcere i fatti e montare una narrazione affine agli interessi della classe dominante – i giornalisti sono la “voce” del capitale.

– Il movimento, nel contesto della rivolta, si sta dotando – embrionalmente – di organi di lotta con radicamento territoriale, in base alla conformazione delle assemblee autorganizzate di abitanti, che si incontrano in diversi quartieri e località, costruendo dal basso una prospettiva anticapitalista che si contrapponga alla precarizzazione della vita. Consideriamo questi spazi di associazione proletaria strategici per formare una comunità di lotta, visto che esprimono la necessità dell’autoattività degli stessi proletari con modalità autonome da qualsiasi intervento esterno a loro stessi.

– Un settore importante del proletariato ha rifiutato in blocco le proposte di “riforma” con le quali il governo ha tentato di spegnere il fuoco della rivolta: sono considerate misure indegne, e ciò tiene in scacco lo Stato per il momento almeno.

– Non esiste alcun “settore politico” capace di autoproclamarsi rappresentante valido per dialogare con il governo: questione che rende la borghesia sconcertata. È una rivolta senza capi: in questo senso usiamo il termine “anarchico” per definire questo movimento.

Le contraddizioni e i limiti che le minoranze rivoluzionarie devono combattere in seno al movimento.

– Durante le marce oceaniche svoltesi il giorno venerdì 25 ottobre, che solo nella città di Santiago hanno convocato in strada secondo cifre ufficiali più di 1 milione e mezzo di manifestanti, le piazze hanno espresso massicciamente un sentimento di identificazione patriottica e di unità nazionale, a detrimento di una prospettiva di classe nel conflitto sociale. Un esempio chiaro è la proliferazione di bandiere cilene – prima assenti – e un ambiente pacifista e di festa che ha prevalso durante tutta la giornata, elemento valorizzato dallo stesso governo come un’opportunità per “aprire prospettive di futuro e speranza”.

– La titubanza dimostrata da certi settori organizzati del movimento operaio nella partecipazione alla rivolta – per esempio, i minatori dell’impresa statale CODELCO e i sindacati appartenenti al coordinamento nazionale dei lavoratori e lavoratrici NO+AFP -, con la significativa eccezione dell’Unione Portuale Cilena (UPCH) e dei lavoratori edili raggruppati nel combattivo sindacato SINTEC: con uno sviluppo non esente da contraddizioni e limiti e per lo più dipendente dalla collocazione geografica.

– L’eco che in certi settori sociali ha avuto la notizia diffusa dalla stampa e dal governo sull’esistenza di un’ondata di saccheggi che ha come obiettivi case private e piccoli negozi – in realtà casi molto particolari e poco numerosi. Questo si è spesso nel fenomeno dei “giacchette gialle”, abitanti di quartiere organizzati in squadre che difendono le loro zone di residenza da inesistenti saccheggiatori. Ne rimarchiamo la pericolosità perché si tratta di un brodo di coltura per correnti di ultradestra o neofasciste e perché mette proletari contro altri proletari.

– L’esistenza di militanti di partiti tradizionali e della “nuova sinistra” – la stessa solfa – nelle assemblee e municipi autorganizzati, che tentano di cooptare e soppiantare la direzione autonoma del movimento per imporre le proprie posizioni e convertirsi in interlocutori validi per negoziare con il potere.

– Nonostante i grandi salti qualitativi che ha fatto il movimento nella sua vasta estensione, non ha potuto consolidarsi una lettura chiaramente di classe, debolezza che dimostra un grande compito pendente che deve essere risolto dalla prospettiva del movimento. Questo ha significato, soprattutto nelle grandi marce, il risorgere di un’identificazione da “classe media” di alcuni settori del proletariato promossa dai partiti dell’ordine e dai mass-media.

– La rivolta ha colto le minoranze rivoluzionarie disorganizzate e frammentate, ciò che, tuttavia, non ha significato la loro partecipazione nell’immediatezza del movimento, offrendo orientamenti attraverso l’azione e la propaganda, nonostante i suoi mezzi limitati. La sinistra e il leninismo in generale non hanno voluto mischiarsi con gli incontrollati, si sono smarcati dalla rivolta, e anche i settori più tradizionali hanno condannato i saccheggi alle grandi imprese, e hanno impiegato almeno tre giorni per palesare la loro presenza nelle strade . Questo pone la necessità di costruire un movimento apertamente anticapitalista che raggruppi i settori più radicali della classe.

Prospettive provvisorie

A prescindere da cosa accadrà alla fine di questa grande congiuntura, è chiaro che si è prodotta una rottura irreversibile, una crepa, che segna un cambio di epoca della nostra classe in questa regione. Quello che hanno vissuto in questi giorni migliaia e migliaia di proletari/ie senza precedenti esperienze di lotta, difficilmente potrà essere cancellato dalla memoria combattiva della nostra classe. Questa rivolta ha offerto un’opportunità unica che non dev’essere lasciata cadere: è chiaro che solo lottando si impongono le rivendicazioni e miglioramenti concreti delle condizioni di vita del proletariato. Ci siamo resi conti della nostra forza. La rivolta generalizzata annuncia la possibilità latente di un cambiamento rivoluzionario possibile, della riconciliazione della specie umana con se stessa e con l’ambiente, nonostante il precedente disprezzo che manifestavano settori dell’ambiente sovversivo della nostra regione – con discorsi del tipo “umano=piaga” o che “il popolo è morto”. Il proletariato non è morto, non siamo solo capitale variabile, abbiamo un enorme ruolo da compiere nella liquidazione di questo mondo capitalista ed è dimostrato nel concreto. Per ora la lotta continua nelle strade e nelle assemblee contro il patto sociale che ci vogliono imporre e il recupero riformista. Questa rivolta ha messo in discussione in modo intuitivo le fondamenta della struttura sociale capitalista e questo non potrà essere cancellato dalla memoria storica.

Andiamo avanti, verso la vita.

Alcuni/e proletari/ie in lotta nella Regione Cilena

la mattina del sabato 26 ottobre

primavera sovversiva 2019

traduzione pervenuta via mail, testo originale su agitacioninmanente.noblogs.org


Cile: contro il ritorno alla normalità

Giovedì 24 ottobre è stato il secondo giorno previsto per uno sciopero generale, prima di nuovi appelli sindacali alla semplice «mobilitazione» per venerdì, e ovviamente alle 17 dopo il lavoro (due giorni di sciopero, non di più, non bisogna esagerare, non è come se ci fosse un paese sotto stato di emergenza e coprifuoco con militari che fermano, picchiano, torturano, uccidono e arrestano ribelli).

Se la massa delle brave persone era numerosa in strada, è stata soprattutto silenziosa, lasciando i più veementi a combattere da soli con le classiche pietre contro i gas lacrimogeni e barricate di fortuna contro i cannoni ad acqua. Come se tutto sommato nulla fosse successo, o molto poco, da quel 17 ottobre, in uno scenario classico di manifestazioni oceaniche punteggiate da tafferugli ai margini o un po’ più in là. Qua e là, si sono visti persino manifestanti opporsi ai saccheggi. Certo, una rivolta sociale di tale portata non è una lunga linea diritta che inizia con le sommosse di quartiere per arrivare generalizzandosi a un’insurrezione; non funziona così. I giorni si susseguono e non sono uguali; ci sono momenti più intensi e giornate per riprendere le forze, schegge che dialogano direttamente tra loro nella conflittualità per formare un caleidoscopio infuocato, e riflessi opachi di una normalità (anche militante) a malapena incrinata. Ciò che tuttavia colpisce è constatare fino a che punto il dispositivo dei sindacati, della sinistra e dei cittadini indignati per occupare la strada partecipi a suo modo anche alla neutralizzazione dell’antagonismo in corso. Trasformare gli individui in masse e non il contrario fa parte del loro lavoro di cogestione democratica dell’esistente.

Inoltre, poiché ognuno dispone di un’autonomia per agire, non possiamo attribuire tutto a tali meccanismi di controllo, in quanto superarli, spaccarli o auto-organizzarsi altrove e altrimenti, e non all’interno o a partire da quelle manifestazioni centralizzatrici (Plaza Italia e Plaza Baquedano a Santiago), è sempre possibile. L’esplosione iniziale della rivolta non è forse stata il frutto di gruppi diffusi e variegati (a volte di alcune centinaia di persone) che hanno moltiplicato distruzioni e riappropriazioni partendo proprio da dove vivevano per attaccare più in là, saccheggiando supermercati e centri cittadini, o bruciare banche e istituzioni? È logico che le popolazioni protagoniste di queste migliaia di atti di guerra sociale siano particolarmente colpite dallo stato di emergenza, e comunque non è detto che i grandi concentramenti popolari che sostanzialmente ballano non contribuiscano a isolarli ulteriormente. A parte qualche scontro, sono per lo più alcune vetrine ad esser state spaccate ieri, giovedi.

A Concepción, per dare un interessante esempio di auto-organizzazione che ha funzionato felicemente nel panorama cittadino, i marciapiedi sono stati rimossi dal suolo dai rivoltosi per essere distribuiti in centro e servire da proiettili contro i carabinieri, aprendo spazi che hanno consentito il saccheggio di diverse attività commerciali, per non parlare della devastazione col fuoco della Caja de Compensación Los Andes (un istituto di credito), nonché della distruzione incendiaria del primo piano della Sala Andes (teatro d’arte drammatica). Piaccia o no, i gruppi in rivolta hanno attaccato il centro cittadino borghese, saccheggiando e distruggendo quel che potevano: il Comune di Concepción riferisce, ad esempio, che attualmente 32 incroci sono privi di semafori, dato che oltre un centinaio di questi (su 350) sono stati sradicati per servire da barricate o da arieti. Un altro esempio, stavolta non per tutti: mentre molti urlavano slogan accanto ai palazzi del potere di Santiago o facevano presidi, nel quartiere periferico di Maipú altri cercavano di scardinare tre bancomat rimasti intatti nel Supermercato Líder (saccheggiato e abbandonato da diversi giorni) usando la fiamma ossidrica. Questo ci ricorda che il giorno prima, in un altro sobborgo di Santiago, a Lo Espejo, un’autostrada è stata invasa con l’intenzione di svuotare i camion bloccati. Nella regione Mapuche di Arauco, invece, sono state prese di mira le compagnie di disboscamento: la notte da mercoledì a giovedì a Tirúa (diversi edifici bruciati) e giovedì mattina sulla strada da Cañete a Contulmo (un camion carico di legname fermato e poi incendiato). Nella regione di Valparaíso, ad andare in fumo è stato il casello del pedaggio di Zapata sulla Ruta 68…

Quanto alle cifre, il Ministero cileno dell’Economia ha precisato che per il momento 677 aziende sono state saccheggiate e bruciate e che il 30% dei supermercati (344) sono fuori servizio in seguito agli attacchi. Da parte sua, il dirigente del Transporte Público Metropolitano (DTPM, Regione della Grande Santiago), ha aggiunto che sono stati dati alle fiamme 24 autobus (1300 vandalizzati e in riparazione) e 9 depositi. In vista del ritorno alla normalità, come auspicato da Piñera, alcune tratte della metropolitana sono state riaperte a Santiago su alcune linee, ma secondo i resoconti definitivi resi noti dalla direzione in una conferenza stampa giovedì, 118 stazioni della metropolitana su 136 sono state devastate, con un costo stimato di 380 milioni di dollari: 25 incendiate (7 completamente e 18 parzialmente) e 93 gravemente danneggiate. A ciò bisogna aggiungere 10 convogli completamente devastati (7 bruciati nelle stazioni di San Pablo, Elisa Correa, San José de la Estrella, Protectora Infancia e 3 «vandalizzati» nelle stazioni di Neptuno, Lo Ovalle e Rojas Magallanes). Infine, le linee 1 (sezione San Pablo), 4, 4A e 5 coi sistemi elettrici e di segnalazione completamente andati, il che significa che alcune stazioni rimarranno chiuse almeno fino a marzo 2020, e per alcune ci vorrà forse un anno intero. Il presidente della metropolitana è stato, come d’obbligo, sostenuto dai rappresentanti dei suoi fedeli «lavoratori organizzati», come il presidente di un sindacato che dalla TV ha dichiarato che «dubita fortemente che coloro che oggi chiedono un cambiamento strutturale così importante in Cile stiano dando fuoco ai mezzi di trasporto della classe operaia». Oltre all’assoluta mancanza di capacità dialettica di questo bonzo, che gli impedisce di capire che si può nel contempo soffrire pur di mangiare e ribellarsi allo sfruttamento identificando gli ingranaggi che lo facilitano, dimentica soprattutto che non tutti accettano come lui una vita da schiavi dalla culla alla tomba, per scelta o necessità, e preferiscono distruggere ciò che li distrugge.

Infine, a proposito degli altri obiettivi sensibili in un territorio in ebollizione, l’ex sottosegretario alle telecomunicazioni Pedro Huichaf ha fornito alcune indicazioni ai rivoltosi in una dichiarazione a La Tercera (23/10): «Ci sono quelle che sono chiamate infrastrutture critiche, che hanno bisogno di energia costante per funzionare. In situazioni come quella che il Cile sta vivendo, ciò che potrebbe essere di grande preoccupazione per noi sono le infrastrutture in fibra ottica, che trasportano i dati dai telefoni cellulari ai ripetitori, e da lì a Internet. Sono queste da proteggere in particolare». La Camera di commercio di Santiago ha stimato ieri in 1.400 milioni di dollari le perdite relative ai disordini come lo stato di emergenza nel suo settore: c’è da scommettere che se i rivoltosi iniziassero ad attaccare le infrastrutture critiche, questa cifra potrebbe rapidamente volare molto più in alto!

La metropolitana funziona parzialmente, aiutata da autobus che passano dalle fermate chiuse; le compagnie aeree cilene che hanno cambiato tutti i loro voli in modo permanente a causa dei disordini e del coprifuoco (da 1000 a 6000 passeggeri dormono ogni notte all’aeroporto di Santiago su brandine) hanno stabilito un nuovo calendario provvisorio; di giorno i lavoratori ritornano al lavoro dopo due giorni di sciopero, prima di riunirsi per alcune ore (dalla fine del lavoro all’inizio del coprifuoco); di sera soldati e cittadini ripuliscono dei danni della giornata; il grande sindacato CUT ha appena presentato al governo le sue rivendicazioni (la sua «tabella di marcia»); alcuni senatori di sinistra propongono un referendum per cambiare la Costituzione; code di clienti attendono pazientemente all’ingresso dei supermercati integri e sorvegliati (in cui possono entrarne solo pochi alla volta)… mentre il bilancio militare sullo stato di emergenza si appesantisce ogni giorno di più: 7641 persone sono state arrestate dall’inizio dello stato di emergenza e portate davanti a un giudice (diverse centinaia imprigionate), 295 sono state ferite dai proiettili della polizia e si cominciano a contare gli occhi perforati dai militari (43 secondo il sindacato dei medici). In breve, siamo di fronte a una sorta di normalizzazione… dello stato di emergenza, a una democrazia autoritaria che ha aggiunto soldati alla sua polizia, che limita la libertà di circolazione e di assembramento all’occorrenza (non sono vietate tutte le proteste), che spara abbondantemente ai cattivi e tratta timidamente con i gentili.

Il Cile non è il passato, potrebbe essere il nostro futuro. Un futuro in cui tutte le condizioni sono presenti anche qui. Solo che… solo che che non si sa mai fin dove possono arrivare le fiamme della rivolta. In ogni caso, il segreto è beninteso di cominciare ad accenderli…

fonte: Finimondo

Oltre ai lampi, tuoni e fulmini dal Cile

Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza e l’affidamento della gestione della strada ai militari per ristabilire l’ordine (insieme agli altri bracci armati dello Stato), il presidente della Repubblica Sebastian Piñera ha annunciato sabato 19 ottobre di rinunciare all’aumento dei prezzi del trasporto pubblico a Santiago, mentre i suoi militari decretavano l’instaurazione del coprifuoco. Infatti, dopo la grande giornata di venerdì nella capitale, dove molte stazioni della metropolitana erano state devastate e bruciate (oltre agli scontri durante il giorno), la rivolta si è estesa in tutto il paese. E questa volta, la questione non è più questo o quello, ma una critica in atti della condizione riservata ai poveri: saccheggi in massa di supermercati e centri commerciali, incendi di istituzioni (banche, municipi, caselli dei pedaggi, sedi di giornali)… ma anche entrambe le cose, poiché moltissimi negozi saccheggiati vengono pure distrutti dalle fiamme in uno stesso movimento, il che è particolarmente significativo.

Di fronte a tutto ciò, lo Stato ha dapprima istituito il coprifuoco sabato sera nella regione della Grande Santiago dalle 22 alle 7, prima di estenderlo alla regione di Valparaiso e Concepción. Violato apertamente da folle di arrabbiati in sommosse che si sono moltiplicate anche altrove, è stato esteso da nord a sud nelle città di Valdivia, Antofagasta, Talca, Chillán, Chillán Viejo, Temuco, Padre Las Casas e Punta Arenas. I suoi orari sono stati anche ridotti, dalle 22 alle 20 e perfino partendo dalle 19 a Santiago (fino alle 6 o alle 7 del mattino), ora a partire dalla quale solo i ricchi possono circolare (muniti di lasciapassare) e i militari possono sparare su chiunque e arrestare. Se questo può certamente dissuadere un po’ la parte più cittadinista dei manifestanti («meno abusi» è una delle loro richieste), ciò non spinge tanti a rientrare a casa e le sommosse si prolungano da tre giorni di giorno e di notte. Attualmente ci sono 10.500 militari (soldati e carabinieri) a pattugliare l’intero paese e tentare di ristabilire l’ordine.

Domenica nel primo pomeriggio sono state rese note alcune cifre sugli arresti avvenuti il giorno prima o durante la notte: 614 manifestanti della regione di Santiago deferiti al tribunale e 848 nel resto del paese, ossia ufficialmente 1462 detenuti di cui si occuperanno 193 procuratori nominati all’uopo. Per quanto riguarda la distruzione della metropolitana nella capitale, il nuovo bilancio è di 80 stazioni colpite su 136, di cui 11 completamente bruciate e 11 parzialmente bruciate, più 41 gravemente danneggiate (saccheggiate). A ciò bisogna aggiungere la novità di sabato, quando alcuni arrabbiati sono rientrati all’interno per bruciare 8 nuove stazioni, compresi i convogli della metro sui binari nelle stazioni chiuse: 6 sono stati distrutti, più 3 metropolitane (con diversi convogli) ridotte completamente in cenere e molti sistemi di sicurezza elettrica messi fuori servizio. Tutto questo quantificato in almeno 300 milioni di dollari di danni. Da notare che anche a Valparaiso sono state attaccate alcune stazioni (una delle quali incendiata). Tutto ciò senza contare i bus Transantiago andati in fumo. Per quanto riguarda le banche, il presidente della Asociación de Bancos ha precisato che in due giorni e due notti sono state danneggiate 130 sedi (30 delle quali distrutte) e 250 bancomat completamente distrutti (10% del totale). Per quanto riguarda i saccheggi, la catena americana di ipermercati Walmart (marchi Lider e A Cuenta) ha contato domenica almeno 125 dei suoi ipermercati saccheggiati in tutto il paese e nove bruciati. Un altro esempio riguarda i supermercati Santa Isabel, anch’essi attaccati: verso le 16:30 di domenica a Santiago, all’incrocio delle strade Trinidad e Vicuña Mackenna, diverse centinaia di persone si sono organizzate per saccheggiarlo rapidamente facendo arrivare dozzine di auto da riempire prima di condividere. Più queste sommosse si prolungano, più gli obiettivi sono vari, come il saccheggio della fabbrica Coca Cola a Puento Alto domenica… E tutto ciò in appena tre giorni.

Domenica (e lunedì nei media europei), l’asse di comunicazione del potere verte ovviamente sui morti durante i saccheggi e sull’esercito sceso in campo per impedire tutto ciò. «Siamo in guerra con un nemico potente, implacabile, che non rispetta niente e nessuno e che è pronto a usare la violenza e la delinquenza senza alcun limite», ha così dichiarato Piñera in una conferenza stampa. Precisiamo che i 7 morti registrati sono ognuno il risultato di incidenti, essendo morti durante gli incendi successivi ai saccheggi in grandi edifici, come la fabbrica di abbigliamento Kayser nel comune di Renca (a nord di Santiago) e un ipermercato Lider a San Bernardo (a sud di Santiago). Ovviamente lo Stato si guarda bene dal render noto quante persone siano rimaste ferite dai proiettili militari, molte delle quali (ad esempio a Puente Alto) ricoverate in ospedale con «prognosi riservata», o con gli occhi bucati dai proiettili di gomma (già registrati una decina di casi). Oppure il recentissimo rapporto dell’Instituto Nacional de Derechos Humanos (INDH), che denuncia maltrattamenti di minori, «molestie sessuali» o torture nei confronti di manifestanti arrestati in molti commissariati di Santiago. È «la guerra», secondo il presidente, e da entrambe le parti: espropri, saccheggi e incendi mirati da un lato, difesa del dominio a qualsiasi costo da parte dei mercenari dello Stato dall’altro.

In tutte le sommosse notturne, se i saccheggi seguiti dall’incendio di ipermercati e grandi centri commerciali rimangono i più numerosi, ci si può solo rallegrare del fatto che alcuni colgano l’occasione anche per attaccare ognuno a modo proprio gli obiettivi che più stanno loro a cuore. A Valparaiso, la notte fra sabato a domenica, è stata ad esempio la cattedrale ad avere il suo enorme portale incendiato, e l’interno completamente saccheggiato, ma anche l’edificio di uno dei due grandi giornali del paese, El Mercurio, ha subìto la stessa sorte: saccheggio ed incendio (i lavoratori hanno dovuto andarsene). A Coquimbo, sulla stessa scia, è stata incendiata la base dell’enorme Cruz del Tercer Milenio (una croce di cemento alta 80 metri e larga 40 metri eretta nel 2001). Altro esempio, nella giornata di domenica a Concepción, alcuni individui hanno sollevato la pesante saracinesca di un’armeria per poi impadronirsi in fretta del contenuto del negozio. A Iquique è stata attaccata la caserma del Reggimento di cavalleria, e l’immagine spettacolare è stata l’uscita del vecchio cannone da guerra puntato contro i moderni militari antisommossa. Altrove, soprattutto a sud, diversi caselli stradali e autostradali sono andati in fumo, l’ultimo dei quali domenica sera a Peñaflor sull’autostrada del sole, mentre molti altri sono stati bloccati da barricate.

La notte fra domenica e lunedì 21 ottobre, il coprifuoco non è stato nuovamente rispettato in molti luoghi, ma c’è da notare che la maggior parte dei saccheggi hanno avuto luogo durante il giorno, quando folle eterogenee si sono radunate da altrove un po’ dappertutto (uno degli slogan: «Svegliati, Cile!»). Una breve panoramica di questi nuovi attacchi, senza dettagli sui numerosi scontri e barricate: a Catemu, il liceo californiano e il municipio sono stati incendiati, a Olmué è toccato al municipio e al Bancoestado, a Temuco saccheggiato il negozio Fashion Park e a Iquique un Ripley, a Rancagua tutti i negozi del centro hanno perso la vetrina, a Maipú un ipermercato Lider è stato dato alle fiamme, a Chillán e a Quillota sono stati saccheggiati un supermercato Unimarc, un Ripley e un grande negozio di bricolage, ad Antofagasta un supermercato Unimarc, ecc. Di fronte a una tale estensione della rivolta, c’è una tensione classica che vorremmo inoltre sottolineare: quella tra la riappropriazione dell’esistente e la sua distruzione. Presente fin dall’inizio durante le massicce “frodi” della metropolitana di Santiago, questa tensione potrebbe evidenziare la differenza tra rendere liberi i trasporti pubblici (moltiplicando le frodi) e farli divorare dalle fiamme. Venerdì notte, una decina di stazioni della metropolitana sono state incendiate. Altro esempio: se i saccheggi dei beni di consumo si moltiplicano, abbiamo anche potuto vedere una parte dei rivoltosi incendiare i templi del consumo, e altri gettare decisamente nel fuoco schermi al plasma e altri apparecchi appena espropriati per incendiare le barricate. Una domanda che era già stata posta nei momenti migliori della rivolta greca del 2008.

Dal consumo al consumo dell’esistente, si tratta di un passo che alcune rivolte hanno iniziato a fare in minoranza a Santiago del Cile, un buon esempio di tutte le possibilità offerte quando un movimento di rottura si libera della sinistra, del suo inquadramento, della sua ideologia e della sua pacificazione, per raggiungere una dimensione autonoma che ci permetta di cominciare a distruggere tutto ciò che ci distrugge. A noi qui, mostrarci solidali all’altezza di quanto accade lì, dove tante compagne e compagni combattono. Non restiamo pacifici come l’oceano che ci separa!

Nota di aggiornamento

Nel primo pomeriggio di lunedì 21 ottobre, l’Istituto Nazionale dei Diritti Umani (INDH) ha elencato 84 feriti da proiettili dal 17 ottobre, e lo Stato ha annunciato questa mattina 2653 incarcerati per «saccheggio» e «distruzione». Ma per non sbagliarsi, quando la sinistra ha invocato invano uno sciopero generale illimitato, a cui il sindacato CUT e il coordinamento No Más AFP (movimento per un sistema pensionistico pubblico, avviato dai sindacati) hanno risposto finora proponendo di limitarlo a un solo giorno (mercoledì), le persone iniziano a reagire in modo appropriato: a Valparaiso, otto commissariati sono stati attaccati la domenica, a Pudahuel, nella periferia di Santiago, alcuni saccheggiatori hanno risposto sparando all’intervento della PDI (polizia speciale tipo BAC) ferendo un loro agente, mentre il 6° Comisaría dei carabinieri di San Pedro de la Paz è stato fatto oggetto di colpi d’arma da fuoco. Infine, dei 93 carabinieri feriti il lunedì, 6 sono in «condizioni gravi», due dei quali a causa di proiettili. Incendi, sabotaggi e saccheggi non accennano a diminuire, e arresti e uccisioni da parte dell’esercito nemmeno, mentre i politici sia di destra che di sinistra non sanno più a che santo votarsi.

Più l’insurrezione dura e si estende, più diventa complicato averne una visione globale, e si può vedere di tutto: da chi si organizza in gilet giallo per proteggere le merci a chi tenta in tutti i modi di offrire sbocchi politici moltiplicando le rivendicazioni (dalle dimissioni di Piñera a un’assemblea costituente). Ma come è noto, le rivendicazioni sono la morte di ogni rivolta; è dialogare e chiedere al nemico piuttosto che autorganizzarsi in modo autonomo per riprendersi con l’azione diretta ciò che si vuole e distruggere tutto il resto.

[liberamente tratto da indymedia Nantes]

Fonte: Finimondo