Cile: Intervista al compagno sovversivo Marcelo Villarroel Sepúlveda

Intendendo questo strumento di comunicazione come uno strumento per dare voce ai prigionieri in lotta, pubblichiamo questa intervista al compagno Marcelo Villarroel dalla prigione di Rancagua (territorio dominato dallo Stato del Cile). Mesi dopo aver concluso uno sciopero della fame con altri prigionieri anarchici e sovversivi, Marcelo, prigioniero di lungo corso con una lunga storia di lotta alle spalle, ci racconta, tra le altre cose, la sua esperienza durante lo sciopero della fame, e le ragioni del suo trasferimento nella prigione di Rancagua. Ringraziamo Marcelo per la sua disponibilità e il suo contributo e i compagni che hanno reso possibile l’intervista.

POSSONO IMPRIGIONARE IL CORPO, MA NON LE IDEE. MARCELO LIBERO!

Vorremmo conoscere la tua situazione attuale nel carcere di Rancagua e le relazioni che ci sono tra gli altri prigionieri.

Il trasferimento è avvenuto nei primi giorni di giugno di quest’anno, 5 mesi fa, e coincide con la modifica e la rifondazione del sistema di alta e massima sicurezza del carcere di Santiago del Cile. In questo luogo sono stati storicamente alloggiati i combattenti anticapitalisti, i sovversivi anarchici degli ultimi 25 anni nella storia della struttura carceraria cilena.

Questa prigione è stata fondata nel 1994 e ha subito una modifica nella disposizione della sua struttura nell’estate del 1999 e ora, per la seconda volta nella sua storia, stanno per fare un’ulteriore modifica, con l’intenzione di rifondare questa prigione. Chi è al potere, la direzione nazionale della gendarmeria (il servizio carcerario in Cile) ha recentemente diffuso, utilizzando la copertura mediatica del canale nazionale, tutta questa logica di generare le condizioni per rifondare il sistema di alta e massima sicurezza. Per esempio, stanno dicendo che nelle carceri cilene ci sono bande organizzate che continuano ad essere dirette dai prigionieri, e che queste persone necessitano di un sistema di reclusione molto più severo di quello in vigore al momento. Tutto questo facendo riferimento agli Stati Uniti e all’Europa, dove i regimi di alta e massima sicurezza tengono conto solo del diritto minimo del prigioniero di respirare in qualche modo. Quindi lo scopo di questa rifondazione è di stringere e di legittimare il sistema repressivo, andando ad inserirlo nel quadro più ampio della pandemia.

Siamo qui da giugno, dovrebbero essere 6-7 mesi al massimo, quindi torneremmo all’unità originaria entro la fine dell’anno, che è il carcere e la sezione di massima sicurezza dove si trovano Francisco e i miei compagni.

La relazione con gli altri prigionieri, che si trovano nella sezione di alta sicurezza, continua ad essere di grande rispetto – Juan Aliste, Juan Flores, Joaquin Garcia ed io. Abbiamo un rapporto di rispetto reciproco con i prigionieri con cui condividiamo questo universo. Francisco è nella sezione di massima sicurezza, insieme a un universo di prigionieri sociali e altri prigionieri politici della linea internazionalista rodriguista cilena, poi c’è un altro settore, marxista-leninista, con il quale non abbiamo nessun tipo di rapporto organico o politico, non ci interessa se non in termini personali. Chiaramente c’è rispetto e riconoscimento della situazione, della resistenza che è stata mantenuta per più di diciassette anni in un regime disciplinare differenziato come quello del Brasile, in questo senso Francisco si trova daccordo con il compagno Mauricio Hernandez Norambuena. Siamo l’intero universo dei prigionieri che sono stati trasferiti da Santiago a Rancagua, sesta regione, a un’ora dalla capitale.

Cosa ha comportato il trasferimento? Com’è stato?

Il trasferimento ha comportato un cambiamento nella routine quotidiana, pur mantenendo il confinamento secondo la nostra sezione di alta e massima sicurezza, il che significa un cambio di unità, una nuova zona, un nuovo spazio fisico ma lo stesso regime di controllo.

Qui siamo pochi. I moduli sono costruiti per duecento persone, nel carcere ci sono duemilasettanta persone, noi nel modulo siamo ventitré in tutto. Quindi c’è molto spazio, ci conosciamo tutti da anni, non è una zona dove c’è un afflusso permanente di persone perché essendo noi i detenuti più conflittuali del Cile, ci tengono più o meno insieme. Segregati, ma più o meno insieme. Quindi, a parte il fatto di conoscerci, abbiamo vissuto insieme per anni nelle stesse unità, siamo sempre le stesse persone, non ci sono stati nuovi arrivi. I trasferimenti sono avvenuti in questo contesto, i primi giorni di giugno, dal carcere e dalla sezione di alta sicurezza di Santiago del Cile al carcere di Rancagua, modulo uno alto, modulo due di massima sicurezza.

In entrambi i moduli ci sono circa ventuno-ventiquattro persone e la routine quotidiana prevede lo sblocco delle celle al mattino, dalle 8:30 alle 9:00, e si scende giù in cortile, perché siamo in cella durante la chiusura che va dalle 17:00 alle 9:00 del mattino. Quindi rimaniamo in cortile fino alle 17:00 quando richiudono le celle. Abbiamo tutti lo stesso regime, quelli che si trovano nella sezione di massima sicurezza invece hanno solo tre ore di cortile e ventuno di cella.

Non possiamo lavorare, nel senso che non possiamo svolgere attività manuali o artigianali. Non c’è altro da fare che affrontare la giornata facendo sport, passeggiando nel cortile, parlare con gli altri detenuti, bevendo mate, facendo giochi da tavolo, soprattutto quello.

Il rapporto con la gendarmeria è un rapporto ostile, di distanza e rispetto, basato sull’obbligatorietà del legame. Il rapporto è ostile, però non subiamo aggressioni fisiche o verbali, loro non svolgono nessun tipo di azione che possa ledere la nostra dignità, né noi glielo permettiamo.

Che tipo di modifiche vogliono fare al carcere di massima sicurezza?

Si tratta principalmente di rimodellare l’infrastruttura per rifondare il sistema di alta e massima sicurezza con lo scopo di isolare coloro che sono rinchiusi in quelle prigioni. Da quando è stato fondato ha sempre ospitato nelle sue strutture prigionieri politici e sovversivi. A partire dal 2000 hanno iniziato ad ospitare anche detenuti penali e socialmente pericolosi, finendo inevitabilmente col concentrare in un unico posto le persone più pericolose del paese, sempre secondo il punto di vista della polizia.

Un sistema fortemente repressivo, dal punto di vista degli spazi, rifondare questa prigione oltre che a modernizzare le sue strutture, implica rifondare un concetto presente in Cile – l’idea che insieme al diritto canonico stabilito dai giuristi del dominio, bisogna che la punizione si esprima anche attraverso il dolore. L’idea è, quindi, che questa prigione infligga una punizione, non dal punto di vista fisico, ma data dalla sofferenza quotidiana che il vivere in un regime di merda implica. Questa è la logica, farci pagare, e il sistema non smette di essere pesante.

Pesante nel senso della complessità che implica la resistenza quotidiana. La forza ci è data dal profondo attaccamento alle nostre convinzioni antiautoritarie, con più forza ogni volta, e sempre con assoluta chiarezza, con la necessità di distruggere la società carceraria, non come slogan ma nella pratica, nella nostra lotta quotidiana.

Vorremmo sapere qualcosa a proposito dell’ultimo sciopero della fame, come l’avete vissuto e quali esperienze vi ha lasciato.

Lo sciopero della fame è stato realizzato con un gruppo di prigionieri sovversivi e anarchici delle carceri cilene. La verità, che è importante specificare, è che esiste un universo di prigionieri chiamati “prigionieri politici della rivolta” che sono rinchiusi in varie prigioni del paese. A Santiago sono concentrati nella prigione di Santiago uno. Non abbiamo una relazione fluida con questo ambiente, né con i prigionieri, né con le loro famiglie, né con gli ambienti di solidarietà che li accompagnano. La verità è che la nostra condizione è diversa. Siamo prigionieri con il sentimento genuino della lotta contro l’autorità con pratiche di violenza rivoluzionaria e di lotta minoritaria, sviluppate ormai da molti anni. Attraverso pratiche autonome e anarchiche abbiamo dato spazio alla conflittualità.

L’universo dei prigionieri politici della rivolta, per i quali oggi c’è un grande movimento di solidarietà nazionale e internazionale, è composto da persone inquadrate nell’ambito della rivolta ma che, per lo più, non hanno uno scopo ben preciso, si tratta piuttosto di persone, molte delle quali radicalizzate, attaccate a insegne e bandiere che corrispondono più allo snobismo della memoria rossa nel culto della vecchia guerriglia latinoamericana, che alla realtà cilena. Poi ci sono un miscuglio di persone che si ribellano e, come in ogni rivolta, attraversano il confine di spazi simili, in modo più organizzato o più radicale, comunque presi dalla spontaneità che genera la forza della rivolta. Per queste persone c’è una grande mobilitazione.

Lo scopo del nostro sciopero era quello di spingere, collettivamente, a compiere un piccolo passo nella giusta direzione. Per quanto riguarda la mia situazione, rispetto ai miei compagni, sono quello che si trova qui da più tempo. Nel 2022 saranno quattordici anni, da quando fui catturato a San Martin de los Andes, in Patagonia, Argentina, il 15 marzo 2008.

Vorrei anche ricordare che, nell’estate del 2019, in Cile sono stati modificati l’articolo 2 e l’articolo 9 del decreto legge 321, allo scopo di limitare l’accesso alla libertà condizionale che viene concessa a tutte quelle persone che hanno scontato più della metà della loro pena. Per esempio, una persona condannata a trentacinque anni di carcere, poi col tempo ridotti a venti, doveva scontare dieci anni +1 prima di poter fare la richiesta di libertà condizionata.

Ebbene, con la modifica del decreto legge 321, le tempistiche sono cambiate. Io, che ero pronto ad inoltrare la mia richiesta alla fine del 2019, con l’entrata in vigore della nuova legge nell’estate dello stesso anno, ho dovuto posticipare la mia domanda da dicembre 2019 a ottobre 2036, cioè tra altri 17 anni (oggi 15). Da qui il bisogno di raggiungere un accordo con la convinzione della necessità di affrontare insieme questa lotta collettiva, unendoci anche a Monica (compagna anarchica imprigionata nel carcere di San Miguel).

Partendo da questa prospettiva abbiamo definito l’inizio di uno sciopero della fame dal 22 marzo, durato fino a maggio, cinquanta giorni in cui siamo riusciti a consolidare le nostre richieste come prigionieri sovversivi. Siamo riusciti a generare una dinamica tale che ha permesso di creare profondi legami di solidarietà e complicità con diversi spazi, in diverse parti del mondo, e anche a generare un movimento all’interno delle istituzioni, che stanno evidenziando la necessità di affrontare questa modifica, in modo da ripristinare la situazione precedente, e far si che le persone possano essere autorizzate a chiedere la libertà condizionata, scontando la pena per un tempo ragionevole, diciamo.

Con questo non vogliamo assolutamente convalidare il sistema carcerario, al contrario, ma ci sono elementi che sono obiettivi e che sono per definizione tattici, che ti obbligano ad essere chiari e ad avere una voce in questo senso. Tutti i compagni che sono stati in prigione e che sono caduti per le loro azioni, hanno sempre avuto avvocati alle loro spalle, da quelli solidali a quelli che assumono la difesa nel campo della legalità del potere. Questo non significa che vogliamo essere parte del potere, ma che per una definizione tattica dobbiamo affrontarlo con gli strumenti che abbiamo a disposizione, quindi da questo punto di vista, queste richieste, che ricadono nell’ambito della legalità del potere, le solleviamo con estrema chiarezza, sapendo che il nostro obiettivo è la libertà e finché manteniamo la nostra ostinazione, chiarezza e convinzione e non lasciamo quella linea, tutto quello che possiamo fare in questo contesto è il benvenuto, e lo affronteremo sia individualmente che collettivamente. Questa era l’idea e abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati; tuttavia, con questo trasferimento, e con il potere che lavora sempre di pari passo con la polizia, non siamo stati in grado di generare una maggiore spaccatura che permetta un pronunciamento ufficiale riguardo alla legge 321, ma siamo in una lotta costante e concreta e sappiamo che c’è ancora molta strada da fare, tuttavia, continuiamo a fare la nostra parte.

Sentite il supporto che proviene dall’esterno?

Certamente, come dicevo poc’anzi, sentiamo il supporto che proviene dall’esterno del carcere, sentiamo che c’è appoggio, e questo sentimento e questa sensazione non sono casuali, ma hanno a che vedere con la nostra insistenza come lavoro collettivo, rispettando le individualità; camminando sempre lungo il cammino dell’autonomia, dell’orizzontalità, delle relazioni senza mediazioni nello spazio fertile dell’illegalità insurrezionale.

Poi, chiaramente, ci fa piacere che si manifestino in diverse latitudini e con la stessa volontà e perseveranza che stiamo praticando attivamente noi, in questa zona del pianeta. Crediamo nella lotta radicale, autonoma, anarchica, crediamo nella lotta diretta. Sappiamo che è il cammino più conflittuale verso la ricerca della liberazione totale, tuttavia, più conflittuale è più è coerente con il nostro obiettivo di voler vivere in modo diverso, in comunità, abolendo tutto ciò che il capitale, il patriarcato, lo stato e l’autorità possono lasciarci in eredità, con la forza del dominio e i suoi scagnozzi al servizio del potere.

Quindi sapevamo, sappiamo e vogliamo che ci sia solidarietà, la incoraggiamo, sappiamo che ci sono continui movimenti di solidarietà complice, e soprattutto sappiamo che non siamo soli, perché è quello che abbiamo costruito, ed è quello che vogliamo e in questo caso tocca a me condividere con voi queste parole.

Vi saluto, abbracciandovi, compagni della regione dominata dallo Stato Uruguaiano.

Come sempre, alziamo il pugno, guardiamo oltre le etichette, oltre le frasi ripetute, quello che viviamo è questo, la resistenza millimetrica alla società carceraria senza rassegnazione, senza volantini, ma con una resistenza tangibile, palpabile e una lotta quotidiana che non scomparirà, perché è quello che stiamo costruendo, un percorso di resistenza millimetrica alla società carceraria, dall’interno, con resistenza autonoma, con pratiche di lotta minoritaria, incoraggiando tutto questo e senza mai rinunciare alla nostra scelta della lotta sovversiva contro lo stato, il carcere e il capitale.

Finché esisterà la miseria, ci sarà ribellione.
Contro la prigione dello Stato e del capitale.
Guerra sociale.
Prigionieri nelle strade.

Intervista effettuata da: anarquistasanticarcelarixs.wordpress.com

Traduzione in inglese: actforfree.noblogs.org Traduzione in italiano: infernourbano