Atene, Grecia: Sull’operazione repressiva del 22/11/2022 e la difesa della comunità di Prosfygika

Siamo ancora qui… La Comunità rimane forte e unita… Prosfygika vincerà!!!!

Il 22 novembre scorso, alle 5.45 del mattino, le forze di  polizia antisommossa MAT, congiuntamente con le squadre Delta, OPKE e EKAM, hanno invaso il quartiere occupato di Prosfygika, in Alexandra Avenue e più precisamente il 7° blocco, in Tikhonidos Street (dietro l’ospedale Elpis). Hanno sfondato la porta dell’edificio e sono saliti al secondo piano, dove vivono due nostri compagni: un rifugiato politico iraniano e un altro compagno, successivamente arrestato perché accusato di un incendio doloso negli uffici di “RealNews” Li hanno sequestrati entrambi e hanno proceduto a un’accurata perquisizione dell’edificio. Contemporaneamente, l’intero quartiere è stato circondato dalle forze dell’ordine, nel tentativo di occuparlo.

L’operazione è stata notata durante un giro di perlustrazione e subito è stato dato l’allarme all’intero quartiere. Compagni e compagne sono saliti sui tetti per svegliare il resto degli abitanti. Non sapendo esattamente cosa stesse accadendo, ci siamo resi conto che l’operazione, nonostante inizialmente fosse limitata ad un singolo edificio, avrebbe potuto concretizzarsi in un attacco generale all’intero quartiere. A posteriori, riteniamo che l’invasione sia stata premeditata fin dalle prime luci dell’alba Tutto il tempo trascorso fino al momento dell’invasione è il risultato di una lunga pianificazione, di un giudizio sui rischi e i profitti, nonché un modo per misurare la nostra determinazione, da parte dei funzionari del GADA e del ministero.

Con il passare del tempo, la situazione è diventata sempre più difficile, con il compagno tenuto prigioniero all’interno dell’edificio, forze di polizia ovunque, mentre il quartiere intero era avvolto da un’atmosfera a dir poco soffocante vista la situazione. Abbiamo cercato di contenere la polizia antisommossa all’interno di Kuzi Street, la strada verticale che separa i blocchi abitati dai rifugiati, in modo da aprire uno spazio vitale per il quartiere, senza ostacolare le indagini, ma facendo comunque sentire la nostra presenza. Questo ha permesso agli abitanti di lasciare lentamente le proprie case, alcuni per andare al lavoro, altri per portare i figli a scuola. È stata anche interrotta la tortura del nostro compagno, che è rimasto prigioniero in casa sua per circa 3 ore. Almeno secondo quanto ci ha riferito in seguito, dopodiché è stato portato al GADA (Stazione Centrale di Polizia di Atene*).

Contemporaneamente sono cominciate ad arrivare voci a proposito di una seconda operazione che avrebbe avuto luogo dopo le 15.00, dopo lo sgombero parziale dei due ospedali di San Sava e Elpis. Verso le 12.00 abbiamo organizzato una marcia attraverso il quartiere e abbiamo convocato una riunione di emergenza presso il rifugio comunitario del 6° blocco per le 16.00. Alle 17.00, durante la riunione aperta e annunciata pubblicamente, siamo stati attaccati dalle forze dell’ordine con l’uso di elicotteri e droni. Abbiamo resistito come meglio potevamo, date le circostanze, con ogni mezzo non-criminale, non solo per proteggerci da una persecuzione sproporzionata rispetto al contenzioso, ma anche per proteggere l’intera comunità, i bambini, i pazienti degli ospedali, e il quartiere in generale. Un’ondata di terrore si è abbattuta sul 5° e 6° isolato, lasciando i bambini e gli altri abitanti del quartiere in preda ad attacchi di panico che continuano ancora oggi. Gli assassini della polizia ellenica hanno sfondato le porte degli appartamenti con le pistole spianate, minacciando chiunque trovassero all’interno, tentando di spargere un clima di terrore. Una donna malata su una sedia a rotelle e sua figlia, una famiglia con i figli in braccio in preda a un attacco di panico, una madre picchiata e gettata a terra davanti al figlio di 12 anni dopo che la loro porta era stata sfondata, migranti e rifugiati che si riversavano fuori dalle loro case e sulle scale, come durante un’invasione della striscia di Gaza.

Dopo l’esito positivo dell’operazione, che ha provocato comunque pesanti perdite nelle forze speciali dell’OPKE-EKAM-MAT, noi, i difensori del 22 novembre, siamo stati arrestati, sottoposti a pestaggi, colpiti con proiettili di gomma, aggrediti sessualmente e torturati come fossimo prigionieri di guerra. Tra di noi c’erano una madre rifugiata venezuelana con i suoi due figli minorenni, un rifugiato africano, due rifugiati politici turchi, quattro compagni minorenni, una compagna incinta a cui è stato ripetutamente negato il trasporto in ospedale e il fotoreporter di fama internazionale Nikos Pelos, colpevole di aver semplicemente fatto il suo lavoro. Siamo stati condotti al GADA, rinchiusi tutti e 79 per ore, stipati sul pavimento di celle strette, illuminate costantemente e con poco ossigeno, senza che ci venisse comunicato se eravamo stati arrestati oppure no.

Il nostro spirito non si è mai piegato, le nostre voci e i nostri cori, all’interno delle celle del GADA, si sono unite a quelle dei raduni in solidarietà che si erano formati all’esterno della stazione di polizia. Il nostro ritmo risuona ovunque… La rabbia e la militanza non si sono fermate nemmeno al mattino, ma sono continuate senza sosta durante il nostro trasferimento a Kavala, la nostra permanenza lì e la nostra altrettanto lunga attesa all’interno degli autobus che ci hanno trasportato verso tribunale di Evelpidon. Quelli il cui morale è stato definitivamente spezzato sono stati i mercenari dello Stato.

La vendetta dello Stato e dei suoi meccanismi, in particolare del governo fascista di Mitsotakis, è stata messa in atto anche durante il raduno solidale a Evelpidon, quando le forze dell’ordine si sono rifiutate di consegnare acqua e cibo ai compagni solidali. Lì, durante il secondo attacco sferrato contro gli attivisti, un compagno avvocato e militante, anch’egli attivo nell’assemblea del NO METRO SULLA PLATIA, è stato picchiato selvaggiamente, subito dopo essere stato rilasciato. I poliziotti e il governo non sono mai riusciti a perdonare la nostra giusta resistenza e il nostro atteggiamento dignitoso. Tutto questo è risultato evidente non solo nell’ingiustificata violenza che ci ha scatenato contro, ma anche nelle accuse opportunamente gonfiate in perfetto stile fascista.

Non vogliamo essere vittimizzati di fronte a questa violenza, anche se le accuse che ci vengono rivolte sono sproporzionate, frutto di una criminalizzazione dei militanti e degli attivisti da parte di uno Stato sempre più autoritario. Questo è un aspetto che dovrebbe preoccuparci molto. Ma per il resto, non ci può essere lotta senza un relativo costo, conosciamo la brutalità dello Stato ed è nostro dovere, e un onore, cadere per difendere la vita e la lotta. Abbiamo combattuto con dignità contro forze superiori. I 79 difensori di Prosfygika il 22/11/22 hanno combattuto per tutti i 400 residenti della comunità e del quartiere, per ognuno di loro, contro l’assalto omicida della repressione. E sappiamo che alla fine otterremo dei risultati. E questi risultati sono sempre positivi per coloro che lottano per una causa giusta.

Ringraziamo di cuore tutti i compagni e i collettivi che si sono schierati in difesa del quartiere e della sua comunità. Così come per la moltitudine di messaggi, dichiarazioni di solidarietà e appelli alla mobilitazione. La vostra vicinanza ci riempie il cuore di forza e di speranza, per questo comune terreno di lotta su cui camminiamo tutti assieme, ognuno dalla propria posizione.

Ancora di più, vogliamo sostenere l’atteggiamento dei giovani compagni/e, che sono stati i più coraggiosi e pieni di abnegazione. Per la loro inflessibile forza d’animo di fronte a forze superiori armate, proiettili di plastica e manganelli, sui tetti e sui parapetti. Per fortuna nessuno è rimasto ucciso. Hanno resistito fino alla fine. Questa è la forza dei giovani compagni/e, e tutti noi dobbiamo crederci. Non si sono limitati semplicemente a solidarizzare con la Comunità di Prosfygika, ma si sono schierati veramente per quello che è: una comunità di classi oppresse, fatta di militanti, anarchici, comunisti, rifugiati e migranti, bambini e anziani, persone mentalmente vulnerabili e le loro famiglie. Per ognuno di noi.

Non siamo arrivati qui dal nulla. Per 13 anni, con tutte le nostre contraddizioni di ragazzi e ragazze formati da questo sistema, abbiamo cercato di costruire relazioni solidali e politiche basate sull’orizzontalità, sulla fiducia, sulla solidarietà e su una prospettiva comune. Per questo oggi possiamo e vogliamo combattere questa battaglia con una sola mente.

Consideriamo il prossimo periodo come un periodo critico per la sopravvivenza del quartiere di Prosfygika, ma sarà anche una grande opportunità per la legittimazione sociale, il rafforzamento della nostra autonomia e una difesa ancora più forte della nostra comunità.

Chiediamo a tutti di informare quante più persone possibili sul progetto sociale di Prosfygika, per rompere l’isolamento e l’esclusione. Chiediamo ai compagni/alle compagne di farsi avanti per rafforzare la nostra comunità. Chiediamo a tutti di essere solidali, in qualsiasi modo.

Per noi è chiaro. Attraverso il nostro compagno, si sta tentando di criminalizzare l’intero quartiere e la comunità di Prosfygika. La criminalizzazione della comunità, e dell’Assemblea di Sy.Ka.Pro, da parte di persone come Thodoris Panagiotidis, è il vero obiettivo dei meccanismi repressivi contro i progetti sociali di base e le comunità auto-organizzate. Puzzano di provocazione di Stato.

Le posizioni politiche, il quadro organizzativo e la storia militante della Comunità e dell’Assemblea di Prosfygika Occupata costituiscono la risposta più potente alla pianificazione statale e parastatale.

SOLIDARIETÀ CON LA COMUNITÀ DI PROSFYGIKA OCCUPATA

SE CADREMO, CADREMO CON LORO

PROSFYGIKA SIGNIFICA POVERI RIBELLI

O VINCIAMO O VINCEREMO

Sy.Ka.Pro. 26/11/2022

Fonte: sykaprosquat.noblogs.org

Traduzione: Inferno Urbano