Apologia della specificità associativa – In difesa del settarismo anarchico

Riceviamo e pubblichiamo la quarta e ultima parte di questo scritto, contenuto nell’opuscolo “Apologia della specificità associativadel compagno Gustavo Rodríguez.

In difesa del «settarismo» anarchico

La religione marxista fu imposta in Russia col sangue e col fuoco con il colpo di stato bolscevico. Vladimir Ilyich Ulyanov (alias Lenin) si prese la responsabilità di canonizzare il dogma – glorificandone il carattere metafisico con pretese ontologiche e metastoriche – e di implementarlo come strumento disciplinare e di dominazione. Come era inevitabile, la fede istituzionale produsse i suoi sommi sacerdoti che, alla fine, si sarebbero rivelati “più papisti del Papa”; raggiungendo il parossismo dogmatico con l’ascesa dell’ortodossia sovietica dopo il 1930 e lo sviluppo delle scuole legate allo stalinismo (leggi: la maggior parte delle correnti marxiste che si installarono nel cosiddetto terzo mondo). Certamente, in questo contesto, si esacerbò la “lotta contro il settarismo” nella defunta Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).[i]

I processi-farsa, le incarcerazioni di massa, la sorveglianza statale e le esecuzioni extragiudiziali – per mezzo della Cheka – furono la risposta al “settarismo” nella terra dei “soviet” nel corso di 70 anni di fascismo rosso. Migliaia di anarchici, marxisti critici, menscevichi, social-rivoluzionari e altri “sicofanti” furono mandati nei campi di concentramento istituiti da Trotsky, con l’accusa di “settarismo”.  Negli stessi campi di sterminio, i sopravvissuti al massacro di Kronstadt avrebbero scontato le loro condanne, con la stessa accusa. In Germania Est, Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, Cina, Corea del Nord, Mongolia, Cuba, Cambogia ed Etiopia, i “settari” furono perseguitati e finirono anche assassinati per mano dei loro rispettivi stati/chiese.

Il destino dei “settari” non è stato (e non è) diverso nei vari eserciti di guerriglia e/o partiti armati. In Africa, Asia e America Latina, ci sono molti esempi che lo confermano. Il “settarismo” e i suoi equivalenti (“fazionalismo”, “scissionismo”, “diversionismo” e “frazionalismo”) – sempre equiparati al “tradimento” nel dogma marxista – sono “reati tipizzati” punibili con la morte. Il rito profuso delle pene capitali contro i loro militanti, per aver commesso tali “reati”, è generalmente giustificato da queste organizzazioni autoritarie come una “pena disciplinare volta a educare e organizzare le masse”. In effetti, questi “argomenti” sono sostenuti dalla pedagogia marxista contemporanea; Paolo Freire stesso – mostrando il suo attaccamento alla dottrina di San Charlie – riferisce che il settarismo “ha una matrice prevalentemente emotiva e acritica; è arrogante, anti-dialogico e quindi anti-comunicativo”. È reazionario […] il settario non crea nulla, perché non ama” (corsivo mio)[ii]

Questo “crimine”, passibile della massima tortura all’interno delle organizzazioni di guerriglia, è spesso la “causa” invocata per condannare le discrepanze teorico-pratiche nei “processi rivoluzionari”. Nel corso degli anni si sono accumulati innumerevoli omicidi (non sempre per fucilazione) negli ambienti della guerriglia, dietro l’accusa di comportamento “fazionalista”, “divisivo”, “diversionista”, “frazionalista” o “settario”, come quello avvenuto nel 1967 in Colombia contro alcuni militanti dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN).[iii] o; il vile assassinio nel 1975 del poeta Roque Dalton all’interno dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo (ERP) – prima denunciato per “azioni settarie” e poi calunniato come “agente della CIA” – e; il massacro di 164 guerriglieri a Tacueyó, eseguito su ordine dei comandanti di uno dei Fronti delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), tristemente noto per la sua spettacolarità.[iv]

La “lotta contro il settarismo” non si ferma nemmeno all’interno delle prigioni. La caccia ai “settari” continua dietro muri e sbarre, portandoci a doverci guardarci le spalle non solo contro la repressione degli scagnozzi del dominio ma anche contro la pugnalata da parte del “compagno”. Di regola, chi la pensa diversamente dalla dogmatica marxista (quasi sempre dominante tra i cosiddetti “prigionieri e prigioniere politiche”) è oggetto di vessazioni se non aderisce alla Chiesa dominante. Questa persecuzione non riguarda solo gli individui che si dichiarano apertamente anarchici, ma comprende anche gli stessi membri di questi partiti armati, che sono costantemente monitorati per scoprire comportamenti “fazionalisti”, “divisivi”, “diversionisti”, “frazionalisti” o “settari”. Il Partito Comunista del Perù – Sentiero Luminoso (PCP-SL) ha avuto una particolare premura in queste questioni, applicando i suoi “strumenti disciplinari” all’interno delle prigioni. La cosiddetta “ispezione gerarchica”, l'”esame ideologico”, le “sanzioni normalizzanti” e le “punizioni” sono alcuni degli strumenti più frequenti utilizzati per correggere il “settarismo”.

Anche se l’orrore fascista del PCP-SL merita di essere incluso nel Guinness dei primati, l’uso di queste “dinamiche” non si limita alla brodaglia maoista-indigenista, né si limita alla regione latinoamericana; anche nel vecchio continente ci sono molti esempi di organizzazioni autoritarie con azioni identiche.  Questo conferma – ancora una volta – che il “settarismo” è perseguito solo dalla grammatica del potere. Cioè, dalla logica dogmatica e appiattente del pensiero egemonico che abbiamo sempre affrontato dalla prospettiva anarchica.

È quindi sorprendente che ci siano persone che si considerano anarchiche e ricorrono alla condanna del “settarismo” come mezzo per evitare il dibattito con le compagne e i compagni che sono in disaccordo (sinceramente e pubblicamente) con le loro piroette e i loro accomodamenti teorico-pratici.  Ma è ancora più sorprendente che ci sia chi si angoscia a condividere gli stessi spazi con i “settari” e non si preoccupa della presenza di noti stupratori nei nostri ambienti. Colpisce che le posizioni “puriste” risultino scomode nel mentre si esalta la “pratica per la pratica” senza fare alcuna distinzione ulteriore tra fascisti e compagni. È inverosimile che coloro che una volta erano in grado di identificare l'”autismo” in certi insorti – incapaci di reagire agli eventi e di abbandonare la paralisi – oggi soffrano di un grave “bipolarismo”, al punto da dimenticare tutto ciò che erano, rinunciando alla passione e al suo veleno a favore di alleanze politiche e fronti unitari.

È deplorevole che invece di confutare con argomenti una certa teoria o una pratica specifica, si tenda a squalificare a priori usando una serie di cliché di sinistra che pensavo fossero stati sradicati dai nostri circoli. È la vecchia fallacia dello “spaventapasseri”. Sembrano confutare imponendo un’idea che non corrisponde alla linea di argomentazione del dibattito, evitando così di affrontare la questione sostanziale attaccando il manichino di paglia. Colpisce il disprezzo per il dibattito e il rifiuto di riflettere. Addolora l’uso di norme morali e sentimentali. È inquietante vedere così tanta zavorra che sopravvive. Il paradosso è che si presentano come il “nuovo anarchismo” quando hanno così tante somiglianze con il vecchio.

Spero che tutto si riduca a sensazioni momentanee di fronte alle costanti pressioni dell’ambiente e agli alti e bassi della guerra anarchica. Lacune di trasformazioni individuali; una sorta di inciampo fugace che svanisce una volta che torniamo sul sentiero nero dell’Anarchia e riaccendiamo i nostri principi.

Identificando la “pratica” come luogo di incontro “con altri (non necessariamente anarchici)”,[v] dove abbiamo “arricchito e potenziato le nostre visioni e capacità”[vi] e dando la priorità a “legami basati su pratiche comuni piuttosto che su etichette vuote o slogan ripetuti”[vii], è ridurre la guerra anarchica alla politica. Cercare alleanze che offrono “possibilità di crescita”[viii], contribuisce solo ad esaltare la “legge del numero”. Infatti, “la carta contiene assolutamente tutto”[ix]: ci potranno dire che queste alleanze non si stabiliscono “indiscriminatamente” o che qualche “tipo di filtro” è contemplato nel forgiarle, ma, concretamente, quelli di noi che si sono “avventurati lungo le strade del conflitto” e non vivono “sognando davanti al computer”[x], hanno imparato nel corso della lotta che le “alleanze pratiche” – certamente “alleanze tattiche” di fatto – richiedono il più assoluto candore o il più sfacciato accomodamento politico delle persone coinvolte. Consapevole che la “rivoluzione politica” produce solo nuovi dirigenti, nuovi patti sociali e nuovi stati, Bakunin ha sempre scelto di rinunciare alla politica.

Rimanere bloccati sul piano “pratico” mostra la carenza del proprio pensiero e, soprattutto, l’assenza di prassi.  Abbandonare il campo dell’elaborazione teorica in favore della “pratica” è arrendersi in anticipo – come burattini – ai movimenti del potere.  È mettersi alla mercé del nemico, è dare la vittoria anticipata al fascismo (nero, marrone o rosso). Pratica e teoria, dal punto di vista anarchico, sono inerenti. Uno alimenta l’altro. È proprio su queste due dimensioni che si basa la nostra specificità. Non esiste un “anarchismo pratico”, così come non esiste un “anarchismo teorico”. Chi assume esclusivamente uno di questi aspetti non potrà mai essere un anarchico.

Invariabilmente, ogni volta che si separa la “pratica” dalla teoria, o viceversa, la guerra anarchica precipita in una fase decadente e si esaurisce. Come ci ricorda il compagno Alfredo Bonanno, ogni volta che si rinuncia alla pratica e si abbandona l’azione, prolifera la produzione teorica e si moltiplicano le conferenze accademiche e le conversazioni da caffè. Tuttavia, in modo inversamente proporzionale, ogni volta che si abbandona l’elaborazione teorica, abbonda l’attivismo mediocre, il fare per il fare centuplica, e la guerra anarchica degenera in avanguardismo armato e si diluisce nelle acque nere delle pratiche limitate agli specialisti.

Se è vero che l’Anarchia è insurrezionale per natura, non tutti gli insurrezionalisti e non tutte le insurrezioni sono anarchiche. Anche le varie sfumature del fascismo scommettono sull’insurrezione tramite la disforia delle “masse”. La miseria, la disperazione e l’ansia della moltitudine sono i veicoli del risentimento che portano inevitabilmente al fascismo. Non è un caso che il Fronte Nazionale in Francia chieda di appianare le differenze e superare il “settarismo”, così come non è un caso che siamo d’accordo su molti degli obiettivi.  Oggi, la lotta contro la nocività post-industriale, la lotta contro la quinta rivoluzione tecno-industriale, la difesa della biodiversità, la lotta contro la precarietà, persino la lotta contro la dittatura sanitaria imposta a livello globale sulla scia della pandemia Covid-19, e la stessa rivolta anticapitalista, hanno vari punti di convergenza con il fascismo.

Se forgiamo la nostra affinità dando la priorità ai “legami che partono da pratiche comuni”, forse ci stiamo spianando la strada verso il patibolo e/o oliando la ghigliottina con cui ci taglieranno la testa. Senza dubbio, è difficile camminare su un terreno così scivoloso, ma le condizioni del marciapiede sono sempre state le stesse da tempo immemorabile.

Nel XIX secolo, abbiamo coinciso nei nostri obiettivi con blanquisti, populisti (erroneamente chiamati nichilisti), nazionalisti e marxisti; anche nel XX secolo, innumerevoli contingenze hanno messo nel mirino gli stessi obiettivi dei fascismi dell’epoca. Solo coloro che forgiarono “legami a partire da pratiche comuni” senza ulteriori riflessioni finirono i loro giorni nelle file di blanquisti, populisti, nazionalisti, marxisti, fascisti, bolscevichi e nazionalsocialisti. Ci sono molti esempi di “convertiti” che hanno abbandonato la “setta” anarchica e si sono uniti al blanquismo, al populismo, al nazionalismo, al marxismo, motivati dalla “pratica”. Per non parlare delle defezioni durante il fascismo italiano e degli arruolamenti nelle file bolsceviche durante i primi giorni della rivoluzione russa. I legami in nome della “pratica” di certi settori dell’anarcosindacalismo spagnolo con il falangismo meritano una menzione d’onore. Si tratta dunque di affermare le differenze, o piuttosto di affermarsi nelle differenze; da qui la nostra vocazione intrinsecamente “settaria” e la nostra propensione al “purismo”.

La teoria e la pratica anarchica si oppongono ad ogni logica utilitaristica e strumentale, il che rende impossibile tessere “legami dalle pratiche comuni”. I nostri legami sono ricamati – non tessuti – attraverso l’etica che, in verità, è un’eziologia; cioè un motivo, una causa, un eccesso di principi dedicati solo ed esclusivamente alla Libertà.  Per questo, per quelli di noi che si rivendicano anarchici con premeditazione e malevolenza, non ci sono “mezzi” ma “fini”; fini concreti e immediati che danno vita all’Anarchia e ci regalano quegli effimeri momenti di assenza di autorità e alimentano le nostre passioni e desideri di liberazione totale in ogni attacco al dominio, alle sue infrastrutture e ai suoi personaggi. Per questo assumo – consapevolmente e risolutamente – il nostro carattere “settario” e sono pronto a difenderlo come intransigenza anarchica fino alle ultime conseguenze.

Gustavo Rodríguez,
Pianeta Terra, 19 ottobre 2021.

(Dall’opuscolo «Apologia della specificità associativa».)

[i] Il grande paradosso del dogma marxista è che ha favorito lo sviluppo “settario” tra i suoi aderenti, generando innumerevoli “sette” che rivendicano tra loro di essere i veri eredi della vita e dell’opera di San Charlie.

[ii] Freire, P., La educación como práctica de la libertad, ICIRA, Santiago de Chile, 1969, p.51.

[iii] Questo fatto è stato registrato in diversi testi, per ulteriori informazioni vedi: Correa, Medardo; Sueño inconcluso, Artes Gráficas Caviher Ltda., Bogotá, 1997, p. 67 e seguenti e; Medina Gallego, Carlos; ELN. Una historia de los orígenes, Rodríguez Quito Editores, Bogotá, 2001, p. 231-247.

[iv]  Tra novembre 1985 e gennaio 1986, 164 guerriglieri appartenenti al Comando Ricardo Franco Frente-Sur (CRF-FS) della Coordinadora Nacional Guerrillera (CNG) furono assassinati per ordine dei loro comandanti dopo un processo sommario, con l’accusa di “tradimento” e “fazionalismo”. Cuesta Novoa, José, Vergüenzas históricas, Tacueyó, el comienzo del desencanto, Intermedio Editores, Bogotá, 2002.

[v] Cile: Comunicato di Mónica Caballero e Francisco Solar. Disponibile online: https://anarquia.info/chile-comunicado-de-monica-caballero-y-francisco-solar/ (consultato: 18/10/2021).

[vi] Id.

[vii] Id.

[viii] Id.

[ix] Id.

[x] Id.