E’ uscito DARDI n°6 – Foglio anarchico aperiodico

Riceviamo e pubblichiamo:

EDITORIALE

Cosa rende realizzabile il progetto di una società green-digitale?

Energia ed estrattivismo. Nulla di così diverso da ciò da cui è sempre dipesa ogni “rivoluzione industriale” fino ad ora. La differenza principale sta nell’elenco dei materiali estratti a cui vanno aggiunti i preziosi metalli rari, indispensabili per produrre batterie o circuiti elettronici. L’Europa in questo ambito si trova ad essere quasi totalmente dipendente dal mercato internazionale, cosa che potrebbe mettere a repentaglio l’agognata transizione ecologica, nonchè la stabilità delle economie nazionali. I contraccolpi dovuti al recente periodo di epidemia del Covid, o ai danni prodotti dal cambiamento climatico, hanno messo in crisi l’affidabilità di non pochi settori produttivi, principalmente a causa del lento rifornimento dei materiali sopracitati o di componenti elettronici quali i semiconduttori. Ciò implica delle scelte strategiche non rimandabili visto che la spada di Damocle dell’obsolescenza programmata non garantisce lunghe tempistiche di manovra. È necessario tornare ad estrarre questi materiali sul suolo europeo dopo che per anni si è delocalizzato il lavoro sporco in altri paesi, Cina soprattutto. Le miniere conseguentemente torneranno ad aprire in Europa insieme ai relativi impianti di raffinazione e lavorazione dei materiali.

L’Italia in questo contesto non è da meno. Proprio nella penisola si trovano i più grandi giacimenti europei di titanio in Liguria e antimonio in Toscana. Se per il primo è evidente l’interesse mostrato dalla Compagnia Europea per il Titanio, che presto manderà i propri tecnici a perlustrare una vasta area nei pressi del monte Beigua, il secondo sembra per il momento non essere ambito dopo la rinuncia all’estrazione nel 2013 da parte della ditta Canadese Adroit Resources. Quanto tempo passerà prima che qualcun altro provi a metterci le mani? Probabilmente poco.

L’Italia detiene un primato europeo in quanto ad alcune attività estrattive, dal marmo al cemento, dalla ghiaia alla sabbia. Poco importa una miniera in più o una in meno perdipiù, soprattutto dal momento che il valore della posta in gioco è strepitosa (per chi ci guadagna ovviamente).

Ma che ne resta di quei luoghi e di chi li vive, dopo che i colossi meccanici hanno cominciato a triturare il suolo? Montagne sventrate, paesaggi devastati, acqua e terreni contaminate, tumori e malattie dovute all’inquinamento.

Tutto ciò basta a fare di un determinato territorio il fiore all’occhiello della sostenibilità ambientale, ma per chi non se ne facesse niente di questa beneamata sostenibilità? Cosa potrebbe fare chi non trova questa prospettiva particolarmente allettante?

Potrebbe rendere quei territori ostili fintanto che le radici del tecno-mondo non li abbiano del tutto colonizzati. Potrebbe inoltrarsi nei cantieri situati in luoghi isolati, con il favore del buio, come successo ben due volte negli ultimi sei mesi in diverse cave di ghiaia vicino a Monaco (Baviera), dove l’incendio dei macchinari si stima abbia provocato, in entrambi i casi, non meno di un milione di euro di danni. Potrebbe prendersela con i supporti energetici che alimentano i processi di estrazione e lavorazione. Insomma le possibilità di gettare uno zoccolo tra i verdi ingranaggi dell’industria high-tech potrebbero essere molte, basta trovare la fantasia e la convinzione per metterle in pratica.

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